Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1092 del 18/01/2011

Cassazione civile sez. III, 18/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 18/01/2011), n.1092

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18905/2009 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministero pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 679/2008 del TRIBUNALE di POTENZA, depositata

il 06/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;

è presente il P.G. in persona del Dott. AURELIO GOLIA.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. Il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione contro M.A. avverso la sentenza del 6.9.2008, con la quale il Tribunale di Potenza ha dichiarato inammissibile l’appello da esso ricorrente proposto avverso la sentenza, con la quale il Giudice di pace di Bella:

a) in accoglimento della domanda proposta dall’intimato, l’aveva condannato al pagamento della somma di Euro 1.078,80, oltre interessi legali dalla domanda, quale corrispettivo per la consegna (nella qualità di dipendente del Comune di Bella) di una serie di certificati elettorali relativi alle elezioni per il referendum popolare del 1999;

b) e nel contempo aveva dichiarato inammissibile per carenza di connessione con la domanda principale la domanda riconvenzionale svolta dallo stesso Ministero per l’accertamento della insussistenza di qualsiasi rapporto inter partes in relazione a consegna di certificati elettorali per qualsiasi consultazione (politica, europea, amministrativa, referendaria) che avesse interessato il territorio comunale di competenza dell’attore e per l’intero arco del rapporto di lavoro di messo comunale del medesimo.

Al ricorso la parte intimata non ha resistito.

2. – Il ricorso propone quattro motivi ed osserva l’art. 366 bis c.p.c.. Con il primo motivo il ricorrente deduce “erronea declaratoria di inesistenza della costituzione del ministero in primo grado e della riconvenzionale ivi proposta” e si duole che erroneamente sia stata ritenuta inesistente la sua costituzione in primo grado, in quanto avvenuta a mezzo posta. Il secondo motivo deduce “erronea declaratoria di inammissibilità dell’appello:

violazione degli artt. 10 e 36 c.p.c., e art. 40 c.p.c., comma 6 e art. 113 c.p.c., comma 2, e art. 339 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, sotto il profilo che il Giudice di pace, avendo considerato il ricorrente costituito, aveva deciso, sia pure con una pronuncia di inammissibilità per mancanza di connessione, sulla domanda riconvenzionale e, pertanto, essendo essa di valore indeterminato ed esulando dalla competenza per valore del Giudice di pace e non avendo questi applicato l’art. 40, comma 6, che avrebbe dovuto comportare la rimessione di tutta la controversia al tribunale, il mezzo di impugnazione esperibile, avuto riguardo alle statuizioni di cui alla sentenza n. 13917 del 2006 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e non potendo, d’altro canto, esso ricorrente autoriconoscersi contumace, non avrebbe potuto che essere l’appello, in quanto la riconvenzionale era soggetta a regola di decisione secondo diritto e la sua regola di decisione attraeva quella sulla domanda principale, stante la connessione. Il terzo motivo deduce “difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, trattandosi di controversia in materia di pubblico impiego relativa a questioni attinenti al periodo anteriore al 1 luglio 1998, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1. Vi si deduce che la domanda principale proposta dalla parte intimata, in quanto afferente a prestazioni effettuate prima del 30 giugno 1998, sarebbe soggetta alla giurisdizione del Giudice amministrativo, sulla base del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte nella sentenza n. 6416 del 2005, che viene prospettato come quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (e riferito anche alle seguenti decisioni delle Sezioni Unite: Cass. sez. un. nn. 6329, 6409, 6410, 6411, 6412, 6413, 6414, 6415, 6416 e 6417).

Il quarto motivo deduce “omissione di pronuncia, in conseguenza dell’erronea dichiarazione di contumacia del Ministero dell’Interno, sul difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione:

violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4″, sotto il profilo che, in ragione della ritenuta contumacia in primo grado del Ministero, non vi sarebbe stata pronuncia sull’eccezione di difetto di legittimazione passiva ai sensi della L. n. 202 del 1991, art. 4, che era stata invocata dalla parte intimata a sostegno della propria domanda. Il motivo viene sostenuto invocandosi l’interpretazione autentica di tale norma da parte della norma del D.L. n. 80 del 2004, art. 1 quinquies, convertito nella L. n. 140 del 2004 ed invocando i principi di cui a Cass. sez. un. n. 8091 del 2006 e 6409 del 2005, per come richiamati da Cass. sez. lav.

n. 25571 del 2006.

