Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10908 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 08/06/2020), n.10908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1468-2019 proposto da:

A.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI n. 8,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE FACHILE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DANIELE VALERI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 811/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso avverso il predetto provvedimento di rigetto.

Interponeva appello avverso detta decisione A.J. e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza impugnata n. 811/2018, rigettava il gravame.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto A.J. affidandosi a sei motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo e l’apparenza della motivazione del provvedimento impugnato, perchè quest’ultimo non conterrebbe elementi sufficienti a chiarire il percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di merito, in relazione alla valutazione negativa della credibilità delle dichiarazioni del cittadino straniero.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte anconetana avrebbe omesso di considerare lo scarso livello di tutela dei diritti umani nel Paese di origine del richiedente la protezione e di valutare le prove delle aggressioni e delle persecuzioni subite dall’ A. in conseguenza del suo credo religioso.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento dello status di rifugiato.

Le tre doglianze, che meritano un esame congiunto, sono fondate. Il richiedente aveva infatti dichiarato di essere cristiano pentecostale e di aver subito, per causa del suo credo religioso, diverse aggressioni ad opera dei cultisti adoratori del dio Olokun, del quale era stato adepto suo nonno e che avevano inutilmente tentato di convincere suo padre ad abbracciare la loro fede. In particolare, in data (OMISSIS) era stato aggredito in strada da parte di ignoti, armati di pistola, manganello e machete, e di aver ricevuto tagli alla schiena e al volto, in conseguenza dei quali aveva subito un ricovero ospedaliero, debitamente documentato con fotografie e certificazioni mediche. Nell’aprile del 2014, mentre stava dormendo in casa, l’ A. era stato nuovamente aggredito da ignoti, che irrompevano nella sua abitazione e sequestravano sia lui che i suoi genitori. Il ricorrente era riuscito a fuggire in modo fortunoso, abbandonando però i genitori, dei quali ignorava il destino, aveva vissuto per strada per un certo periodo, quindi era giunto a Tripoli, dove aveva trovato lavoro presso un autolavaggio, ed in seguito di lì era arrivato in Italia. Il ricorrente aveva anche prodotto una certificazione medica proveniente da un sanitario in servizio presso gli Ospedali Riuniti di Ancona che attestava la compatibilità delle cicatrici presenti sul suo corpo con esiti di lesione da armi da taglio.

Le allegazioni ed i riscontri relativi alle lesioni subite non sono state considerate dalla Corte territoriale, la quale si è limitata a valutare “… generico e lacunoso e non suffragato da alcuna prova certa: infatti asserisce di essere cattolico, ma alla domanda di cosa è lo Spirito Santo risponde “lavora con Dio”; nulla sa riferire sull’organizzazione della setta degli Ogboni; sul perchè non si è rivolto alla polizia risponde “non ho pensato di fare denuncia”. Anche quanto alle presunte minacce ricevute nulla riferisce in concreto ed anzi racconta di averle subite sulla strada” (cfr. pag. 5).

Sul punto, è opportuno evidenziare che la motivazione, pur non dovendo necessariamente dar conto di tutti gli elementi di fatto acquisiti agli atti del processo, deve tuttavia indicare il percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di merito e consentire all’interessato di comprendere le ragioni per le quali il predetto giudice è pervenuto alla conclusione in concreto individuata. Nel caso specifico questo minimo costituzionale manca, poichè la Corte di Appello ha dato rilievo alla mancata conoscenza, da parte dell’ A., dell’organizzazione interna della setta degli Ogboni, alla quale il richiedente non aveva fatto alcun riferimento nel suo racconto, incentrato su ragioni di persecuzione religiosa. Inoltre, come già rilevato sono stati ignorate allegazioni quali la certificata compatibilità delle ferite esistenti sul corpo del richiedente con lesioni da arma da taglio. Sia sul collegamento tra le aggressioni e la fede religiosa, che sull’entità delle lesioni subite dal richiedente si riscontra una totale mancanza di giustificazione. Il quadro rappresentato d’incongruenze gravi e di omissioni di fatti decisivi integra il vizio di omessa motivazione denunciato. Sul punto, occorre ribadire che anche a seguito della novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, si configura il vizio di motivazione quando quest’ultima sia assente, sotto l’aspetto materiale e grafico, o sia meramente apparente, o sia contraddistinta da affermazioni poste tra loro in rapporto di irriducibile contrasto logico-giuridico, o ancora sia articolata in affermazioni inconciliabili e non idonee a far comprendere le ragioni poste a sostegno della decisione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20721 del 13/08/2018, Rv. 650018). Deve aggiungersi che la prognosi negativa della credibilità del richiedente la protezione internazionale, infatti, non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari (principio ricavabile da Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 8282 del 04/04/2013, Rv. 625812) o addirittura insussistenti, quali, nella specie, l’imprecisione sui luoghi, e il riferimento agli Ogboni, quando viene trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto.

L’accoglimento dei motivi in esame implica l’assorbimento degli altri, con i quali il ricorrente lamenta, rispettivamente, il mancato riconoscimento del diritto di asilo (terzo motivo), della protezione sussidiaria (quinto motivo) e della protezione umanitaria (sesto motivo).

Il provvedimento impugnato va pertanto cassato in relazione alle censure accolte e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona in differente composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo e dichiara assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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