Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10915 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. II, 26/04/2021, (ud. 10/09/2020, dep. 26/04/2021), n.10915

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6597/2016 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ACQUA DONZELLA,

27, presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4287/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Roma, accolta la domanda dell’avv. T.G., condannò C.M. al pagamento della somma di Euro 14.427,38, oltre interessi, a titolo di competenze professionali;

– proposto appello da parte del C., all’udienza del 19/2/2014 il processo veniva dichiarato interrotto a causa della sospensione dall’esercizio della professione forense del legale della T.;

– la Corte locale, con ordinanza dell’1/10/2014, rigettò l’istanza con la quale l’appellata aveva chiesto dichiararsi estinto il processo per intempestività della riassunzione, intervenuta con atto notificato il 26/3/2014, sul presupposto che, trattandosi di processo instaurato nel 2007, la disciplina applicabile era quella dell’art. 305 c.p.c., nel testo anteriore alla riforma di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 14, prevedente termine semestrale;

– riproposta l’eccezione nel giudizio d’appello, la Corte di Roma confermò la precedente ordinanza e nel merito rigettò la domanda, riformando in toto la sentenza di primo grado;

ritenuto che avverso la statuizione d’appello T.G. propone ricorso sulla base di quattro motivi e che la controparte è rimasta intimata;

ritenuto che con il primo motivo, avente rilievo pregiudiziale, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 300,301,305,306,307,325 e 327 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, assumendo che la Corte locale era incorsa in errore per avere identificato il momento interruttivo nella dichiarazione in udienza del 19/2/2014, invece che nella comunicazione dell’evento interruttivo effettuata personalmente alla parte in data 19/9/2013.

Diritto

CONSIDERATO

che la doglianza è fondata sulla base di quanto segue:

– dopo aver correttamente reputato applicabile il termine semestrale e non quello trimestrale, valevole per i processi instaurati successivamente all’entrata in vigore della ricordata novella, tuttavia, la Corte di merito non ha fatto applicazione del principio di diritto più volte affermato da questa Corte, secondo il quale la morte, la radiazione o la sospensione dall’albo dell’unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito (o, come nella specie, di avvocato personalmente costituito) determina automaticamente l’interruzione del processo anche se il giudice e le altri parti non ne abbiano avuto conoscenza (e senza, quindi, che occorra, perchè si perfezioni la fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell’evento), con preclusione di ogni ulteriore attività processuale, che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza. Ne consegue che la nullità della sentenza d’appello potrà essere dedotta e provata per la prima volta nel giudizio di legittimità a norma dell’art. 372 c.p.c. e che, nel caso di accoglimento del ricorso, la sentenza, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., dovrà essere cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, nella stessa fase in cui si trovava il processo alla data dell’evento interruttivo (Sez. 6, 15/1/2018, Rv. 647332; conf., ex multis, Cass. nn. 22268/2010, 3459/2007);

considerato che ciò posto la sentenza deve essere cassata senza rinvio perchè la causa non poteva proseguire, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, con il consequenziale assorbimento dei successivi tre motivi, con i quali, rispettivamente, la ricorrente lamenta nullità della notificazione dell’atto di riassunzione per violazione della L. n. 53 del 1994, artt. 1, 3, 11, artt. 139-140 e 327 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,2697 c.c., artt. 112 e 167 c.p.c., per non avere la controparte presentato domanda riconvenzionale, ma una mera eccezione; violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 167 c.p.c., 1176, 2236, 1453 e 1460 c.c., non sussistendo la colpa professionale ritenuta in sentenza;

considerato che Le spese legali debbono seguire la soccombenza e che le stesse possono liquidarsi siccome in dispositivo in favore della ricorrente, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle allività svolte.

PQM

accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, e cassa la sentenza impugnata senza rinvio; condanna l’intimato al pagamento delle spese legali in favore della ricorrente, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

 

 

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