Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10908 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/05/2017, (ud. 30/01/2017, dep.05/05/2017),  n. 10908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13378-2014 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI 29, presso lo studio dell’avvocato MARINA MILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO CUCCHIERI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.I.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1723/2013 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata

il 19/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o

rigetto;

udito l’Avvocato MARINA MESSINA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza resa pubblica il 19 novembre 2013, il Tribunale di Ancona rigettava l’appello proposto da S.F. avverso la decisione del Giudice di pace della medesima Città, che aveva accolto la domanda, proposta da M.I., di condanna dello stesso S. al pagamento della somma di Euro 950,67, oltre interessi (per Euro 14,72), a titolo di rimborso delle spese legali già versate dall’attrice al convenuto a seguito di sentenza di condanna in altro giudizio, poi oggetto di riforma.

1.1. – Per quanto ancora rileva in questa sede, il Tribunale premesso che il thema decidendum verteva soltanto sulla pretesa restitutoria azionata dalla M., con conseguente irrilevanza delle argomentazioni dell’appellante “riguardanti l’esistenza e la titolarità del credito risarcitorio discusso in altra causa” – osservava che il giudizio dinanzi al Giudice di pace, essendo il petitum inferiore ad Euro 1.100,00, era stato definito secondo equità, per cui la sentenza era appellabile solo per violazione della Costituzione, delle norme di diritto sovranazionale, della legge processuale e dei principi informatori della materia. Di qui, l’inammissibilità del primo motivo di appello, con il quale si sosteneva che la Marzioni “non aveva diritto alla restituzione, in quanto non aveva fornito la prova di aver effettuato il pagamento”, chiedendo così “una nuova valutazione di merito”.

1.2. – Il giudice di appello riteneva, poi, infondata la censura sull’abuso del processo per asserito frazionamento del credito, giacchè il credito vantato nei confronti del S. non era stato affatto frazionato in più processi, perchè la M. aveva esperito due distinti giudizi per conseguire da due diversi soggetti (il S. e O.L.) la restituzione degli esborsi, a titolo di spese legali, effettuati in favore di ciascuno.

2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre S.F., affidandosi a quattro motivi.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata M.I..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. “per aver il Giudice d’Appello omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio benchè tutti connessi all’oggetto della causa e documentalmente acquisiti agli atti, e quindi nullità del procedimento”.

Il Tribunale avrebbe omesso di considerare i fatti e le prove inerenti al diritto alla restituzione di somme azionato dalla M. e ciò proprio a seguito della prospettata eccezione di difetto di legittimazione attiva di quest’ultima.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., “relativamente alla erronea e viziata valutazione della legittimazione attiva della parte appellata”, e dell’art. 132 c.p.c., “per contraddittorietà e carenza di motivazione”.

Il Tribunale, nonostante le prove dedotte da esso convenuto, avrebbe errato a ritenere legittimata l’attrice a richiedere la restituzione delle somme a titolo di spese, giacchè il versamento era stato effettuato dal padre e non su incarico della stessa figlia, la quale, al momento del preteso sinistro (oggetto del giudizio da cui era scaturito il credito per spese processuali), non era neppure proprietaria dell’automezzo danneggiato.

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., art. 339 c.p.c., comma 3, e D.Lgs. n. 40 del 2006, “relativamente all’accoglimento parziale dell’eccezione di inappellabilità della sentenza di primo grado sollevata da controparte”.

Il giudice di appello avrebbe errato a ritenere il motivo sul difetto di legittimazione attiva della M. inammissibile ai sensi dell’art. 339 c.p.c., giacchè, nonostante il giudizio dinanzi al Giudice di pace fosse di equità, la deduzione di una questione processuale lo rendeva, per connessione o, comunque, per pregiudizialità, interamente secondo diritto e, come tale, appellabile in via ordinaria.

3.1. – I primi tre motivi – che possono essere congiuntamente scrutinati in quanto connessi – non possono trovare accoglimento.

Non è contestato dal ricorrente che la pronuncia del Giudice di pace, stante il valore della causa (inferiore ad Euro 1.100,00), fosse secondo equità; invero, ciò di cui ci si duole in ricorso (anzitutto, con il terzo motivo) è che non sia stata ritenuta questione processuale quella del difetto di legittimazione attiva della M., così da rendere appellabile sul punto la decisione di primo grado.

Tuttavia, risulta corretta la decisione del Tribunale, giacchè come, del resto, emerge dalle prospettazioni del ricorrente (e, segnatamente, da quelle veicolate con il primo e secondo motivo) – ciò che era in contestazione era la spettanza del credito restitutorio in capo all’attrice e, dunque, non già una questione di legittimazione processuale, bensì di titolarità del diritto fatto valere in giudizio, ossia una questione di “merito”, non risultando, quindi, impugnabile con l’appello (per supposta carenza di prova in ordine a detta titolarità) la positiva statuizione sul punto resa dal Giudice di pace, non venendo in rilievo alcuna delle ipotesi contemplate dall’art. 339 c.p.c., comma 3.

Ne consegue, pertanto, l’inammissibilità delle doglianze mosse con il primo e secondo motivo, insistendo esse sul profilo della asserita “legittimazione” della M., correttamente ritenuto non suscettibile di impugnazione ex art. 339 c.p.c., comma 3.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 1, “per abuso del processo”, avendo errato il Tribunale a non ritenere esistente un frazionamento in più giudizi del credito da parte della M., seppure vantato nei confronti di soggetti distinti.

4.1. – Il motivo è (manifestamente) infondato, giacchè (come ammesso dallo stesso ricorrente) la M. ha agito contro il S. per l’intero importo (di Euro 950,67) del credito restitutorio che vantava nei suoi confronti e, quindi, non già per una sua frazione, non essendo, dunque, configurabile l’abuso processuale per la proposizione di più giudizi al fine di conseguire il medesimo credito (fatto oggetto di frazionamento), posto, peraltro, che la stessa M., sebbene sulla scorta dello stesso titolo giudiziale, ha azionato un distinto credito di pari importo nei confronti di altro debitore, non evocato nel giudizio intentato contro il S..

Del resto, rimanendo nella disponibilità della parte l’instaurazione del litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.), il simultaneus processus, ove non si rendesse necessario esso stesso per arginare l’abuso processuale della pluralità di azioni contro il medesimo debitore (fattispecie distinta da quella in esame e che, in ogni caso, comporta rimedi che non attingerebbero alla inammissibilità o improponibilità della domanda: cfr. Cass., 30 aprile 2014, n. 9488), potrebbe anche essere fonte di ritardi o gravosità processuali, cui il giudice stesso, ai sensi del citato art. 103, comma 2 può porvi rimedio con la separazione delle cause e ciò proprio nell’ottica del giusto processo dalla durata ragionevole, che è valore costituzionale (art. 111 Cost.) su cui (unitamente al principio di correttezza e buona fede) trovano fondamento le ragioni di contrasto all’abuso processuale per frazionamento del credito (tra le altre, Cass. sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726, Cass., 11 giugno 2008, n. 15476; Cass., 15 marzo 2013, n. 6664; Cass., 9 marzo 2015, n. 4702).

5. – Il ricorso va, pertanto, rigettato, e, in assenza di attività difensiva da parte dell’intimata, non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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