3. – Deve preliminarmente rilevarsi che sia il primo che il secondo motivo sono funzionali alla censura della correttezza della dichiarazione di inammissibilità dell’appello da parte del Tribunale. Ciò premesso, si deve ritenere che sia logicamente preliminare il secondo motivo, con cui si vuole in sostanza sostenere che – al contrario di quanto aveva ritenuto il Giudice di pace – esisteva una ragione di connessione fra la domanda principale e la riconvenzionale e che, essendo quest’ultima di competenza per valore eccedente non solo il limite equitativo, ma anche la stessa competenza per valore del Giudice di pace, e, pertanto, automaticamente soggetta a regola di decisione secondo diritto, ne sarebbe seguita l’estensione di tale regola anche alla domanda principale, di modo che l’intera controversia era rimasta soggetta a regola di decisione secondo diritto e come tale si sarebbe dovuta apprezzare dal Tribunale ai fini dell’ammissibilità dell’appello.

Effettivamente la ragione di connessione sussisteva, poichè il Ministero nel richiedere l’accertamento negativo di qualsiasi rapporto di debito per le notificazioni di certificati elettorali in relazione a qualsiasi consultazione elettorale aveva svolto una domanda di accertamento negativo del diritto al rimborso, che si presentava in rapporto di continenza con la pretesa oggetto della domanda principale, nel senso che nell’oggetto dell’accertamento negativo richiesto (relativo ad ogni consultazione elettorale) era compreso anche quello della pretesa di rimborso azionata con azione di condanna (e, quindi, di accertamento positivo) dal messo notificatore con specifico riferimento ad una determinata consultazione, cioè l’oggetto della domanda principale. Il rapporto di connessione risulta, dunque, negato erroneamente dal Giudice di Pace.

Ora, v’è da chiedersi se questa negazione avesse determinato, per espressa risoluzione della relativa questione da parte del Giudice di pace, il venir meno della regola di decisione unitaria connessa al cumulo della cause, di modo che sulla riconvenzionale la decisione del Giudice di pace dovesse intendesi resa secondo diritto e sulla domanda principale resa secondo equità. Questa conseguenza deve escludersi e deve ritenersi che la sentenza con cui il Giudice di pace neghi la connessione fra le due cause sia stata resa secondo una regola unitaria e, particolarmente, per essere la decisione secondo diritto la regola e quella secondo equità l’eccezione, secondo diritto. Ne consegue che il Tribunale avrebbe dovuto ritenere l’appello ammissibile già per il fatto che investiva la decisione su un cumulo di cause da intendersi decise secondo diritto. Una volta ritenuta l’ammissibilità dell’appello, può essere scrutinato il terzo motivo con cui si deduce il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e la sussistenza della giurisdizione del G.A., per essere la pretesa oggetto della domanda principale relativa a fatti anteriori al 30 giugno 1998.

Tale questione di giurisdizione è decidibile dalla Sezione Semplice ai sensi dell’art. 374 c.p.c., nel testo novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, giacchè le Sezioni Unite si sono su di essa pronunciate più volte e la Sezione, del resto, ha già proceduto in tal senso in controversie analoghe (per tutte, ex multis, si veda Cass. n. 13520 del 2007; Cass. N. 12343/2008). Sennonchè tale questione è preclusa per essersi sul punto formato il giudicato implicito, con conseguente inammissibilità del motivo, poichè la sentenza del giudice di pace, che aveva deciso nel merito la causa e quindi aveva implicitamente affermato la sua giurisdizione sul punto non era stata impugnata, con conseguente giudicato implicito sulla questione della giurisdizione (Cass. civ., Sez. Unite, 09/10/2008, n. 24883). In ogni caso la questione di giurisdizione – palesemente dedotta in modo erroneo sulla falsariga di quanto in modo pertinente dedotto in altri ricorsi – va ritenuta infondata, per la ragione che nella specie si tratta di prestazioni svoltesi dopo il 30 giugno 1998.

Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.

