Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10926 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. II, 26/04/2021, (ud. 04/12/2020, dep. 26/04/2021), n.10926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3538/2016 proposto da:

N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO RECHICHI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.A., NO.AD., D.I., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio

dell’avvocato ANGELO COLUCCI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALBERTO TESO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, presso lo studio del Dott. MARCO GARDIN,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI COLI, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1760/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANGELO COLUCCI, difensore dei resistenti, anche in

sostituzione giusta delega orale dell’Avvocato GIOVANNI COLI, che si

riporta agli atti e chiede il rigetto del ricorso.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

N.G. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia i germani N.M., Ad. ed At., quest’ultimo di poi deceduto in corso di causa e sostituito ai di lui eredi costituiti N.A. e D.I..

L’attore contestava l’autenticità del testamento olografo della madre deceduta in (OMISSIS) e lamentava i prelievi effettuati dalla sorella coerede M. dal conto della de cuius, nonchè la mancata corresponsione di quanto dalla stessa dovuto per il godimento della casa di (OMISSIS).

Tanto dedotto l’attore chiedeva, quindi, con l’atto introduttivo del giudizio, l’accertamento dell’inefficacia del testamento e dell’esatta consistenza delle quote di legittima di ciascun coerede, la condanna degli altri coeredi alla restituzione di quanto compreso nell’asse ereditario, nonchè – in capo alla N.M. – dell’imputazione del valore dei canoni non corrisposti in detrazione alla sua quota di pertinenza, previa resa del conto.

La domanda dell’attore era resistita dalla N.M., che -contestandone la fondatezza – svolgeva in via riconvenzionale domanda di divisione del compendio ereditario.

Si costituivano anche i rimanenti coeredi che instavano per la divisione, aderendo alla domanda di pagamento dei canoni non corrisposti per l’occupazione del detto immobile di lesolo da porre in compensazione con la pertinente quota ereditaria della suddetta N.M..

All’esito dell’istruttoria svolta anche a mezzo di consulenze calligrafica e tecnica, il Tribunale di prima istanza – disattesa ogni altra istanza – assegnava i beni del compendio ereditario con previsione di conguagli e regolava le spese di lite come da atti.

Le No.Ad. ed A., nonchè D.I. interponevano appello per la riforma della decisione di primo grado.

Il gravame era resistito dal N.G., che – a sua volta – interponeva appello incidentale.

L’adita Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 1760/2015, respingeva l’appello incidentale interposto dal N.G., accogliendo in parte l’appello principale e provvedendo alla rideterminazione dei conguagli.

Per la cassazione della decisione della Corte distrettuale ricorre il N.G. con atto resistito con controricorso della N.M. e delle N. – D..

Con entrambi i detti controricorsi si eccepisce preliminarmente l’inammissibilità dell’avverso ricorso, in particolare e, fra l’altro, deducendo la violazione dell’art. 360 bis c.p.c. e art. 366 c.p.c., n. 6.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- In via preliminare e quanto alla suddetta eccezione di inammissibilità il Collegio osserva quanto segue.

Il proposto ricorso, pur se formulato in modo non del tutto rispondente ai rituali canoni di proposizione (e con una complessiva trattazione complessiva dei singoli motivi), deve ritenersi superare il vaglio di ammissibilità.

Al di là della sua non perfetta formulazione, appare evidente che il ricorso è, in sostanza, teso all’affermazione dell’illegittimità e contrarietà alla giurisprudenza, dell’impugnata sentenza e dal ricorso si evincono comunque i motivi di doglianza.

Per tale ragione va disattesa l’anzidetta eccezione.

2.- Con il primo motivo del ricorso di denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 111,112,346,347 e 166 c.p.c., nonchè la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c..

La censura è svolta in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Con il motivo si lamenta, nel complesso, una pretesa omessa valutazione ed una mancata pronuncia.

La doglianza svolta in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 non è ammissibile in quanto con tale norma si può censurare solo l’omessa valutazione di un fatto specifico e decisivo per il decidere e che abbia già costituito oggetto di contraddittorio.

Sotto il profilo dell’omessa pronuncia il motivo non è fondato in quanto tale omissione rileva allorchè vi sia una omessa pronuncia su una domanda della parte.

Questa ipotesi non ricorre nella fattispecie giacche, anche alla stregua di quanto evincibile dalla esposizione del ricorso, si potrebbe essere al più al cospetto di una non considerazione di talune argomentazioni della parte, che di una omessa pronuncia.

Il motivo deve, pertanto e nel suo complesso, essere respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 111,112 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 327,333,343 e 166 c.p.c., nonchè la falsa applicazione dell’art. 334 e 345 c.p.c..

Il motivo è incentrato su preteso errore dovuto al rigetto, disposto dalla decisione gravata, dell’appello incidentale interposto dal N.G..

La doglianza svolta dal ricorrente risulta del tutto infondata.

