Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10934 del 18/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 18/05/2011, (ud. 04/02/2011, dep. 18/05/2011), n.10934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20247/2007 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO

VII 3 96, presso lo studio dell’avvocato GIUFFRIDA ANTONIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BARRECA Carmelo, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

WURTH S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato MANZI Luigi, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BENINI GIOVANNI, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 425/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 22/07/2006 R.G.N. 814/04;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/02/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato MANZI FEDERICA per delega MANZI LUIGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale rispettivamente proposti da S.C. e dalla Wurth s.r.l. contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Ragusa, che aveva pronunciato in merito alla controversia tra di loro insorta in relazione al rapporto di agenzia svoltosi dal febbraio 1988 al novembre 1991, condannava la Wurth al pagamento della somma di Euro 1230,75, oltre accessori per il ritardo, e rigettava ogni altra domanda.

La Corte d’appello preliminarmente dichiarava l’inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa formulata dallo S. in riferimento all’attività da lui svolta di incasso delle somme dovute dai clienti alla mandante, rilevando che l’azione di arricchimento, proposta solo in appello, introduceva per sua natura elementi costitutivi (proprio impoverimento e altrui locupletazione) specifici e diversi rispetto a quelli del rapporto originariamente dedotto.

Quanto alla domanda originariamente richiesta di un compenso per l’attività di incasso, secondo la Corte non poteva ritenersi instaurata alcuna prassi aziendale in senso difforme rispetto alle previsioni del contratto di agenzia, che, da un lato, escludeva in via generale l’attribuzione all’agente di facoltà di incasso, salvo singoli incarichi concordati volta per volta per iscritto e, dall’altro, prevedeva l’obbligo del medesimo di procedere all’incasso degli insoluti trasmessi dalla mandante, con espressa esclusione di provvigioni per tale attività. Era risultato, infatti, che i pagamenti venivano effettuati di norma mediante ricevuta bancaria.

Nè poteva attribuirsi rilievo alla circostanza, allegata dallo S., dell’invio periodico da parte della Wurth dello scadenzario fatture, sia perchè dalla prova testimoniale i pagamenti all’agente, fuori del caso degli insoluti, erano risultati eseguiti solo da due clienti, sia perchè la ragione l’invio periodico dello scadenzario delle fatture poteva servire anche per scongiurare la conclusione di affari con clienti già in sofferenza o a rischio.

A titolo di restituzione all’agente dello star del credito la Corte riconosceva la somma di L. 1.099.152 sulla base delle risultanze della c.t.u., e in considerazione del fatto che era intervenuta una nota di accredito a storno di una precedente nota di addebito.

La Corte riteneva giustificato il riconoscimento in favore della Wurth, da parte del giudice di primo grado, della somma di L. 1.419.356 a compenso di uno sconto non autorizzato praticato dall’agente al cliente Tauclima, in quanto l’art. 9 del contratto individuale di agenzia non consentiva all’agente di praticare sconti, salvo quelli d’uso, in difetto di autorizzazione scritta, e dalla prova testimoniale si evinceva che nella specie non vi era stata l’autorizzazione.

La Corte poi, in difformità da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, escludeva il diritto dell’agente all’indennità di mancato preavviso, ritenendo che era stata legittima l’apposizione di una clausola risolutiva espressa, la quale comportava l’esclusione di ogni valutazione in ordine alla gravità dell’inadempimento. Nella specie l’agente non aveva mosso alcuna contestazione circa i dati in base ai quali era stato constatato il mancato raggiungimento del previsto “target” di produzione, nè era stato dedotto alcun elemento utile al fine di escludere la responsabilità dell’agente inadempiente ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Conseguiva anche l’esclusione del diritto all’indennità suppletiva di clientela, essendo la cessazione del rapporto dovuta a fatto imputabile all’agente.

In accoglimento dell’appello incidentale doveva anche escludersi il rivendicato diritto a provvigioni per i mesi di settembre, ottobre e novembre, in difetto della prova del buon esito degli affari.