4. – In riferimento a tale domanda appare manifestamente fondato il quarto motivo. La ragione può prospettarsi a seguito delle considerazioni che a questo punto merita la riconvenzionale del Ministero. Riguardo ad essa, infatti, perdura l’interesse del ricorrente alla decisione sulla questione della inesistenza della costituzione in primo grado dedotta con il primo motivo, perchè questa Corte, ove effettivamente la costituzione fosse stata correttamente ritenuta inesistente, dovrebbe, una volta acclarata l’ammissibilità dell’appello, dare rilievo alla inammissibilità della riconvenzionale in ragione della inesistenza della costituzione e cassare sul punto la sentenza. Non essendovi alcun accertamento da fare su tale inammissibilità la Corte potrebbe decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 nuovo testo c.p.c., comma 2, e dichiarare senz’altro inammissibile la riconvenzionale. Ora, la violazione consistita nell’inosservanza dello schema normativo che identifica il deposito con la consegna dell’atto al cancelliere (consegna che, come considera la stessa sentenza, richiamando giurisprudenza di questa Corte, può avvenire anche da parte di un nuncius del procuratore) è stata erroneamente ricondotta alla categoria della inesistenza, perchè l’attività compiuta non presenta uno scostamene tale dall’attività che sarebbe stata da compiere da impedire d’essere ricondotta al profilo funzionale di quest’ultima.

Nè ricorre un’ipotesi di nullità, che dipenderebbe – non essendovi previsione espressa di nullità – dalla insussistenza della idoneità al raggiungimento dello scopo: essa deve escludersi. Ritenuto, dunque, che la riconvenzionale, non essendovi stato alcun vizio della costituzione in primo grado, si deve considerare ritualmente formulata, una volta considerato che essa venne proposta senza conchiudere il chiesto accertamento negativo in un ambito collocatesi prima o dopo il 30 giugno 1998 e con espresso riferimento a tutta la durata del rapporto di lavoro del messo, su di essa va rilevato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e la giurisdizione del G.A. per quanto attiene al periodo fino alla data del 30 giugno 1998, mentre, quanto al periodo successivo (cui pure si deve ritenere estesa), essa rientra nella giurisdizione dell’A.G.O., come emerge chiaramente dai precedenti invocati dal ricorrente nell’esposizione del quarto motivo. Riguardo a questa parte della riconvenzionale, peraltro, la Corte dovrà rilevare la sussistenza delle condizioni per la decisione nel merito, poichè, come ritenuto dal precedente citato dal ricorrente nel quarto motivo ed anche da altri precedenti di questa sezione, la legittimazione passiva avverso la pretesa di rimborso per prestazioni successive alla data indicata compete al comune di cui è dipendente il messo comunale e non al Ministero dell’Interno e, pertanto, la domanda in parte qua andrà dichiarata fondata, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Questi rilievi giustificano anche la fondatezza del quarto motivo di ricorso rispetto alla domanda principale, sulla quale si dovrà affermare la giurisdizione. Infatti, essendo tale domanda proposta con riferimento a prestazione svoltasi dopo il 30 giugno 1998 l’azione non poteva essere proposta contro il Ministero, ma doveva essere rivolta contro il Comune e, conseguentemente la sentenza impugnata va cassata in parte qua senza rinvio per il difetto di legittimazione passiva del Ministero, pertanto vanno rigettati i primi tre motivi di ricorso ed accolto il quarto, con la cassazione dell’impugnata sentenza”.

Il Collegio condivide le argomentazioni della relazione.

Il Collegio ritiene, pertanto, che la sentenza vada cassata e, decidendo la causa nel merito, vada rigettata la domanda principale ed accolta la riconvenzionale, dichiarando insussistente alcun rapporto fra l’intimato ed il ricorrente relativamente alle dette prestazioni.

Quanto alle spese dell’intero svolgimento processuale, la Corte ritiene che ricorrano giusti motivi per la compensazione delle spese sia dei gradi di giudizio di merito, sia di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Rigetta i primi tre motivi di ricorso ed accoglie il quarto. Cassa la sentenza impugnata quanto alla domanda principale dell’intimato e quanto alla domanda riconvenzionale del ricorrente, e, decidendo nel merito sulla domanda principale e sulla riconvenzionale, rigetta la prima ed accoglie la seconda, dichiarando insussistente alcun rapporto fra l’intimato ed il ricorrente relativamente alle dette prestazioni. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA