Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10923 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 08/06/2020), n.10923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11302/2019 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in Roma presso la Corte di

cassazione Rappresentato dall’avvocato Carotta Michele;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

21/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2020 da Dr. DI MARZIO MAURO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.G. ricorre per quattro mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 21 febbraio 2019, con cui il Tribunale di Venezia ha respinto, in conformità alla decisione della competente Commissione territoriale, la sua domanda di protezione internazionale o umanitaria.

Non spiega difese l’amministrazione intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo mezzo denuncia nullità ed erroneità del decreto impugnato in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione o falsa applicazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato.

Il secondo mezzo denuncia nullità del decreto impugnato ex art. 360 c.p.c., n. 3 per utilizzo criteri erronei e/o illegittimi per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente.

Il terzo mezzo denuncia nullità del decreto impugnato ex art. 360 numero 5 c.p.c. per utilizzo criteri erronei e/o illegittimi nella valutazione dei fatti rappresentati nella documentazione e nelle dichiarazioni rese dal richiedente.

Il quarto mezzo denuncia difetto sostanziale assoluto di motivazione del decreto impugnato.

Il ricorso è inammissibile.

Stabilisce l’art. 366 c.p.c., n. 3, che il ricorso per cassazione debba contenere l’esposizione sommaria dei fatti di causa.

Nel caso in esame una comprensibile esposizione sommaria dei fatti di causa è totalmente carente.

A pagina 2 del ricorso il ricorrente dedica poche righe alla narrazione della propria vicenda assumendo di avere lasciato il Senegal in quanto ricercato da ribelli separatisti delle forze del Movimento Democratico di (OMISSIS), che lo avevano rapito assieme ad un suo connazionale allo scopo di reclutarlo. Dopo di che, non si sa che cosa il richiedente abbia dichiarato in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, come pure si ignora quale attività abbia compiuto la Commissione. Non è dato sapere inoltre quale fosse il contenuto del ricorso proposto al Tribunale, quale l’attività svolta da quest’ultimo, e quali le motivazioni della decisione adottata.

In ogni caso il primo motivo è inammissibile non solo perchè totalmente incomprensibile, ma perchè privo di relazione con il provvedimento impugnato, il quale ha affermato che “la vicenda nel suo complesso appare non veritiera alla luce delle molteplici imprecisioni e contraddizioni in cui è caduto il ricorrente” (pagina 7 del decreto impugnato). Affermazione questa che il motivo non sfiora neppure.

Il secondo motivo è inammissibile.

Si tratta di una censura totalmente stereotipata e generica, che omette del tutto di prendere in considerazione gli argomenti svolti dal Tribunale per negare l’attendibilità del richiedente: “il ricorrente ha, in un primo momento, dichiarato che il rapimento è avvenuto mentre egli faceva ritorno a casa… dal mercato settimanale di (OMISSIS). Poco dopo, richiesto di precisare meglio le circostanze del rapimento egli ha affermato che si trovava a Kafountine, luogo che si trova a più di 160 km di distanza da (OMISSIS). Ancora, mentre avanti alla Commissione il ricorrente ha dichiarato di aver tentato di fuggire una prima volta e di essere stato per questo torturato prima di fuggire la seconda volta, all’udienza del 6 marzo 2017 egli ha contrariamente affermato di non aver manifestato ai ribelli la volontà di non aderire al movimento e, per tale motivo, di essere pertanto riuscito a fuggire perchè da costoro lasciato tranquillo. Quanto ai dettagli della fuga, il ricorrente ha dichiarato avanti alla Commissione di non sapere neppure in quale città si trovasse la stazione da cui è partito per il Mali, nonostante tale luogo gli fosse stato indicato dai pescatori che lo avevano aiutato a fuggire e, soprattutto, nonostante gli avesse poi chiesto al fratello di farsi inviare proprio in quel luogo del denaro per fuggire. Diversamente, all’udienza del 6 marzo 2018, il ricorrente ha subito indicato in Kafountine il luogo in cui si trovava la stazione in cui è iniziata la fuga verso il Mali. Infine, anche in relazione all’invio dei soldi per la fuga, avanti alla commissione il ricorrente ha dichiarato di aver contattato il proprio fratello perchè gli mandasse dei soldi, come l’amico aveva contattato la propria famiglia per il medesimo motivo. All’udienza del 6 marzo 2018, invece, egli ha parlato di un’erronea traduzione dell’interprete e ha cambiato la propria versione, affermando come fosse stato il fratello dell’amico ad inviare i soldi per la fuga di entrambi. Tuttavia, poichè avanti alla commissione erano state rivolte puntuali domande cui il ricorrente ha fornito precise risposte… Un errore di traduzione non può che essere escluso.

Molto generica, infine, è stata la descrizione della vita al campo dei ribelli, nelle due settimane di permanenza del ricorrente”. Il motivo è svolto come se la motivazione precedente neppure comparisse nel decreto impugnato.

Il terzo motivo è inammissibile perchè si colloca completamente al di fuori della previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il quale consente di denunciare l’omessa considerazione di un fatto storico decisivo e controverso, fatto del quale nel ricorso non vi è alcuna menzione.

Inoltre il motivo assortisce temi totalmente eterogenei, quali quello della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14), e dei “gravi motivi di carattere umanitario”: ma, da un lato, la censura mira a ribaltare il giudizio di merito svolto dal Tribunale in ordine alla situazione del paese di provenienza, fondata sul debito richiamo a pertinenti fonti informative, con conseguente insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, dall’altro lato non spiega perchè il giudice avrebbe errato nel negare la protezione umanitaria, nel più totale difetto di un qualsiasi accenno alle condizioni individuali di vulnerabilità del richiedente.

Il quarto motivo è inammissibile.

Esso dice infatti che il decreto sarebbe privo di motivazione, ma manca totalmente di prenderne in considerazione il contenuto che si protrae per 11 pagine alle quali il ricorso non riserva alcuna analisi.

3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, dando atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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