Riteneva inammissibili o infondate ulteriori domande della Wurth.

In conclusione l’importo di Euro 1.230,75 di cui al dispositivo, pari a L. 2.383.086, risultava detraendo dal complessivo importo stabilito dal giudice di primo grado, di Euro 11.636,03, il controvalore in Euro delle somme di L. 15558.000 (indennità di preavviso), L. 3.529.792 (indennità di clientela) e di L. 2.525.981 (provvigioni).

S.C. ricorre per cassazione con otto motivi. La Wurth s.r.l. resiste con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1321, 1350, 1742 e 2723 c.c., oltre a omessa e contraddittoria motivazione.

Si lamenta la mancata considerazione che la clausola del contratto individuale relativa all’esclusione dell’attività di riscossione dai compiti dell’agente poteva essere modificata, con patto avente forma libera, stante l’epoca di stipulazione del contratto, e che di fatto il quadro probatorio deponeva nel senso dell’intervenuta modifica del patto.

Il primo motivo “bis” denuncia violazione dell’art. 2041 c.c. e art. 345 c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto domanda nuova inammissibile in appello quella diretta al riconoscimento di provvigioni per l’attività di incasso a titolo di arricchimento senza causa.

1.2. Il secondo motivo denuncia vizi di motivazione con riferimento all’esclusione del diritto dell’agente alla somma di L. 1.005.042 per provvigioni relativamente a spese attribuite ai clienti in fattura per l’anno 1991.

Si deduce che la domanda in questione aveva in effetti ad oggetto pretesa correlata al riconoscimento da parte della preponente del 10% delle spese attribuite ai clienti in fattura, qualora queste avessero superato il 2,8%. Il giudice di primo grado aveva travisato la domanda ritenendo che essa avesse ad oggetto provvigioni per affari conclusi dall’agente in proprio. La motivazione di difetto di prova ne era conseguentemente viziata e l’acritico recepimento della medesima motivazione da parte della Corte d’appello, a cui pure era stato segnalato il suddetto equivoco, implica un sostanziale difetto di motivazione.

1.3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., e vizio di motivazione. In sostanza si censura il riconoscimento, a titolo di restituzione di star del credito, della somma di L. 1.099.152 invece che di quella richiesta di L. 1.517.117, in base alla valorizzazione di una nota di credito. Al riguardo si osserva che era stata raggiunta pienamente la prova del credito e la Wurth non aveva fornito la prova della soddisfazione del medesimo.

1.4. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 1387, 1388, 1398, 1399 e 2697 c.c., e vizi di motivazione. Si censura l’accoglimento della domanda relativa a somma corrispondente allo sconto praticato a un cliente. Si osserva che l’infondatezza della domanda risulta dalla produzione della ricevuta di pagamento relativa all’affare in questione, sottoscritta dal sig. S., rivestente la qualifica di capogruppo della Wurth, a cui quindi andava addebitato lo sconto, se sussistente. Si sostiene poi la maggiore attendibilità del teste indotto dall’attuale ricorrente, rispetto a quelli presi in considerazione dalla Corte d’appello, non attendibili in quanto tutti rivestenti ruoli di responsabilità nell’ambito della Wurth.

1.5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 8 dell’a.e.c. 20.6.1956 reso efficace erga omnes con D.P.R. n. 145 del 1961, dell’art. 15 della direttiva comunitaria 18.12.1986 n. 86/653/CE, dell’art. 1750 c.c., dell’art. 9 a.e.c. per la disciplina del rapporto di agenzia del settore del commercio, in relazione agli artt. 1418, 1419 e 1339 c.c., oltre a vizi di motivazione.

Si sostiene che erroneamente non sia stata ritenuta la nullità della clausola contrattuale prevedente la facoltà di recesso dal contratto senza preavviso.

