Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10908 del 18/04/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/04/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 18/04/2019), n.10908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22813/2014 R.G. proposto da:

B.F., ritenuto erroneamente erede del sig. B.U.,

deceduto in data 12-2-1994, rappresentato e difeso, anche

disgiuntamente, dall’Avv. Claudio Lucisano, dall’Avv. Natale Mangano

e dall’Avv. M. Sonia Vulcano; con domicilio eletto presso lo studio

del primo in Roma, Via Crescenzio n. 91, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Centrale del

Piemonte, n. 1873/2013, depositata il 16 luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2019

dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle entrate notificava avviso di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nei confronti di B.U., per l’anno 1975, con rettifica dei redditi da Lire 4.008.000 a Lire 25.000.000, con conseguenti maggiori imposte per Irpef e Ilor, avendo omesso il contribuente di indicare in dichiarazione i redditi derivanti da obbligazioni pubbliche esenti ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31.

2. La Commissione tributaria di primo grado di Torino accoglieva il ricorso, in base alla documentazione prodotta, con sentenza che veniva riformata dalla Commissione tributaria di secondo grado di Torino, con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

3. Il contribuente proponeva gravame dinanzi alla Commissione tributaria centrale, evidenziando che i capitali impegnati per l’acquisto dei BOT (buoni ordinari del tesoro) nel 1974 provenivano dalla vendita di un terreno nel 1969 e che, successivamente, i ricavi delle cedole erano stati reimpiegati per l’acquisto di ulteriori BOT.

4. In data 12-2-1994 decedeva il contribuente ed i chiamati all’eredità, B.F. e B.S., rispettivamente figlio e nipote del de cuius, avevano rinunciato all’eredità in data 28-4-1999.

La Commissione tributaria centrale in data 4-4-2013 inviava a B.F., quale erede di B.U., l’avviso di trattazione del ricorso. All’udienza B.F. produceva in giudizio l’atto di rinuncia all’eredità, come risultava dal verbale del 3-7-2013.

5. La Commissione tributaria centrale, quindi, rigettava il gravame proposto dal contribuente.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente.

7. L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione dell’art. 521 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”, in quanto ai sensi del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 31, nel caso di morte della parte, i termini processuali sono prorogati di sei mesi ed agli eredi che non hanno comunicato alla segreteria della commissione le loro generalità e la loro residenza, gli atti del procedimento possono essere notificati, entro un anno dalla morte della parte, collettivamente ed impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto. Nella specie, B.F., quale erede di B.U., ha prodotto alla Commissione tributaria centrale la dichiarazione di rinuncia all’eredità, ma la Commissione non ne ha tenuto conto in alcun modo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce “violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”, in quanto erroneamente la Commissione centrale ha ritenuto non sufficiente la documentazione da lui prodotta volta a dimostrare l’infondatezza della pretesa dell’ufficio. Le disponibilità per l’acquisto dei titoli dal 1974 al 1976 è derivata dalla vendita del terreno nel 1969.

3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta “omesso esame su un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la Commissione centrale ha affermato che dalla documentazione da lui prodotta risultava solo “un considerevole impiego di capitali nell’acquisto di detti titoli”, mentre il contribuente ha fornito prove documentali della circostanza che le somme impiegate per l’acquisto dei BOT provenivano dal reimpiego delle medesime somme all’esito dell’investimento.

3.1. Il primo è fondato.

3.2. Invero, è pacifico che il contribuente, dopo il decesso di B.U., abbia depositato dinanzi alla Commissione tributaria centrale la dichiarazione di rinuncia alla eredità di questi.

Ai sensi del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 31, (morte o incapacità delle parti o del rappresentante) “il termine per la proposizione del ricorso e tutti gli altri termini processuali pendenti alla data della morte della parte o del suo rappresentante o alla data della sentenza esecutiva che ne abbia dichiarato l’incapacità, sono prorogati di sei mesi a decorrere da tale data. Agli eredi, che non hanno comunicato alla segreteria della commissione le loro generalità e la loro residenza, gli atti del procedimento possono essere notificati, entro un anno dalla morte della parte, collettivamente ed impersonalmente nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata del defunto risultanti dagli atti del processo”.

