Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10927 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. II, 26/04/2021, (ud. 04/12/2020, dep. 26/04/2021), n.10927

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7768/2016 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE

CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MARTIRE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO MARCHIONI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M.L., L.F.G., L.F.S.,

LA.FO.ST., C.G., S.M., SA.MA.,

CA.PI., RO.LO., RA.RE.,

SA.RO., SA.CL.; eredità giacente L.F.D. in

persona del curatore Avv. S.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 321/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO MARTIRE, difensore della ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e depositato atti in udienza.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

M.R. conveniva in giudizio nel 2008 innanzi al Tribunale di Verbania R.M.L., L.F.G., S. e St., nonchè C.G., S.M. e Ma., Ca.Pi. ved. S., Ra.Re., Sa.Ro. e Cl., Ro.Lo. e la Eredità Giacente L.F.D..

L’attrice esponeva di essere, in forza della sentenza n. 298/1984 del medesimo Tribunale, creditrice nei confronti del Sig. L.F.D. della somma di Lire 32.545.633 pari ad Euro 16.808,42, già oggetto di atto di precetto notificato in data 15 giugno 1994.

Esponeva, inoltre, l’attrice che il L.F.D. era deceduto il (OMISSIS), lasciando quali eredi ex lege la coniuge R.M.L. ed i figli L.F.G., S. e St., i quali tutti – in data (OMISSIS) – avevano presentato alla cancelleria della allora Pretura di Milano copia autentica dell’atto, del 22 marzo di quello stesso anno per notaio C.P., di rinuncia all’eredità, con dichiarazione di non trovarsi nel possesso dei beni relitti.

L’attrice deduceva che – nominato su ricorso il curatore dell’eredità giacente L.F.D. ed avviata procedura di espropriazione immobiliare su due porzioni immobiliari site in (OMISSIS) (in Catasto al F. (OMISSIS), mapp. (OMISSIS)), in ordine alle quali veniva poi riscontrata nella procedura esecutiva una irregolarità relativa all’appartenenza per intero delle dette porzioni al de cuius, si era resa necessaria la sospensione della procedura esecutiva al fine di chiarire con azione di accertamento la situazione dei beni esecutati, comunque già goduti fin dal 1960 ed, in parte, formalmente acquistati con atto non trascritto dai Sigg.ri S. e C..

Dedotto, quindi, ancora che gli eredi rinuncianti del L.F.D. avevano, con l’atto di rinuncia, posto in essere un espediente per sottrarsi al pagamento del debito del de cuius (dovuto peraltro e relativo al rifacimento della copertura dei medesimi immobili), l’attrice formulava distinte domande al Tribunale adito.

In particolare chiedeva, in via principale, la declaratoria di appartenenza al L.F.D. di tutti gli immobili già innanzi ed in atti indicati, con dichiarazione ex art. 527 c.c., che i sunnominati eredi ex lege del L.F.D. erano eredi puri e semplici e, come tali, tenuti al pagamento in favore dell’attrice della somma precettata di Euro 21.246,48.

In via subordinata dichiarare che gli immobili tutti facevano parte dell’eredità giacente di L.F.D..

La domanda attorea era resistiva dalle parti convenute, in particolare a mezzo di contestazione della sua fondatezza e della proposizione dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva della attrice alla rinuncia ex art. 524 c.c..

L’adito Tribunale di Verbania, con sentenza n. 196/2011, respinta ogni altra domanda, dichiarava il difetto di legittimazione attiva dell’attrice quanto all’stanza di accertamento della qualità di eredi puri e semplici dei convenuti chiamati all’eredità e rinuncianti, dichiarando – altresì, come da domanda subordinata attorea – che il L.F.D. aveva acquistato per intervenuta usucapione in data antecedente al 9.9.1988 la rimanente parte (non oggetto di atto) dei suddetti beni in (OMISSIS) e che, quindi, tutte le unità di cui alla intrapresa procedura esecutiva facevano parte dell’eredità giacente del L.F.D..

Avverso la sentenza del Tribunale di prima istanza, della quale chiedeva la riforma, la M.R. interponeva appello, come in atti resistito dalle parti eredi del L.F.D..

L’adita Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 321/2015 confermava la sentenza gravata, rigettando l’interposto gravame.

In particolare e per quanto ancora rileva la Corte aderiva alla ammissibilità dell’azione proposta dalla attrice (come già ritenuto dal Giudice di prime cure, che aveva anche invocato il principio di cui alla pronuncia di questa Corte 5.5.1998, n. 3330) in ordine alla legittimazione alla azione, in surroga, per l’accertamento dell’acquisto per usucapione del de cuius, ma non riteneva accoglibile la domanda a norma dell’art. 527 c.c.. Tanto perchè la decadenza dalla facoltà di rinunzia poteva accogliersi solo nel caso (non ricorrente nella fattispecie) di compiuta prova fattuale, da parte dell’attrice, del comportamento sostanziante occultamento o sottrazione di beni ereditari.

Avverso la decisione della Corte di Appello propone ricorso la M. con atto del 3 marzo 2016 notificato alle parti intimate di cui in epigrafe anche a mezzo della successiva rinotifica il 1 giugno 2016 (quest’ultima relativa alle sole parti Sa.Cl., Ca.Pi. e P.S.).

Il ricorso, fondato su quattro articolati motivi, non e resistito.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 527 c.c..

Il motivo, che ripropone – in sostanza – la medesima doglianza di cui a primo motivo di appello, non può essere accolto.