1.6. Il sesto motivo denunciando, secondo una prospettiva subordinata, la violazione degli artt. 2119, 1459, 1375 e 1354 c.c. e vizi di motivazione, rileva che l’esclusione del diritto dell’agente al preavviso può dipendere solo dalla ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 2119 c.c., cioè di una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, sicchè deve comunque ritenersi nulla una clausola risolutiva espressa che correli la risoluzione del rapporto ad un evento avulso dalle obbligazioni dell’agente e dallo stesso non controllabile, quale il raggiungimento di standard di fatturato, tanto più quando come nella specie l’obiettivo richiesto sia irrealistico (circa il triplo di quanto richiesto gli anni precedenti). Si lamenta anche il difetto di motivazione circa l’inadempienza giustificatrice del recesso.

1.7. Il settimo motivo lamenta vizio di motivazione circa l’esclusione del diritto all’indennità di clientela, rilevandosi che il mancato raggiungimento del “target” può ritenersi un fatto imputabile all’agente.

1.8. L’ottavo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione. Si censura il mancato riconoscimento delle provvigioni dei mesi di settembre, ottobre e novembre dell’ultimo anno. Si richiamano al riguardo le risultanze della c.t.u. e le altre prove di cui alle pag. 3 e 4 della sentenza di primo grado.

2. Il primo motivo non merita accoglimento. La questione relativa alla configurabilità nella specie di una modifica tacita della regolamentazione dell’attività di riscossione di cui al contratto scritto, riproposta dal motivo, ha formato oggetto di un compiuto e logico accertamento in linea di fatto da parte del giudice di merito, non sindacabile nella presente sede di legittimità.

Quanto, poi, alla esclusione della proponibilità in appello della pretesa relativa ad un compenso per l’attività di incasso sotto il nuovo profilo dell’ingiustificato arricchimento, la Corte di appello si è attenuta al prevalente e condivisibile orientamento giurisprudenziale, secondo cui la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova, come tale inammissibile nel giudizio di appello a norma dell’art. 345 cod. proc. civ., in quanto dette domande non sono intercambiabili e non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, riguardando entrambe diritti cosiddetti “eterodeterminati” (per la individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente tra loro ed identificano due distinte entità), e l’attore, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene giuridico diverso (indennizzo, anzichè il corrispettivo pattuito), così mutando l’originario “petitum”, ma, soprattutto, introduce nel processo gli elementi costitutivi della nuova situazione giuridica (Cass. S.U. n. 4712/1996; Cass. n. 22667/2004, 17007/2007), orientamento che recentemente ha trovato ulteriore conferma nella sentenza delle Sezioni unite n. 26128/2010, che, sia pure con riferimento alla questione della introduzione della domanda di arricchimento nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha preliminarmente ritenuto che la domanda di ingiustificato arricchimento è una domanda diversa (cioè nuova) rispetto a quella di adempimento contrattuale, perchè diversi sono i fatti giuridicamente rilevanti, posti a fondamento della domanda e diverso è il bene giuridico perseguito.

3. I motivi secondo, terzo, quarto e ottavo devono essere rigettati in quanto per ragioni analoghe inidonei a censurare la sentenza impugnata.

3.1. Risulta apodittica la tesi di cui al secondo motivo secondo cui anche il giudice di appello era incorso nello stesso travisamento dell’oggetto della domanda che avrebbe caratterizzato la decisione di primo grado. In effetti la Corte d’appello fa riferimento al titolo della pretesa in questa sede ribadito dal ricorrente (provvigione per spese attribuite ai clienti in fattura) e ne esclude il fondamento sulla base di una valutazione della prova, che non ha formato oggetto di adeguate i censure di vizio di motivazione con riferimento puntuale al contenuto delle prove.

3.2. Riguardo al terzo motivo deve analogamente rilevarsi che risulta puramente assertiva la tesi secondo cui il giudice di appello – il quale aveva confermato sul punto la sentenza di primo grado a sua volta basata sui riscontri operati dal c.t.u. – non aveva riconosciuto un credito del quale era stata pienamente raggiunta la prova.

