Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10936 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2020, (ud. 13/02/2020, dep. 09/06/2020), n.10936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25632-2018 R.G. proposto da:

Z.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 30,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GIZZI, rappresentato e

difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

Z.K., Z.G., entrambi nella qualità di genitori

esercenti la potestà sul figlio minore

Z.A.G., e K.K., anche in proprio, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato

DOMENICO GIUGNI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato KARINA ZAULI;

– resistenti –

contro

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO GIUGNI, che lo

rappresenta e difende unitamente a sè medesimo;

– resistente –

contro

ZA.GI., Z.C.M.;

– intimati –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di

RAVENNA, depositata il 7/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SCRIMA

ANTONIETTA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS STANISLAO, che

chiede che la Corte, riunita in camera di consiglio, dichiari la

competenza del Tribunale di Ravenna, con le conseguenze di legge.

Fatto

RILEVATO

che:

in data 26 dicembre 2016, a seguito del decesso di Z.M., si aprì la sua successione ab intestato in favore dei quattro figli, Z.G., Z.C., Za.Gi. e Z.C.M. in ragione della quota di un quarto ciascuno dell’intero patrimonio;

Z.C., nella sua qualità di coerede, con ricorso ex art. 447-bis, c.p.c., propose, dinanzi al Tribunale di Ravenna, nei confronti di Z.G. e dei coeredi litisconsorti necessari Za.Gi. e Z.C.M., una serie di domande, contestando la validità, sotto diversi profili, di un contratto di comodato ventennale stipulato quattro mesi prima della morte del de cuius a favore di uno dei coeredi ( Z.G.) e relativo ad un appartamento poi entrato nell’asse ereditario;

in tale procedimento si costituirono sia Z.G. – il quale eccepì l’incompetenza per territorio e ratione materiae del Tribunale adito, sul rilievo che la successione si era aperta a Forlì – che Z.C.M. e quest’ultimo propose domanda riconvenzionale nei confronti di Z.G.; spiegarono interventi adesivi autonomi Z.K. e Z.A.G. (quest’ultimo rappresentato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale), rispettivamente compagna e figlio di Z.G.;

il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 7 agosto 2018, declinò la propria competenza in favore di quello di Forlì quale forum successionis ex art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1, innanzi al quale, pendeva anche il giudizio di divisione ereditaria;

Z.C. ha proposto istanza per regolamento di competenza basato su sette motivi;

Z.G. ha depositato memoria difensiva; altra memoria difensiva è stata depositata da Karina Z. e Aleksandr Giovannievich;

le altre parti non hanno svolto attività difensiva in questa sede;

il P.G. ha concluso chiedendo che questa Corte dichiari la competenza del Tribunale di Ravenna, con le conseguenze di legge;

Z.G. nonchè Z.K. e Z.A.G. hanno depositato distinte memorie ex art. 380-ter c.p.c.;

Diritto

CONSIDERATO

che:

il Tribunale di Ravenna, rilevato che l’art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1, prevede espressamente la competenza del giudice del luogo dell’aperta successione per le cause relative a petizione e divisione di eredità e “per qualunque altra tra coeredi fino alla divisione”, ha declinato la propria competenza, osservando che, quella sottoposta al suo esame, era una controversia tra coeredi da devolvere al giudice del luogo in cui si era aperta la successione (ed innanzi al quale pendeva anche la causa di divisone ereditaria) in quanto, in tema di competenza territoriale, per cause “tra coeredi” ai sensi dell’art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1 – devono intendersi non soltanto le controversie che riguardano diritti caduti in successione, ma ogni causa avente un oggetto attinente alla qualità di erede;