La sentenza impugnata (con motivazione di cui alle pp. 15 e 16 della stessa, peraltro anche citate in ricorso) ha proceduto a valutare l’anzidetto appello incidentale, considerato giustamente come tardivo ed inammissibile in quando interposto sulla base del “semplice richiamo per relationem alle conclusioni assunte in prime cure”.

Inoltre la Corte territoriale, all’esito delle ulteriori nuove conclusioni di altro subentrato difensore dell’odierno ricorrente, “conclusioni nuovamente modificate in sede di difesa conclusiva e differenti da quelle contenute nell’appello incidentale”, ha provveduto ugualmente a scrutinare anche queste ultime stesse ritenendole inammissibili.

Il motivo è, pertanto, del tutto infondato e va respinto.

3.- Con il terzo motivo viene svolta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, censura in relazione a pretesa violazione di norme di legge.

La doglianza – pur se svolta sotto forma di denuncia di violazione di legge – si riferisce, nella sostanza e per quanto è dato evincersi dal ricorso, alla questione della validità dei calcoli risultati dalla svolta consulenza tecnica di ufficio e considerati dalla Corte del merito.

Al riguardo in ricorso (p. 19 del ricorso) si afferma la pretesa illegittimità della gravata decisione, in quanto la Corte territoriale avrebbe “disatteso persino le leggi della matematica” circa il calcolo dei conguagli va osservato, in breve, quanto segue.

La censura è, in parte infondata, e, per altro verso, inammissibile. Invero, ove si fosse al cospetto di calcoli errati la censura sostanzierebbe un errore di percezione dei conteggi e, quindi, svolge impropriamente una censura in diritto, nel mentre si sarebbe al cospetto di un errore di natura revocatoria.

Ove, poi, il motivo (come appare più probabile) deve essere inteso come censura alla valutazione di quote e conguagli è chiaro che con tal tipo di doglianza si muovono censure di tipo meritale concernenti la valutazione in fatto e, quindi, non ammissibili nel presente giudizio di legittimità.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

4.- Con il quarto motivo del ricorso si svolge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, censura per asserita violazione di norme di legge da parte della sentenza impugnata.

Quest’ultima risulta, invero, essere stata adottata dalla Corte di Appello nel rispetto delle norme e dei principi ermeneutici, che andavano applicati nella fattispecie e dei quali la Corte medesima ha fatto buon governo.

Parte ricorrente denuncia genericamente violazioni di legge, ma si sottrae all’onere – ad esso indubbiamente incombente – di specificare quali affermazioni in diritto della Corte distrettuale siano errate.

Al riguardo non può che richiamarsi e ribadirsi il condiviso principio che questa Corte ha già avuto modo di enunciare allorchè ha affermato che “difetta, pertanto, di specificità dei motivi il ricorso in cui, pur denunciando violazione e falsa applicazione della legge, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con un’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – così non consentendo alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione” (Cass. n. 10475/2001 e Cass. 1317/2004).

Per di più “in ogni caso non può ammettersi, anche attraverso la formale e strumentale deduzione di vizio di violazione di legge, una revisione in punto di fatto del giudizio di merito già svolto”, giacchè “il controllo di logicità del giudizio di fatto non può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” specie quando non ricorre – come nella fattispecie – l’ipotesi di “un ragionamento del giudice di merito dal quale emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Il motivo, in quanto infondato, deve essere respinto.

5.- Con il quinto motivo viene svolta denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, di violazione di norme di legge ed “omesso esame di un argomento oggetto di trattazione fra le parti”.

Orbene l’omessa esame sussumibile nell’alveo previsto dalla norma di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è concernente un atto o fatto decisivo e già parte di contraddittorio, non certo un mero “argomento oggetto di trattazione”.

Per il resto e per quanto possa evincersi dal ricorso le censure nel loro complesso, pur se prospettate come violazioni di legge, tendono a suscitare nuove e non ammissibili valutazioni di tipo meritale anche in riferimento agli esiti dell’anzidetta svolta consulenza.

Il motivo qui in esame si risolve, quindi, nella censura degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte di merito nella ricostruzione degli elementi che caratterizzano la fattispecie e che sono stati correttamente considerati in quella sede. Deve, al riguardo, ribadirsi il consolidato e condiviso principio che questa Corte ha già avuto modo di affermare e secondo il quale il ricorso in sede di legittimità in nessun modo “può esser inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal Giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte” (Cass. n. 9233/2006) e, quindi, in definitiva, “ad un’inammissibile revisione del ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608).

Il motivo deve, pertanto, essere respinto.

6.- Il ricorso deve, conseguentemente, essere rigettato.

7.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

8.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti No.Ad., N.A. e D.I. delle spese del giudizio (determinate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge), nonchè al pagamento in favore di N.M. delle spese del giudizio (determinate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

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