3.3. Il quarto motivo deve essere rigettato poichè, relativamente allo sconto di cui si discute, la parte propone una diversa valutazione delle prove e fa riferimento al valore che sarebbe attribuibile ad una ricevuta di pagamento a firma di un “capogruppo” della Soc. Wurth, con una deduzione per la sua genericità del tutta inidonea ad evidenziare il contenuto e la rilevanza di tale ricevuta e quindi la sussistenza di un vizio di motivazione.

3.4. Rispetto all’ottavo motivo, deve ricordarsi che il giudice di appello ha rigettato, in accoglimento dell’appello incidentale, la domanda di riconoscimento del diritto alle provvigioni dei mesi di settembre, ottobre e novembre dell’ultimo anno di svolgimento del rapporto, osservando che era mancata la prova del buon esito dei relativi affari, punto su cui il c.t.u. del primo grado aveva omesso di considerare i rilievi critici tempestivamente sollevati dalla società.

Il motivo di ricorso non contiene alcuna puntuale censura relativamente a tale pronuncia, limitandosi ad affermare apoditticamente che il Tribunale aveva avuto modo di verificare l’adeguatezza dell’apparato probatorio fornito dall’ex agente anche sotto il profilo in questione.

4. Si esaminano ora congiuntamente, stante la loro connessione, il quinto e il sesto motivo, relativi all’indennità di mancato preavviso.

4.1. Conviene preliminarmente osservare che, considerata la collocazione temporale della vicenda, relativa ad un rapporto di agenzia intercorso tra il febbraio 1988 e il novembre 1991, le norme del codice civile a cui occorre fare riferimento sono quelle in vigore prima delle modifiche introdotte con il D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 per dare attuazione alla direttiva comunitaria 86/653/CE del 18 dicembre 1986. Infatti la norma transitoria di cui all’art. 6, comma 1, di detto decreto legislativo ha previsto, nel quadro di una facoltà riconosciuta agli Stati membri dall’art. 22, paragr. 1, della direttiva, che la nuova disciplina si sarebbe applicata ai contratti in corso alla data dell’i gennaio 1990 a decorrere dall’1 gennaio 1994.

4.2. Si ritiene necessario un riesame coordinato delle linee interpretative percorse dalla giurisprudenza di questa Corte relativamente sia alle condizioni che possono esonerare la ditta preponente dal rispettare il prescritto termine di preavviso nel recedere dal contratto, sia in particolare alla legittimità della previsione nel contratto individuale di una clausola risolutiva espressa a norma dell’art. 1456 c.c..

5.1. Riguardo al primo aspetto deve rilevarsi che la prevalente giurisprudenza ritiene applicabile per analogia l’istituto del recesso per giusta causa previsto dall’art. 2119 c.c., con riferimento sia al recesso ad iniziativa dell’impresa preponente, sia al recesso dell’agente, anche se con l’esclusione talvolta, riguardo a quest’ultima ipotesi, del riconoscimento di un’indennità sostitutiva forfettaria del preavviso, invece che del diritto al risarcimento del danno (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4337/1992, 7986/2000, 15661/2001, 17992/2002, 12873/2004, 19678/2005, 422/2006, 21445/2007, 14771/2008, 20497/2008).

Tuttavia non mancano pronunce che sottolineano come ai fini del giudizio circa la ricorrenza di una giusta causa, e in particolare della gravità della condotta, deve tenersi conto della diversità della posizione dell’agente rispetto a quella del lavoratore subordinato, rilevandosi così che nel rapporto di agenzia, il rapporto di fiducia, in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività, assume maggiore intensità (Cass. n. 14771/2008); che nei due casi l’inadempimento del lavoratore è diversamente apprezzabile, essendo obbligazione di mezzi quella del lavoratore subordinato e di risultato quella dell’agente (Cass. n. 3738/2000); che, in assenza di subordinazione gerarchica, non rilevano espressioni anche fortemente critiche nei confronti dell’impresa mandante espresse in una lettera da parte dell’agente (Cass. n. 12873/2004); che può rilevare solo la violazione di doveri fondamentali dell’agente (Cass. n. 7986/2000); che, accanto al criterio della diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata, rilevano anche le connotazioni soggettive dell’inadempimento (Cass. n. 15661/2001).