in particolare quel Tribunale cha osservato che “le domande azionate nel presente procedimento sia che siano dirette alla risoluzione del contratto di comodato, sia alla sua invalidità, sia all’accertamento se costituisca lesione della quota dei legittimari, sia all’ipotizzata violazione del divieto di patti successori, appaiono tutte configurabili come cause tra coeredi ex art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1” e che “la presente causa, riguardando l’effettiva disponibilità giuridica di un cespite ereditario, va ad incidere in modo rilevante sul giudizio di divisione sia nell’ipotesi di riconosciuta validità del contratto con conseguente decremento del valore del bene da computarsi in divisione come pure, al contrario, nel caso di risoluzione/invalidità/nullità del negozio alla sua imputazione nel giudizio di divisione a valori di mercato o addirittura potendone ipotizzare la possibilità di un uso turnario tra i coeredi” (così testualmente);

l’art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1, ai sensi del quale il Tribunale di Ravenna ha dichiarato la propria incompetenza, prevede la competenza del giudice del luogo dell’aperta successione per le cause “relative alla petizione o divisione di eredità e per qualunque altra tra coeredi fino alla divisione”; trattasi di foro esclusivo, che non trova applicazione con riguardo a domande diverse da quelle ivi contemplate (Cass., ord., 3/03/2016, n. 4233; v. anche Cass., ord., 18/03/2019, n. 7617 e Cass. 22/09/1978, n. 4260);

questa Corte ha già avuto modo di affermare che “In tema d competenza territoriale, ai fini dell’applicabilità della disciplina ex art. 22 c.p.c., che demanda alla competenza del giudice del luogo dell’apertura della successione ogni altra causa tra i coeredi, fino alla divisione, deve intendersi per causa tra coeredi quella che, non solo si riferisca ai beni caduti in successione, ma comprenda, altresì, un oggetto attinente alla qualità di erede. (Nella fattispecie, la S.C. ha escluso che l’azione di regresso, esercitata da uno dei coeredi nei confronti dell’altro per ottenere il rimborso di una quota delle somme corrisposte all’amministratore giudiziario per la gestione di uno dei beni ereditari da dividere, rientri nella disciplina della competenza dettata dall’art. 22 c.p.c., in quanto detta azione non presuppone la qualità di erede, trattandosi di una comune azione sorta da un rapporto obbligatorio, che può instaurarsi non solo tra coeredi, ma anche tra soggetti privi di tale qualifica)” (Cass. 1/03/2000, n. 2249);