Pertanto, nel processo tributario prima del D.Lgs. n. 546 del 1992 la morte della parte non determinava l’interruzione del processo, ma si verificavano gli effetti di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 31 (Cass., 19 luglio 2006, n. 16489).

Nella disciplina del processo tributario, all’epoca vigente, non era prevista l’obbligatorietà della difesa tecnica, per cui il contribuente poteva agire personalmente o mediante procuratore generale o speciale. La difesa tecnica era facoltativa e poteva essere affidata ai professionisti indicati nell’art. 30, comma 3.

Ai sensi del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 30, infatti, “il ricorrente, l’intervenuto ed il chiamato in giudizio davanti alla commissione tributaria possono agire personalmente o mediante procuratore generale o speciale”. Inoltre, al comma 2 si prevede che “sia la parte che il procuratore generale o speciale possono farsi assistere e rappresentare in giudizio da iscritti negli albi degli avvocati, procuratori, notai, dottori commercialisti, ingegneri, architetti…”.

Pertanto, la parte, anche non assistita da un difensore può produrre documenti, con la possibilità della Commissione di ordinarne alle parti l’acquisizione (D.P.R. n. 636 del 1972, art. 36 “i documenti debbono essere elencati negli atti di parte cui sono allegati ovvero se prodotti separatamente, in apposita nota…. Dinanzi alla commissione centrale possono essere prodotti nuovi documenti, inerenti ai motivi dell’impugnazione o della difesa, soltanto insieme al ricorso, al ricorso incidentale o alle deduzioni della parte resistente. Le commissioni di primo e di secondo grado e la commissione centrale hanno facoltà di ordinare alle parti l’esibizione di documenti ritenuti necessari per le decisioni di rispettiva competenza”).

L’erede, dunque, quale parte processuale, in grado di stare in giudizio personalmente, aveva anche il potere processuale di depositare dinanzi alla Commissione tributaria centrale la dichiarazione di rinuncia all’eredità ai sensi dell’art. 521 c.c..

Il chiamato all’eredità che rinunci ad essa, dunque, non risponde dei debiti del de cuius, in quanto la rinuncia ha effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 c.p.c. (Cass., 30 maggio 2018, n. 13639).

Inoltre, si è chiarito che l’assunzione delle obbligazioni del “de cuius” richiede l’accettazione dell’eredità, essendo insufficiente la partecipazione alla denuncia di successione, sicchè, seppure intervenuta tardivamente la rinuncia alla eredità ed omessa la rettifica della dichiarazione di successione, prevista dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 28, comma 6, l’assenza della pregressa accettazione esclude la legittimazione passiva per i debiti ereditari. Tuttavia la rinuncia tardiva, senza rettificazione della dichiarazione di successione, legittimando l’Amministrazione finanziaria a notificare l’atto impositivo, impone al contribuente la costituzione in giudizio e l’onere di provare la sua estraneità ai debiti ereditari tributari, gravando sulla parte pubblica la prova della decadenza dal diritto di esercizio di una valida rinuncia (Cass., 29 marzo 2017, n. 8053). E’, quindi, onere dell’Amministrazione provare l’insussistenza dei presupposti del diritto di rinuncia e l’eventuale decadenza dal medesimo (Cass., 13639/2018, cit.).

3.3. Peraltro, per questa Corte costituisce onere degli eredi produrre, nel giudizio di merito nel quale la questione della loro legittimazione venga, in concreto, a porsi, l’eventuale atto di rinuncia all’eredità, a fronte del quale incombe, poi, sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provarne la mancata inserzione nel registro delle successioni, di cui all’art. 52 disp. prel, c.c., ai fini dell’opponibilità di tale atto ai terzi (Cass., 3611/2016; Cass., 2820/2005; Cass., 3346/2014).

Nella specie, a fronte della produzione in giudizio della rinuncia all’eredità da parte del contribuente, non v’è stata alcuna allegazione o dimostrazione da parte dell’Amministrazione in ordine alla mancata inserzione nel registro delle successioni, nè contestazione specifica sulla validità della stessa.

4. I motivi secondo e terzo sono assorbiti, in ragione dell’accoglimento del primo motivo.

5. La sentenza deve, quindi, essere cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 c.p.c., in quanto il giudizio è divenuto improseguibile.

6. Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della intimata e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; condanna la resistente al pagamento in favore del contribuente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.415 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2019

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