La legittimazione all’esercizio della domanda tendente all’accertamento della qualità di eredi puri e semplici è possibile solo nel caso di compiuta prova (fornita dalla parte istante) degli artifici posti in essere dagli eredi rinuncianti al fine di evitare la qualifica di eredi puri e semplici.

Nella concreta ipotesi per cui è giudizio la Corte distrettuale, con la sentenza oggetto del ricorso in esame, ha fatto buon governo delle norme e dei principi applicabili nella fattispecie.

Nè parte ricorrente adduce valide argomentazioni idonee a far ritenere errato il decisum della gravata sentenza.

Al riguardo va rammentato che “difetta, pertanto, di specificità dei motivi il ricorso in cui, pur denunciando violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate o con un’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina” (Cass. n. 10475/2001 e Cass. 1317/2004).

L’art. 527 c.c., condiziona l’esperibilità della detta azione di accertamento alla prova dell’occultamento ovvero della sottrazione dei beni ereditari da parte del rinunciante.

La Corte del merito ha valutato con proprio accertamento in punto di fatto (non replicabile in sede di giudizio di legittimità) l’inesistenza di comprovati atti fraudolenti.

Inoltre la decisione oggetto di gravame ha disatteso la domanda e l’appello dell’odierna ricorrente anche con esposizione di altra e concorrente ratio decidendi (non colta e scalfita dal ricorso): la mancata prova – ritenuta per ipotesi effettivamente intervenuto un atto o comportamento di occultamento – del momento in cui tale atto o comportamento era avvenuto, giacchè l’esatta individuazione di quel momento è fondamentale al fine della valida esperibilità dell’azione ex art. 527 c.c..

Il tutto in dipendenza della rilevanza del momento di effettuazione del comportamento occultatorio (che nella concreta fattispecie doveva avvenire, come rilevato correttamente dalla Corte distrettuale, “entro il minore fra i termini di prescrizione dell’accettazione dell’eredità, ossia entro il 10 marzo 2005, decennio dalla morte del de cuius ovvero entro il 30 settembre 1999, data di costituzione, ad opera dell’appellante (odierna ricorrente), dell’Eredità Giacente, la quale ha ricevuto ex lege l’eredità stessa”.

Infatti, secondo noto principio già enunciato da questa Corte “l’art. 527 c.c., secondo cui i chiamati all’eredità che hanno sottratto o nascosto i beni a questa spettanti, decadono dalla facoltà di rinunziarvi e si considerano eredi puri e semplici, nonostante la loro rinunzia, è applicabile non soltanto nei confronti del chiamato, il quale abbia commesso gli atti di sottrazione o di nascondimento prima della rinunzia all’eredità, ma anche nei confronti del chiamato il quale abbia posto in essere tali atti in un momento successivo, purchè il diritto di accettare l’eredità non sia prescritto e questa non sia stata accettata da altri chiamati” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 6 dicembre 1984, n. 6412).

Il motivo è, quindi, infondato e va respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omesso esame di documenti e di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti.

In ricorso si fa riferimento ad una serie di documenti (indicati nei nn. 23/27 e riprodotti), dal cui complendo emergerebbe la complessiva condotta di occultamento dei beni ereditari da parte di tutti gli eredi rinunzianti.

I documenti, concernenti – in sostanza – l’iter di una pratica edilizia, sono stati ritenuti come non idonei a comprovare un comportamento di occultamento.

Trattasi, all’evidenza, di una valutazione di tipo del tutto fattuale già svolta in modo conforme dai Giudici in sede di giudizio di merito e non più riesaminabile con ulteriore pronuncia di carattere meritale invero perseguita con la censura del ricorso qui in esame.

Il motivo deve, pertanto, ritenersi inammissibile.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta (pp. 16 ss. del ricorso) la commissione di errores in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (i medesimi rilievo vengono poi ripetuti – è bene notare – anche alle successive pp. 22 ss.).

Parte ricorrente si duole, in sostanza, della mancata ammissione, da parte di entrambi i Giudici del merito, di una prova testimoniale, nonchè per la valutazione di quanto dichiarati dai convenuti S..

Anche in riferimento a tali prospettate doglianze non può che ribadirsi l’inammissibilità delle stesse in quanto implicanti una revisione del giudizio di tipo meritale non possibile in sede di giudizio di legittimità.

La valutazione di ininfluenza o di genericità di prove in tema di preteso occultamento di beni ereditari costituisce attività tipica di valutazione in fatto del giudice del merito.

E la pretesa violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, con la conseguente nullità della decisione, è configurabile solo nel caso (non ricorrente nell’ipotesi) di mancanza assoluta di motivazione. Tanto in quanto la grave conseguenza invocata col ricorso all’esperito mezzo di impugnazione può sopravvenire solo in caso di denuncia di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè (e) si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (ex plurimis: Cass. civ., S.U., Sent. 7 aprile 2014, n. 8053). Va, dunque, ritenuta l’inammissibilità del motivo.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La doglianza di cui al motivo in scrutinio attiene alle questioni, come da atti sollevate, circa la questione dei mappali relativi ai beni del de cuius.

La questione stessa è stata valutata dalla Corte del merito ed in quanto relativa a profilo del tutto meritale non può ritenersi ammissibile in quanto tesa a sollecitare un nuovo esame in fatto. Il motivo è, pertanto, inammissibile.

5.- Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

6.- Nulla va statuito in ordine alle spese del giudizio atteso il mancato svolgimento di attività difensive ad opera delle parti intimate.

7.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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