5.2. Alcune sentenze aprono una diversa prospettiva nell’individuazione del riferimento normativo da operare per l’individuazione della giusta causa esonerativa dell’obbligo del preavviso nel contratto di agenzia.

Si fa riferimento innanzitutto a Cass. n. 8448/1990, in cui si osserva che, poichè il contratto di agenzia contiene rilevanti elementi caratteristici del mandato, ad esso si estende la revoca per giusta causa prevista dagli artt. 1723 e 1725 c.c., la cui valutazione deve essere eseguita dal giudice di merito alla stregua dei principi generali che regolano la risoluzione per inadempimento, della quale costituisce una particolare e specifica applicazione.

Sotto il profilo del riferimento alla disciplina del mandato può richiamarsi anche Cass. n. 3348/1994, che ricorda come, anche prima della espressa disciplina sul punto di cui al D.L. n. 576 del 1978, art. 6, convertito nella L. n. 738 del 1978, si riteneva che il rapporto di agenzia si sciogliesse di diritto in caso di fallimento dell’agente, in applicazione della L. Fall., art. 78, comma 2, facente riferimento al fallimento del mandatario.

La richiamata sentenza n. 8448/1990 può mettersi in collegamento anche con Cass. n. 5209/1984, secondo cui, a proposito della giusta causa che giustifica il recesso del mandante in ipotesi di mandato oneroso a tempo determinato, a norma dell’art. 1725 c.c., la valutazione della gravità dell’inadempimento del mandatario deve essere effettuata da parte del giudice di merito alla stregua della regola dettata dall’art. 1455 c.c., in tema di risoluzione del contratto in generale, con esclusione dei criteri applicabili in tema di inadempienze del lavoratore subordinato e senza necessità che detto inadempimento sia di straordinaria od eccezionale gravità, e con Cass. n. 202/1959, secondo cui nella valutazione del recesso per giusta causa a norma degli artt. 1723 e 1725 c.c., il giudice è tenuto a valutare l’importanza dell’inadempimento e a indagare se sia tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti.

6.1. Deve ora ricordarsi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la disciplina del contratto di agenzia, diversamente da quella del lavoro subordinato, non preclude la stipulazione della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 c.c., con la conseguenza che, in presenza di tale clausola, il giudice non può compiere alcuna indagine sull’entità dell’inadempimento rispetto all’interesse della controparte, dovendo solo accertare se esso sia imputabile al soggetto obbligato almeno a titolo di colpa, che peraltro si presume ai sensi dell’art. 1218 c.c. (Cass. n. 7063/1987, 4659/1992, 4369/1997 e 8607/2002).

6.2. Considerato lo specifico contenuto nel caso in esame della clausola risolutiva espressa, è opportuno ricordare anche gli orientamenti giurisprudenziali relativamente ai licenziamenti di lavoratori subordinati intimati per scarso rendimento e in particolare per il mancato raggiungimento di obiettivi produttivi prefissati da parte di personale addetto alle vendite. Può ritenersi principio acquisito che anche in tali ipotesi alla base del licenziamento deve sussistere una violazione da parte del lavoratore degli obblighi di diligente collaborazione, che non può essere dimostrata dal solo mancato raggiungimento degli obiettivi di produzione prefissati, ma deve risultare da una valutazione complessiva, anche sulla base di elementi indiziari, dell’attività resa dal lavoratore (Cass. n. 6747/2003, 3876/2006,1632/2009).

7. Passando alle valutazioni conclusive sulle questioni di diritto poste dai motivi di ricorso in esame, deve osservarsi innanzitutto che la previsione da parte dell’art. 1750 c.c., della facoltà delle parti di recedere con preavviso dal rapporto di agenzia a tempo indeterminato deve intendersi integrata dalla facoltà di recedere senza preavviso nel caso di ricorrenza di una giusta causa, essendo il rapporto di agenzia senza dubbio ascrivibile a quel genere di rapporti, come quelli di lavoro subordinato o di mandato – per i quali il punto è espressamente regolato -, per i quali, in considerazione del loro particolare oggetto (diretta collaborazione giuridica o materiale all’attività di un altro soggetto) sono previsti meccanismi risolutivi affidati, salvo gli eventuali e successivi controlli giudiziali, alle dirette determinazioni delle parti interessate anche in caso di inadempimento.

