Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10947 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 09/06/2020), n.10947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23429-2018 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DE PRETIS n. 86,

presso lo studio dell’avvocato EMILIO BATTAGLIA, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato EUGENIO BATTAGLIA;

– ricorrente –

contro

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.P. DE’

CALBOLI n. 54, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PAPANDREA,

rappresentato e difeso dall’avvocato TOMMASO BONACCIO;

– controricorrente –

C.P.;

e contro

– intimato –

avverso la sentenza n. 1155/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 22.9.2000 B.D. evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Crotone F.A. per sentir dichiarare il suo diritto di esercitare il riscatto in relazione alla compravendita di un fondo agricolo intervenuta tra la convenuta e C.P.. Si costituiva la convenuta resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 788/2010 il Tribunale di Crotone accoglieva la domanda condannando la F. alle spese del grado.

Interponeva appello la F. e si costituiva in seconde cure l’originario attore per resistere al gravame. Interveniva in giudizio anche C.P., acquirente del fondo avente causa da F.A., il quale a sua volta invocava l’accoglimento dell’appello e il rigetto della domanda proposta dal B..

Con la sentenza oggi impugnata, n. 1155/2017, la Corte di Appello di Catanzaro dichiarava l’inammissibilità dell’intervento spiegato dal C. e rigettava l’impugnazione della F., compensando le spese del secondo grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione F.A. affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso B.D.. C.P., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Ambedue le parti costituite hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, artt. 8 e 31 e dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la forza lavorativa necessaria ad assicurare l’effettiva coltivazione del fondo oggetto della domanda di riscatto, basandosi sull’accertamento compiuto dal C.T.U. e senza considerare che l’ausiliario non aveva considerato, ai fini del calcolo, che il B. aveva dichiarato di avere il possesso, a titolo di affitto agrario, anche di altri terreni. In particolare, la ricorrente si duole del fatto che il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà depositato dalla stessa difesa del B. nel corso del giudizio di merito, che confermerebbe la circostanza relativa al possesso a fini di coltivazione anche di altri terreni non considerati dal C.T.U..

La censura è inammissibile, in quanto essa si risolve in una istanza di revisione del giudizio di fatto svolto dal giudice di merito. In proposito, va ribadito che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

La Corte di Appello ha rigettato il terzo motivo di gravame – con il quale la F. contestava proprio la mancata considerazione, da parte del C.T.U., del fatto che il B. coltivasse anche altri terreni- affermando che “Anche tale motivo è infondato essendo condivisibile l’iter logico seguito dal consulente tecnico in quanto immune da vizi avendo descritto la qualità dei fondi in contestazione ai fini dell’accertamento della forza lavoro utilizzando come parametri quelli predisposti dal competente assessorato alla Regione Calabria” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata). Tale giudizio, che si risolve in ultima analisi in un appezzamento delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito, si sottrae al sindacato di questa Corte, dovendosi ribadire il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte calabrese avrebbe erroneamente denegato l’ammissione della C.T.U. richiesta dalla ricorrente ai fini di quantificare l’indennità dovutale a fronte delle migliorie apportate al fondo oggetto di riscatto.

La censura è infondata.

Risulta infatti dalla sentenza impugnata che la Corte di Appello ha disatteso il quarto motivo di gravame, relativo proprio al mancato accoglimento della domanda di restituzione delle spese sostenute dalla F. per il miglioramento del fondo, “… risultando detta domanda non provata, atteso che la consulenza tecnica di parte, per giurisprudenza costante di legittimità, condivisa dal Collegio, costituisce una semplice allegazione difensiva priva di autonomo valore probatorio, il cui contenuto tecnico non vale ad alterarne la natura, che resta quello di atto difensivo, non potendo, dunque, essere oggetto di consulenza tecnica d’ufficio (in tal senso, Cass. n. 16552/2015). Al più la consulenza di parte, aggiunge il Collegio, può rappresentare un elemento indiziario che, in connessione con altri elementi, peraltro assenti nel caso di specie, può indurre a formare il convincimento del giudice” (cfr. pagg.8 e 9 della sentenza impugnata).

Il giudice di merito, pertanto, ha dato atto che la domanda di restituzione delle spese per miglioramento del fondo era stata proposta dall’appellante – odierna ricorrente – soltanto in base ad una consulenza tecnica di parte, che tuttavia non costituisce, isolatamente considerata, uno strumento di prova sufficiente ai fini della dimostrazione di un determinato fatto. Va infatti ribadito il principio per cui gli accertamenti tecnici stragiudiziali allegati da una parte sono meri indizi, che possono giustificare un approfondimento istruttorio secondo i principi di disposizione della prova e del libero e motivato convincimento del giudice, ma non costituiscono la prova dei fatti allegati (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5544 del 05/06/1999, Rv.527107; Cass. Sez.2, Sentenza n. 12617 del 28/08/2002, Rv.557170). Nel caso di specie, la Corte catanzarese ha dato atto che la F. non aveva prodotto, oltre alla consulenza tecnica di parte di cui si fa menzione nel motivo in esame, nessun altro elemento di prova ed ha quindi ritenuto, all’esito del proprio libero apprezzamento del fatto, non necessario un ulteriore approfondimento istruttorio mediante C.T.U..

Inoltre, attraverso il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 16552 del 2015, il giudice di secondo grado ha inteso riaffermare il principio secondo cui non è ammissibile la consulenza tecnica d’ufficio sulle risultanze della consulenza tecnica di parte, proprio in virtù della natura di quest’ultima, che costituisce, come già affermato, una semplice allegazione difensiva e si risolve quindi in un atto di parte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16552 del 06/08/2015, Rv. 636500). Sul punto, non è condivisibile l’assunto del ricorrente, secondo cui il giudice di merito avrebbe dovuto ammettere la C.T.U. poichè quest’ultima era l’unico strumento mediante il quale sarebbe stato possibile accertare circostanze di fatto rilevabili soltanto mediante il ricorso a specifiche capacità tecniche (cfr. pag.15 del ricorso), giacchè le migliorie apportate al fondo dipendono in ultima analisi dalle spese sostenute e dalle attività svolte da colui che ne ha avuto la detenzione o il possesso, ovverosia da fatti che ben possono essere dimostrati, quantomeno nella loro esistenza materiale, mediante il ricorso a prova documentale o storica, ad esempio attraverso testimonianze. Nel caso specifico la parte ricorrente non deduce neppure di aver svolto quel minimo sforzo probatorio per dimostrare l’esistenza del fatto storico (le opere di miglioramento) che avrebbe potuto legittimare la richiesta C.T.U.: non indica, in particolare, di aver prodotto nelle fasi di merito documenti, quali ad esempio fatture di fornitori, riscontri sull’impiego di lavoratori o altri documenti di spesa, nè di aver chiesto l’ammissione di prove testimoniali su fatti idonei almeno a far presumere l’esistenza dei miglioramenti rivendicati.

Pertanto, in assenza di qualsiasi riscontro indiziario sulla dedotta attività di miglioramento il giudice di merito ha escluso la C.T.U. invocata dalla odierna ricorrente ed ha ritenuto non provata la relativa domanda, all’esito di valutazione di fatto sostenuta da motivazione idonea, coerente e corrispondente al dettato normativo, nell’interpretazione che di quest’ultimo è stata fornita da questa Corte, e pertanto non utilmente sindacabile in questa sede.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti processuali per l’obbligo di versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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