in particolare, è stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità che “In tema di competenza territoriale, per cause tra coeredi, che l’art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1, devolve al giudice del luogo in cui si è aperta la successione, debbono intendersi non soltanto le controversie che riguardano diritti caduti in successione, ma ogni causa avente un oggetto attinente alla qualità di erede, per la quale la legittimazione attiva o passiva delle parti discenda necessariamente da tale condizione. (Nel caso di specie, la S.C. ha affermato l’applicabilità del c.d. “forum hereditatis” all’azione di petizione di eredità)” (Cass., ord., 23/08/2006, n. 18334); che “La competenza del giudice del luogo dell’aperta successione, fissata dall’art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1, per le cause “tra coeredi”, opera quando la legittimazione, attiva e passiva, dei litiganti sia collegata necessariamente alla loro qualità di erede, non anche se tale qualità venga in rilievo solo occasionalmente. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha escluso la qualità ereditaria della causa tra fratelli per l’adempimento dell’onere apposto ad u contratto avente causa mista di compravendita e donazione intervenuto tra padre, nel frattempo deceduto e figlio in favore di altro figlio dell’alienante) (Cass., ord., 13/12/2011, n. 26775); che “In tema di competenza territoriale, per cause “tra coeredi” ai sensi dell’art. 22 c.p.c., comma 1, n. 1, devono intendersi non soltanto le controversie che riguardano diritti caduti in successione, ma ogni causa avente un oggetto attinente alla qualità di erede, per la quale la legittimazione attiva o passiva delle parti discenda necessariamente da tale condizione. (Nella specie, la S.C. ha escluso l’applicabilità del “forum hereditatis” in relazione a controversia, avente ad oggetto la restituzione di spese sostenute per la manutenzione di un immobile, intrapresa da due fratelli che erano divenuti unici proprietari “pro indiviso” del bene, già caduto in successione, soltanto a seguito di transazione intercorsa con gli altri coeredi).” (Cass., ord., 26/10/2011, n. 22306); le Sezioni Unite di questa Corte, inoltre, già nel 2006, hanno affermato che “Qualora l’attore, facendo valere la qualità di erede dell’intestatario di un conto corrente bancario intercorso con Istituto di credito con sede nel territorio di uno Stato aderente alla Convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 (resa esecutiva in Italia con la L. n. 198 del 1992), chieda l’adempimento delle prestazioni derivanti dal contratto nel quale assuma di essere subentrato al “de cuius”, la controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice del luogo in cui l’obbligazione deve essere eseguita; infatti, la causa non ha natura successoria, tale essendo, ai sensi della L. 218 del 1995, art. 50 e dell’art. 22 c.p.c., soltanto quella tra successori (veri o presunti) a titolo universale o particolare, atteso che la qualità di erede fatta valere dall’attore, integrando esclusivamente il titolo della sua legittimazione e non l’oggetto principale del giudizio, può essere accertato incidentalmente dal giudice avente giurisdizione sulle cause relativ ad obbligazioni contrattuali” (Cass., sez. un., 20/12/2006, n. 27182 da ultimo le medesime Sezioni Unite hanno pure ritenuto che “La domanda risarcitoria proposta dall’erede del mandante nei confronti del mandatario, fondata sull’inadempimento dell’obbligo di rendiconto che grava sul mandatario anche dopo la morte del mandante in favore degli eredi, non integra una causa successoria, la quale è configurabile solo allorchè la controversia sorga tra successori veri o presunti a titolo universale o particolare e abbia come oggetto principale l’accertamento di beni o diritti caduti in successione o che si ritenga debbano costituirne parte; pertanto non può farsi applicazione di alcuno dei criteri indicati dalla L. n. 218 del 1995, art. 50 ai fini del riconoscimento della giurisdizione italiana” (Cass., sez. un., ord., 30/07/2019, n. 20503);

alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, le domande proposte in via principale dall’attuale ricorrente, in base alle quali va regolata la competenza, non sono riconducibili a quelle indicate dalla norma richiamata, non potendo esse essere considerate introduttive di cause tra coeredi, in quanto non sono relative all’accertamento di diritti inerenti alla successione;

trattasi, infatti, di domande volte all’impugnativa per inesistenza, nullità o annullamento di un contratto di comodato di un immobile e, quindi, attribuite alla competenza per materia del tribunale del luogo dove è posto l’immobile, ai sensi dell’art. 21 c.p.c.;

ed invero, la deduzione a fondamento dell’azione di nullità, in particolare, delle norme di cui agli artt. 458 e 549 c.c. non comporta che sia configurabile una causa tra eredi, essendo le situazioni prospettate come cause di nullità, alla stregua di tali norme, funzionali non a risolvere la causa tra coeredi ma ad evidenziare le predette cause di nullità, mentre la posizione di erede dell’attore e dei convenuti risulta rilevante solo come situazione da cui dipende la legittimazione ma non vale sul piano oggettivo ad integrare la nozione di causa tra eredi, cui è, invece, connaturata la funzione di risolvere una lite relativa ai diritti caduti in successione o che si postuli da ricondurre ad essa;

rilevato che:

sia il resistente Z.G., sia i resistenti Z.K. e Z.A.G. hanno prospettato nelle loro memorie, negli stessi termini, un’eccezione di sussistenza della continenza delle domande su cui ha deciso il Tribunale di Ravenna con l’ordinanza impugnata in questa sede rispetto alle domande introdotte da Z.C. in via riconvenzionale con la sua comparsa di costituzione dinanzi al Tribunale di Forlì nel giudizio di divisione;

entrambe le memorie riproducono la parte della comparsa di costituzione in cui figurano dette domande e, in ossequio al principio di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, Z.G. ha prodotto detta comparsa;

