Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10911 del 26/04/2021

Cassazione civile sez. II, 26/04/2021, (ud. 10/09/2020, dep. 26/04/2021), n.10911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5210/2016 proposto da:

GM SERVIZI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI, 59,

presso lo studio dell’avvocato MARIA SALAFIA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAURIZIO PICCOLI;

– ricorrente –

contro

UNITEL SRL, in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente

domiciliata in ROMA, V. COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO MIGLIACCIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FLAVIO

BONAZZA;

– controricorrente –

e contro

P.V., A.C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 234/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 15/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La srl G.M. Servizi ebbe ad avviare causa avanti il Tribunale di Trento per sentir accertare il suo diritto al pagamento del compenso da parte di P.V., A.C.M. e la srl Unitel in dipendenza dell’acquisto di bene immobile da essa società mediato.

Sosteneva parte attrice di aver curato la messa in vendita di immobile, sito in (OMISSIS), e che l’ing. Dott. P., su suo incarico, ebbe ad eseguire accessi presso detto stabile, che alla fine fu acquistato, direttamente dal venditore, dalla srl Unitel, società della quale la moglie del P., A.C.M., deteneva quota pari ad un terzo del capitale.

Resistevano e la srl Unitel e la A., deducendo di non aver avuto alcun contatto con la società mediatrice, mentre il P. sosteneva di non aver usufruito dell’attività professionale della società attrice, avendo aliunde appreso della messa in vendita dello stabile.

Il Tribunale trentino ebbe a rilevare l’assenza di prova in ordine alla regolare iscrizione all’albo professionale del legale rappresentante ovvero del suo collaboratore, che in concreto curò l’attività di mediazione, e rigettò la domanda. Propose gravame la srl G.M. Servizi e, resistendo sia il P. che i consorti srl Unitel – A., la Corte d’Appello di Trento ebbe a rigettare l’impugnazione sull’osservazione che il fatto rilevato, ex officio, dal primo Giudice – mancata iscrizione all’apposito albo – non era affatto coperto da non contestazione di contro parte e che la documentazione all’uopo dimessa in corso di causa era da ritenersi tardiva.

La srl G.M. Servizi ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte trentina articolando tre ragioni di doglianza.

La srl Unitel ha resistito con controricorso, illustrato anche con memoria difensiva, mentre P.V. e A.C.M. sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso articolato dalla srl G.M. Servizi risulta privo di pregio giuridico e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione la società ricorrente deduce violazione delle norme portate dagli artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè art. 2697 c.c., posto che la Corte trentina aveva proceduto a rilevare questione non contestata dalle controparti e, così, da ritenersi pacifica in causa – regolare iscrizione presso l’allora esistente Ruolo dei mediatori – ed un tanto in contrasto con il costante insegnamento sul punto di questo Supremo Collegio.

La svolta censura s’appalesa siccome priva di fondamento giuridico posto che la Corte trentina, nell’adottare la sua statuizione in punto difetto di prova della necessaria iscrizione all’Albo professionale del legale rappresentante la società e del collaboratore che espletò nello specifico l’attività mediatoria, non ha violato le regole di diritto evocate.

Difatti la norma ex art. 2697 c.c., regola l’onere della prova e, di certo, il malo uso del principio di non contestazione, ex art. 115 c.p.c., non rileva al riguardo, poichè è principio riconosciuto dalla stessa società ricorrente che è onere del mediatore dar prova della condizione dell’azione alla base della sua domanda afferente il pagamento del compenso, ossia la sua iscrizione all’Albo prescritto.

La norma ex art. 112 c.p.c., afferisce al principio della domanda e di certo una questione afferente la valutazione probatoria non può mai rientrare nell’ambito d’azione della citata disposizione codicistica – Cass. sez. 2 n. 2085/95, Cass. sez. 1 n. 7472/17 -.

Quanto alle regole desumibili ex artt. 115 e 116 c.p.c., le stesse appaiono pienamente rispettate dal Collegio territoriale in quanto ebbe partitamente ad esaminare la questione – nuovamente riproposta con il mezzo d’impugnazione in esame – se fosse questione incontestata – quindi sottratta al rilievo ex officio del Giudice – il dato fattuale dell’iscrizione all’Albo professionale di legale rappresentante e collaboratore, condizione dell’azione di pagamento del compenso al mediatore.

I Giudici trentini hanno puntualmente messo in rilevo come l’unica affermazione fattuale, presente in citazione e non contestata, era da rinvenirsi nell’iscrizione presso la Camera di Commercio della società quale agente di commercio e non anche l’iscrizione all’Albo professionale del suo legale rappresentante e del collaboratore che fattivamente opero l’attività mediatoria nel caso di specie.

Di conseguenza la Corte distrettuale, espressamente richiamando il principio posto dall’art. 115 c.p.c. e l’arresto di legittimità evocato dalla parte ricorrente a sostegno della sua critica, ritenne fatti non coperti dalla non contestazione delle controparti l’iscrizione al Ruolo professionale delle due persone fisiche inserite nella società attrice.

Dunque la Corte trentina ha rispettato le regole iuris poste dalle norme, evocate a sostegno della censura, poichè sulla scorta del suo prudente apprezzamento – art. 116 – ha motivatamente ritenuto che il fatto correlato all’iscrizione anche dei due soggetti persone fisiche, che ebbero ad agire nella specie quali organi della società nella specie, non era coperto dalla non contestazione ex art. 115 c.p.c., comma 1.

