Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10926 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/05/2017, (ud. 09/03/2017, dep.05/05/2017),  n. 10926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2638-2015 proposto da:

I BUTTERI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

Amministratore Unico C.E., elettivamente domiciliata

in ROMA, V.GIUSEPPE SISCO 8, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA

NELLI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA, (OMISSIS), in PERSONA DEL suo

legale rappresentante pro tempore avv. S.F.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 11, presso lo

studio dell’avvocato PASQUALE DI RIENZO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato STANISLAO DE SANTIS giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6669/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza del 26 maggio 2009 il Tribunale di Roma respingeva la domanda, proposta da I Butteri S.r.l. nei confronti di Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A., di risarcimento di danni da diffamazione per un servizio del (OMISSIS) riguardante un’operazione di polizia giudiziaria in (OMISSIS) contro un clan camorristico, in cui si affermava che quest’ultimo aveva aperto in tutta Italia una catena di ristoranti denominati “I Butteri”, cioè con lo stesso marchio di due ristoranti posseduti dall’attrice a (OMISSIS); e avendo I Butteri S.r.l. proposto appello, la Corte d’appello di Roma lo rigettava con sentenza del 6 dicembre 2013, contro la quale I Butteri S.r.l. ha presentato ricorso sulla base di due motivi, da cui si difende con controricorso Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A. e del quale con requisitoria scritta il Procuratore Generale chiede l’accoglimento.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Premesso che la regiudicanda è compatibile con la motivazione semplificata, si osserva che il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Cost., artt. 51 e 595 c.p.; in particolare la ricorrente lamenta che la corte territoriale avrebbe errato nell’applicazione degli artt. 51 e 595 c.p. “ritenendo sussistente l’esimente ex art. 51 stante la verità del nucleo essenziale della notizia, non avendo quindi rilevanza i particolari ritenuti “di mero dettaglio”, inidonei a modificare il contenuto essenziale”, laddove questi concernono, invece, “fatti…non veritieri ed essenziali nella violazione della reputazione e del buon nome” della ricorrente, mediante i quali il diritto di cronaca è “trasceso nella diffamazione” avendo “ingenerato equivoci e confusione nei terzi spettatori” nel senso che I Butteri S.r.l. fossero parte del clan. E il secondo motivo, come vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamenta che apoditticamente la corte territoriale avrebbe negato che la lesione alla reputazione derivasse dall’essere stata affermata l’esistenza della catena di ristoranti nel contesto del servizio giornalistico sulla camorra, individuandola invece “nell’obiettiva omonimia”, aggiungendo poi che il Tribunale aveva rimarcato come l’inquadratura del solo ristorante di Salerno circoscriveva il legame tra esso e l’inchiesta penale, evitando negli ascoltatori l’erroneo convincimento del coinvolgimento della ricorrente. Al contrario, osserva quest’ultima, mostrando il marchio I Butteri, pur in relazione al ristorante salernitano, e contemporaneamente affermando che con tale marchio vi è una catena di ristorazione del clan camorristico in tutta Italia, “si ingenera non solo il dubbio ma anche la convinzione del coinvolgimento” della ricorrente stessa; e per di più il giudice d’appello non avrebbe dato rilievo alle “altre fonti” depositate proprio dalla Rai, nessuna delle quali si sarebbe riferita ad una catena nazionale di ristoranti denominata “I Butteri”, marchio di cui in primo grado si sarebbe provata la registrazione effettuata dall’attuale ricorrente: integrerebbero il denunciato vizio, quindi, il mancato esame di tali fatti e la mancata ammissione di prova testimoniale richiesta in primo e in secondo grado sull’avere molti clienti del ristorante romano chiesto spiegazioni a seguito del servizio del (OMISSIS) sui rapporti della ricorrente con la camorra.

In realtà la sentenza impugnata si fonda su due autonome rationes decidendi: che la menzione durante il servizio giornalistico del (OMISSIS) della catena di ristoranti presenti in tutta Italia con il marchio “I Butteri” riconducibili al clan camorristico costituisce un dettaglio e quindi non ha incidenza – ed è la ratio censurata con il primo motivo del ricorso -; e che la propalazione dell’esistenza di siffatta catena non ha alcuna offensività diffamatoria, perchè questa deriva invece dall’omonimia (motivazione, pag. 3: “La dedotta lesione della reputazione della società appellante non dipende infatti dall’essere stato affermato…che un’organizzazione criminosa aveva creato una catena di ristoranti in tutta Italia con il marchio I Butteri, bensì nella obiettiva omonimia tra il marchio della società appellante e quello utilizzato dal clan camorristico”): ratio che viene affrontata nel secondo motivo del ricorso.

Ora, a parte che non si tratta propriamente di una omonimia, bensì di una identità del marchio giacchè nella premessa di fatto la stessa ricorrente ammette di avere concesso l’utilizzo del proprio marchio ad una società operante in (OMISSIS), è evidente che il secondo motivo non è fondato nella sua denuncia di omesso esame di fatto discusso e decisivo: al contrario, la questione della sussistenza nel caso di specie dell’effetto lesivo della reputazione della ricorrente è stata affrontata dalla corte territoriale, che l’ha valutato inesistente; e la doglianza, non potendo evidenziare una reale omissione dell’esame, si sposta a ben guardare su un piano di critica diretta del suo contenuto ovviamente fattuale, offrendo una valutazione alternativa degli esiti istruttori e giungendo pure a lamentare la mancata ammissione di prove testimoniali.

Il secondo motivo, dunque, non merita accoglimento, e ciò priva di interesse il primo motivo, dovendosi quindi concludere per il rigetto del ricorso con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis stesso art..

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 5000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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