dovendo questa Corte statuire sulla competenza in modo che essa sia individuata senza che sia consentita alcuna questione futura che possa rimetterla in discussione, è necessario che la presente decisione consideri detta eccezione, della quale, dunque, deve essere vagliata anche la fondatezza, con la conseguenza che quanto si dirà di seguito vincolerà sia il Tribunale di Ravenna, sia quello di Forlì, come in ogni caso nel quale venga in rilievo un problema di litispendenza o continenza;

dal tenore della comparsa di risposta depositata nel giudizio divisionale da Z.C., emerge (vedi pagg. 53 e 67 della memoria di Z.G. e pagina 44 e 59 della memoria degli altri resistenti) che il medesimo richiese incidenter tantum gli stessi accertamenti oggetto della causa già da lui introdotto dinanzi al Tribunale di Ravenna, per dare ad essi rilievo ai fini della divisione;

quando si formula una domanda l’art. 34 c.p.c. non può’ venire in rilievo, poichè i fatti dei quali si chiede l’accertamento com costitutivi della domanda proposta necessariamente individuano una domanda da decidere con efficacia di giudicato, giacchè nella logica della norma è il convenuto che può prospettare la necessità di un accertamento incidentale di un rapporto, al fine di fargli assumere rilievo sulla decisione della domanda principale e semmai è l’attore che può chiedere l’accertamento con efficacia di giudicato del detto rapporto (in termini, si vedano, non massimate sul punto: Cass., ord., 21/09/2007, n. 19525; Cass., ord., 24/02/2015, n. 3725; sebbene ai fini della giurisdizione, adde: Cass., sez. un., 2/11/2018, n. 28053 (pag. 16) e Cass. 20/09/2019, n. 23536);

conseguentemente, le dette domande, introdotte in via riconvenzionale nel giudizio divisorio da Z.C. riguardo al modo di essere del comodato ed alla condanna al rilascio ed al risarcimento del danno, in quanto tali debbono considerarsi, in quanto introdotte dopo il giudizio dinanzi al Tribunale ravennate, caratterizzate da relazione di litispendenza con queste ultime, sicchè opera il principio di prevenzione a loro favore;

in disparte la considerazione formulata sull’esegesi dell’art. 34 c.p.c., comunque la richiesta di una condanna al rilascio ed al risarcimento del danno in ogni caso rendeva irrilevante la postulazione dell’accertamento incidenter tantum non essendo possibile, per evidente contraddizione logica, postulare una condanna incidenter tantum;

in questa sede, quindi, si statuisce che le domande riconvenzionali formulate da Z.C. si devono considerare oggetto di litispendenza a favore del Tribunale di Ravenna, con ogni conseguenza da trarre da questa statuizione dal Tribunale di Forlì;

i fatti posti a fondamento delle domande riconvenzionali quanto al modo di essere del rapporto di comodato, secondo le varie richieste di accertamento formulate da Z.C., potranno e dovranno, tuttavia, essere considerati ai fini del giudizio divisionale, in quanto – ferma l’irritualità della loro formulazione con una domanda già proposta davanti al Tribunale di Ravenna – il medesimo ne ha invocato la rilevanza in quel giudizio;

tanto comporterà che il Tribunale di Forlì debba valutare se detti fatti sono rilevanti effettivamente nel giudizio divisionale e, conseguentemente, in caso positivo, eventualmente apprezzare la pendenza quanto ad essi delle domande introdotte davanti al Tribunale di Ravenna, su cui si dichiara la competenza del medesimo, agli effetti dell’art. 295 c.p.c.;

alla luce delle argomentazioni che precedono, il proposto ricorso per regolamento di competenza va accolto e va dichiarata la competenza del Tribunale di Ravenna;

le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra il ricorrente e i resistenti, mentre non vi è luogo a provvedere per le spese nei confronti degli intimati;

stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Ravenna e condanna i resistenti, in solido, alle spese del presente procedimento, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 9 giugno 2020

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