Con la seconda ragione di doglianza la società mediatrice rileva, nuovamente, la violazione delle norme desumibili dagli articoli di legge già evocati in relazione al primo motivo, oltre che l’omesso esame di fatto decisivo, ossia la prova documentale circa l’effettiva iscrizione all’Albo professionale anche dei soggetti persone fisiche operanti a suo nome.

Osserva la società ricorrente d’aver, a seguito dell’ordinanza resa ex art. 101 c.p.c., comma 2, dal Giudice di prime cure, provveduto a depositare documentazione attestante l’iscrizione presso la Camera di Commercio come agente in mediazione del M., suo collaboratore che espletò la specifica attività di mediazione, sicchè, come anche insegnano al riguardo arresti di questa Suprema Corte, il Collegio trentino non poteva ritenere non fornita la prova ritenuta mancante ovvero tardiva la sua produzione, poichè eseguita su esplicita sollecitazione del primo Giudice.

Inoltre parte ricorrente osserva come il Collegio trentino nemmeno ebbe a disporre le prove proposte appositamente per dimostrare la già intervenuta iscrizione anche del suo legale rappresentante, posto che non era più possibile ottenere la certificazione dell’iscrizione all’Albo professionale ex lege n. 39 del 1989 per l’abolizione dello stesso con la disciplina legislativa del 2010.

Già la proposizione contemporanea di vizi di legittimità logicamente e giuridicamente incompatibili tra loro lumeggia l’aspecificità della ragione di doglianza mossa.

Difatti il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3, presuppone la correttezza della ricostruzione fattuale della questione ma il suo errato inquadramento nella fattispecie giuridica astratta di regolamento ovvero la mala applicazione della stessa al caso concreto pacifico in fatto.

Il vizio disciplinato dall’art. 360 c.p.c., n. 5 – invece – presuppone proprio l’erronea ricostruzione fattuale della fattispecie poichè omesso l’esame di un fatto storico all’uopo rilevante.

Dunque i due vizi non possono convivere poichè il loro presupposti fattuali e giuridici antitetici.

Inoltre il motivo di censura, siccome in concreto svolto nel ricorso, appare generico anche perchè prescinde dal confronto con la motivazione al riguardo resa dalla Corte trentina.

Difatti il Collegio territoriale ha rilevato come parte appellante ebbe a produrre documentazione circa la regolare – all’epoca – iscrizione del suo collaboratore, che in concreto curò l’attività mediatoria, solo a seguito della sollecitazione ex art. 101 c.p.c., comma 2, del primo Giudice, formulata però una volta scaduti i termini per la precisazione dei mezzi di prova ex art. 183 c.p.c.. La tesi sostenuta dalla società ricorrente appare fondata su affermazione fattuale errata e sull’opinio iuris che detta sollecitazione consenta una rimessione in termini anche a fini probatori in ordine alla questione sollevata ex officio dal Giudice a sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2.

Anzitutto va – in fatto – rilevato come il Tribunale – per quanto desumibile dallo stesso ricorso – non già ebbe a sollecitare la parte a fornire la prova dell’iscrizione dei suoi agenti, bensì sottopose loro – per stimolare il contraddittorio sul punto – questione rilevata ex officio ossia l’iscrizione all’Albo professionale richiesta ex lege n. 39 del 1989, delle persone fisiche rappresentanti la società mediatrice.

Quindi, in dogma, va osservato come lo stimolo al contraddittorio richiesto dalla disposizione portata in art. 101 c.p.c., comma 2, appare correlato a “questione” rilevata ex officio dal Giudice siccome incidente sulla lite, ossia a problematica desumibile ex actis che le parti non hanno prospettato e discusso in causa ma atta a generare un nuovo sviluppo della lite – Cass. sez. 5 n. 6218/19 -, non anche ai dati probatori afferenti la stessa non dedotti dalle parti benchè rilevanti.

Dunque il Giudice dovrà comunque decidere la lite, compresa la questione nuova, in forza degli alligata e probata in atti, tempestivamente proposti nei termini ex art. 183 c.p.c..

Con relazione poi all’iscrizione all’Albo professionale od al successivo Registro del legale rappresentante, la Corte trentina ha puntualmente osservato come non fosse possibile superare l’inerzia probatoria della parte mediante l’uso dello strumento ex art. 213 c.p.c., che non ha natura di prova riservata all’iniziativa di parte bensì facoltà d’indagine propria del Giudice – Cass. sez. 3 n. 34158/19 -.

Facoltà da esercitare secondo il suo prudente apprezzamento non per sopperire all’inerzia probatoria di parte, ma in presenza di tempestiva istanza e di accertata impossibilità per la parte di conseguire la documentazione necessaria dalla Pubblica Amministrazione – Cass. sez. 3 n. 6101/13, Cass. SL n. 6218/09, situazioni nella specie ritenute non concorrenti dalla Corte trentina con apprezzamento discrezionale.

Non concorre, quindi, alcun omesso esame di fatto rilevante poichè il Collegio territoriale ha esaminata la questione e data soluzione solamente sgradita alla parte.

Con il terzo mezzo d’impugnazione la srl G.M. Servizi riproponeva le sue difese afferenti il merito della sua pretesa.

Detta questione rimane superata una volta rigettati i mezzi d’impugnazione afferenti la legittimità della sentenza gravata con conseguente rigetto del ricorso per cassazione.

Al rigetto dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna della società ricorrente alla rifusione verso la srl Unitel delle spese di lite di questo giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.300,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense siccome indicato in dispositivo.

Parte ricorrente dovrà anche versare nuovamente il contributo unificato, concorrendone i requisiti di legge.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la G.M Servizi srl a rifondare alla srl Unitel le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.300,00 oltre accessori di legge e rimborso forfetario ex tariffa forense nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2021

 

 

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