Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10925 del 09/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/06/2020, (ud. 19/09/2019, dep. 09/06/2020), n.10925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2503-2(118 proposto da:

O.D., O.R., C.M.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA BARTOLOMEO MARLIANO 44, presso lo studio

dell’avvocato MICAELA CORSO, rappresentati e difesi dall’avvocato

GIUSEPPE NICOSIA;

– ricorrenti –

contro

P.A., P.G.;

– intimati –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1176/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LINA

RUBINO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. C.M.A., O.R. e O.D. hanno proposto ricorso per cassazione nei confronti di P.A. e P.G., e del Fondo di Rotazione per le Vittime di reati di stampo mafioso, in persona del suo legale rappresentante pro tempore presso il Ministero dell’Interno, avverso la sentenza n. 1176 del 22.5.2017 emessa dalla Corte d’Appello di Catania, depositata il 19.6.2017, con la quale la corte territoriale aumentava solo in parte il risarcimento dovuto loro per la morte per errore in un agguato mafioso del fratello e figlio dei ricorrenti, O.S., per mano dei contro ricorrenti.

2.1 ricorrenti propongono due motivi di ricorso, con i quali deducono la violazione dell’art. 1226 c.c., sulla valutazione equitativa del danno, e l’omessa motivazione su un punto decisivo, costituito della domanda di adeguare la misura del risarcimento, date le caratteristiche del fatto, ai valori massimi tabellari.

3. Resiste il Ministero con controricorso.

4. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta fondatezza dello stesso.

5. Il decreto di fissazione dell’adunanza camerale e la proposta sono stati comunicati al ricorrente.

6. Nel corso dell’adunanza fissata per l’esame del ricorso si è rilevato però che il ricorso stesso risultava notificato agli intimati P., che non svolgevano alcuna attività processuale in questa sede, presso il Servizio centrale di protezione in (OMISSIS), essendo gli stessi sottoposti a programma di protezione.

7. Con ordinanza interlocutoria n. 13939 del 22 maggio del 2018 veniva rimesso al Primo Presidente, affinchè valutasse l’opportunità della assegnazione alle Sezioni Unite, l’esame della questione di massima di particolare importanza relativa al coordinamento delle disposizioni di cui all’art. 137 c.p.c., ss., in tema di notificazione degli atti del processo civile con la norma speciale, valevole per i testimoni e i collaboratori di giustizia ammessi ad un programma speciale di protezione, contenuta nel D.L. 15 gennaio 1991, n. 8, art. 12, comma 3 bis, che prevede la domiciliazione legale di tali persone presso la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misura di protezione, e il ricorso rinviato a nuovo ruolo. La questione è stata risolta da Cass. S.U. n. 33208 del 2018, che ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di notificazione di atti processuali civili nei confronti di collaboratore (o testimone) di giustizia, ammesso allo speciale programma di protezione e trasferito in località protetta, è valida la notifica effettuata al medesimo con le forme previste dagli artt. 139 o 149 c.p.c., presso la residenza risultante dai registri anagrafici (cd. “polo residenziale fittizio”, coincidente con una caserma o posto di polizia individuati dal servizio centrale di protezione nell’interesse del beneficiario), non potendo il notificante conoscere, anche usando la massima diligenza, l’effettiva residenza del collaboratore, segretata per ragioni di sicurezza, e potendo il notificatario far valere con le forme di rito l’eventuale mancata conoscenza dell’atto notificatogli a mezzo del consegnatario (individuato nell’appartenente alle forze dell’ordine addetto alla ricezione, con successivo inoltro, per via gerarchica, al servizio centrale di protezione, onerato del recapito presso il domicilio effettivo del collaboratore, in modalità riservata), spettando al prudente apprezzamento del giudice valutare ogni comprovato elemento al fine di accogliere, o meno, la richiesta di rimessione in termini.”, alla stregua del quale la notifica del ricorso, eseguita presso il Servizio centrale di protezione in Roma, deve ritenersi regolare.

Il ricorso è stato quindi rifissato per la trattazione dinanzi alla sesta Sezione civile.

Diritto

RITENUTO

che:

il ricorso è infondato.

Il collegio non conviene con le osservazioni contenute nella proposta, secondo le quali la motivazione in punto di personalizzazione del danno non patrimoniale spettante ai congiunti di una vittima di mafia, fosse inferiore al minimo costituzionale.

Nel caso di specie, essa non è sindacabile, non risultando meramente apparente o totalmente illogica, e comunque non collocandosi al di sotto del minimo costituzionale (essendo questo il ristretto ambito attuale di sindacabilità della motivazione, come individuato da Cass. S.U. n. 8053 e 8054 del 2018 alla luce delle disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134).

In tema di contenuto della sentenza, infatti, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 3819 del 2020).

La sentenza impugnata – che accoglie in parte l’appello degli attuali ricorrenti, tendente ad una più adeguata personalizzazione del danno da essi subito – enuncia tutti gli elementi da tenere in considerazione ai fini di una adeguata personalizzazione da operare nel particolare caso del risarcimento del danno in favore delle vittime di fatto costituente reato – condizioni soggettive, turbamento d’animo, entità della sofferenza ed anche la gravità obiettiva del fatto. Benchè la liquidazione del danno anche in questo caso non abbia una valenza punitiva, infatti, la sofferenza che provoca e lo sconvolgimento che determina nella vita delle vittime la commissione del reato è collegata anche alla gravità e, nel caso di specie, alla gratuità di esso, essendo la vittima principale stata coinvolta per errore in un agguato di mafia.

Di tutti questi elementi però la sentenza tiene conto e dà conto, alle pagine due e tre di una motivazione che, benchè stringata, non è per questo apparente, e ridetermina l’ammontare collocandolo, nella forbice presa in considerazione e della cui esattezza non si dubita, verso il margine più alto.

I familiari della vittima principale, attuali ricorrenti, sentono come inadeguata questa quantificazione ed avrebbero voluto una personalizzazione che, come pure è possibile, si scostasse dal parametro abituale di riferimento per attestarsi su valori più elevati proprio in considerazione di quelle particolari circostanze, della brutalità e della efferatezza dell’evento.

Bisogna a questo proposito puntualizzare che nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all’integrità psico-fisica – le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell’equità su tutto il territorio nazionale, ma sono legittimamente adottabili a parametro di riferimento. Qualora il giudice scelga di utilizzare i predetti parametri tabellari, la personalizzazione del risarcimento non può discostarsi dalla misura minima prevista, mentre una personalizzazione che si collocasse al di sopra dei limiti massimi delle tabelle di riferimento adottate sarebbe pienamente legittima ove giustificata dalla peculiarità del caso di specie, ma la scelta di non ritenerla necessaria rientra nella legittima valutazione equitativa del danno effettuata dal giudice ai sensi dell’art. 1226 c.c., come tale non sindacabile se non sotto il profilo della carenza assoluta di motivazione nei limiti attuali sopra ricordati.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese nei confronti dei P., non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede. Quanto al Ministero, il cui interesse come enunciato a pag. 3 del controricorso, è indiretto, le spese del giudizio data l’assoluta eccezionalità della vicenda che ha coinvolto loro malgrado i ricorrenti, possono essere compensate.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese di giudizio tra i ricorrenti e il Ministero dell’Interno. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2020

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