Rispetto al problema di una più puntuale determinazione dei presupposti dell’integrazione di una giusta causa e di quello della validità di eventuali clausole risolutive espresse, punto di partenza sembra dover essere quello a secondo cui il codice civile ha fornito una disciplina piuttosto circostanziata relativamente alle modalità di svolgimento dell’attività dell’agente e agli obblighi reciproci delle parti: in altri termini ha configurato un rapporto giuridico incisivamente tipizzato. Correlativamente ha senza dubbio inteso qualificare e proteggere l’attività professionale dell’agente in un quadro di norme inderogabili da integrare con una disciplina “corporativa”, ovverosia, nel nuovo quadro istituzionale, mediante una disciplina affidata agli accordi collettivi di categoria. Da questo punto di vista si giustifica il prevalente riferimento da parte degli interpreti, al fine di integrare le norme sul recesso, alla disciplina dei rapporti di lavoro subordinato, piuttosto che a quella sul mandato, indubbiamente meno tipizzata in senso professionale. Nè deve dimenticarsi al riguardo che anche per i rapporti di agenzia si procedette, in applicazione della L. 14 luglio 1959, n. 741 (c.d. legge Vigorelli), alla estensione erga omnes della efficacia degli accordi collettivi all’epoca in vigore allo scopo di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo ai prestatori d’opera.

Deve ritenersi quindi che l’art. 1750 c.c., debba essere integrato con il riferimento ad una nozione di giusta causa che assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un’efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale, perchè la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo su quel quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore. Ne consegue che una clausola risolutiva espressa possa ritenersi legittima (similmente, in qualche misura, alle clausole dei contratti collettivi che prevedano ipotesi di licenziamento disciplinare) solo nei limiti in cui (oltre a non porsi in contrasto con eventuali previsioni in materia di accordi collettivi applicabili al rapporto) non venga a giustificare un recesso senza preavviso in situazioni concrete a norma di legge non legittimanti un recesso in tronco, e fermo restando che la clausola stessa può comportare la cessazione del rapporto di durata di agenzia solo per il futuro.

Diverso problema è quello della concretizzazione della causale della “giusta causa”. Al riguardo deve osservarsi che la formula dell’art. 2119 c.c., “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto” mira indubbiamente a garantire nei limiti della ragionevolezza il rispetto dell’obbligo di preavviso, ma non può ritenersi preclusiva della considerazione delle esigenze poste anche dai rapporti di agenzia, tenuta presente la genericità della formula, la sussistenza negli stessi rapporti di lavoro subordinato di un’amplissima e differenziata tipologia di situazioni, in rapporto anche alla posizione del dipendente nell’organizzazione aziendale, e la applicabilità della stessa nozione di giusta causa anche alle dimissioni del dipendente. Del resto, come si è già visto, la giurisprudenza ha ritenuto necessario considerare la diversità di ruoli degli agenti rispetto ai lavoratori subordinati.

8. E’ opportuno rilevare che la disciplina del codice conseguente all’attuazione della direttiva comunitaria conferma sostanzialmente il riferimento ad una nozione di giusta causa del tenore di quella prevista dall’art. 2119 c.c.. Deve infatti procedersi ad un’interpretazione del quadro normativo basata sulla correlazione tra il tenore dell’inciso dell’art. 1751 c.c. (relativo alla “indennità in caso di cessazione del rapporto”), secondo cui “l’indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto (…)” e il tenore degli artt. 16 e 18 della direttiva comunitaria 86/653/CE. L’art. 16 della direttiva prevede infatti che la direttiva medesima “non può interferire nella legislazione degli Stati membri qualora quest’ultima preveda l’estinzione immediata del contratto di agenzia:

a) per l’inadempienza di una delle parti nell’esecuzione di tutti o parte dei suoi obblighi; b) in caso di insorgenza di circostanze eccezionali”. Correlativamente, l’art. 18 prevede che l’indennità di estinzione del rapporto di cui all’art. 17 non è dovuta “quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente commerciale, la quale giustifichi, in virtù della legislazione nazionale, la risoluzione immediata del contratto.

