Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10926 del 05/05/2010

Cassazione civile sez. III, 05/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 05/05/2010), n.10926

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ TARGET 2 SAS DI NAPOLETANO NICOLA & C. in persona del

suo

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA BARBERINI 52, presso lo studio dell’avvocato BISOGNI GIOVANNI

BATTISTA, rappresentata e difesa dall’avvocato FURLANETTO ALBERTO,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.G., R.P., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI PORTA CASTELLO 33, presso lo studio dell’avvocato AJELLO

ENRICO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NORDIO

GIUSEPPE, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 426/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del

17.7.06, depositata il 20/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’8/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MASSERA Maurizio;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. CARESTIA Antonietta.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 20 marzo 2009 la Target 2 S.a.s. di Napoletano & C. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 20 marzo 2008 dalla Corte d’Appello di Venezia, confermativa della sentenza del Tribunale di Venezia Sezione distaccata di San Dona di Piave – che aveva respinto la sua domanda finalizzata ad ottenere il compenso per la mediazione svolta in relazione alla compravendita immobiliare intervenuta tra R. P. e I.G.. Gli intimati hanno resistito con controricorso.

2- I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poiche’ la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, e’ ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che e’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per Cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimita’, imponendo ai patrocinante in Cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione (non specificate) del combinato disposto degli artt. 2950 e 2935 c.c.. Con il quesito finale chiede alla Corte di affermare che il dies a quo per il decorso della prescrizione del diritto alla provvigione coincide con il momento in cui il mediatore viene a conoscenza della conclusione dell’affare e non in quello in cui esso puo’ considerarsi materialmente concluso.

Il quesito si rivela astratto in quanto prescinde dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata. D’altra parte la stessa ricorrente sostanzialmente riconosce che la sentenza impugnata e’ conforme all’orientamento giurisprudenziale in materia, anche se spiega le ragioni per cui non lo condivide. Dal combinato disposto degli artt. 1755 e 2950 c.c. si evince che la prescrizione del diritto alla provvigione per la mediazione inizia a decorrere dalla conclusione del contratto, assumendo al riguardo rilievo, in base al disposto dell’art. 2935 c.c., la mera possibilita’ legale di esercizio del diritto, e non anche gli impedimenti soggettivi, ancorche’ determinati dal fatto di un terzo, e gli ostacoli di mero fatto, come quelli che trovano la loro causa nell’ignoranza, da parte del titolare, dell’evento generatore del suo diritto e nel ritardo con cui egli proceda ad accertarlo (Cass. Sez. 3^, n. 14576 del 2007). Peraltro l’impossibilita’ di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, e’ solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, ne’ il dubbio soggettivo sull’esistenza del diritto o il ritardo nell’accertarlo.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione (anche in questo caso non specificate) appunto dell’art. 2941 c.c., n. 8. Il quesito finale chiede alla Corte di stabilire che il silenzio mantenuto dalle parti in relazione alla conclusione del contratto de quo, ove integrato da alcuni comportamenti tenuti dalle parti, e’ idoneo ad integrare un contegno doloso idoneo sospendere il decorso della prescrizione. Anche questo quesito si rivela astratto poiche’ non specifica quali sarebbero i comportamenti delle parti che avrebbero integrato il silenzio che di per se’ – giurisprudenziale assolutamente costante – per interpretazione non integra il dolo previsto dall’art. 2941 c.c., n. 8. Inoltre il quesito non si presta all’enunciazione di un principio di diritto che, oltre ad essere decisivo del caso di specie, possa essere di applicazione generalizzata. Non e’ possibile attribuire carattere di dolo ad un comportamento umano senza compiere un accertamento di fatto ed esprimere valutazioni di merito. Infine la tesi della ricorrente trova ostacolo negli accertamenti di merito compiuti dalla Corte territoriale.

4.- La relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in Camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dalla ricorrente con la memoria si incentrano solo sui quesiti, di cui va invece ribadita l’inidoneita’ e trascurano le ulteriori ragioni esposte nella relazione;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010

 

 

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