Orbene, l’ipotesi adottata dal legislatore nazionale per l’esclusione del diritto all’indennità di cessazione del rapporto non può non regolare anche la facoltà di risolvere il rapporto senza preavviso in caso di inadempimento dell’agente, in quanto la direttiva prevede appunto l’esclusione del diritto all’indennità quando ricorra un inadempimento che secondo la legislazione nazionale giustifichi la risoluzione immediata del rapporto. D’altra parte la Corte di giustizia, nella sentenza 28 ottobre 2010 nella causa C-203/09 (Volvo Car Germany GmbH contro Autohof Weidensdorf GmbH) ha evidenziato, sia pure a fini diversi, la stretta correlazione esistente nella direttiva tra recesso attuato senza preavviso, per un’inadempienza imputabile all’agente, che secondo la legislazione nazionale giustifichi la risoluzione immediata del contratto, e la perdita del diritto dell’indennità di clientela o di cessazione del contratto (la Corte di giustizia ha escluso che possa farsi valere, ai fini della esclusione dell’indennità, un inadempimento dell’agente verificatosi nel periodo intercorrente tra la comunicazione del recesso e la conclusione del periodo di preavviso).

Sembra anche potersi affermare che, sussistendo nell’ambito della disciplina ora vigente, una disposizione testuale indubbiamente riferibile – come si è visto – anche ai presupposti del recesso senza preavviso dell’impresa preponente, sia ancora più problematico che nell’ambito del diritto previgente ritenere liberamente operante una clausola risolutiva espressa.

9. In conclusione, i motivi quinto e sesto devono essere accolti perchè il giudice di appello ha basato la sua decisione sulla affermazione, erronea in linea di diritto, che nel contratto di agenzia, il ricorrere di un inadempimento previsto da una clausola risolutiva espressa giustifichi di per sè il recesso in tronco dell’impresa preponente, senza necessità di verificare la sussistenza di un inadempimento che integri una giusta causa a norma dell’art. 2119 c.c., e cioè che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

Il settimo motivo è assorbito, investendo un punto deciso dal giudice di merito in via meramente consequenziale.

Consegue la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa ad altro giudice – stessa Corte d’appello in diversa composizione – che farà applicazione del seguente principio: “nel rapporto di agenzia, secondo la disciplina del codice civile in vigore prima delle modifiche introdotte, in attuazione della direttiva comunitaria 86/653/CE del 18 dicembre 1986, dal D.Lgs. 10 settembre 1991 n. 303, non applicabile prima dell’1.1.1994 ai rapporti già in corso alla data dell’1 gennaio 1990, il recesso senza preavviso dell’impresa preponente è consentito nel caso in cui intervenga una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (art. 2119 c.c.) e, in caso di ricorso da parte dell’impresa preponente a una clausola risolutiva espressa, che può ritenersi valida nei limiti in cui non venga a giustificare un recesso in tronco attuato in situazioni concrete e con modalità a norma di legge o di accordi collettivi non legittimanti un recesso per giusta causa, il giudice deve verificare anche che sussista un inadempimento dell’agente integrante giusta causa di recesso”. Il giudice di rinvio, quindi, riesaminati i motivi del recesso, procederà agli accertamenti e alle valutazioni necessarie per stabilire se ricorra nella specie un’ipotesi di giusta causa, provvedendo quindi circa le domande consequenziali.

Allo stesso giudice si rimette anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi primo, secondo, terzo, quarto e ottavo;

accoglie, nei termini di cui alla motivazione, i motivi quinto e sesto, assorbito il settimo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per le spese alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2011

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