Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10904 del 18/04/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/04/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 18/04/2019), n.10904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7611/2012 R.G. proposto da:

Diesel Props s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’Avv.

Stefano Zunarelli e dall’Avv. Lorenzo Del Federico, con domicilio

eletto in Roma, Via della Scrofa, n. 64, presso lo studio dell’Avv.

Vincenzo Cellamare, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la stessa domiciliata, in Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Abruzzo, Sezione distaccata di Pescara, n. 808/10/2011,

depositata il 4 agosto 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2019

dal Consigliere Luigi D’Orazio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi 281-284 (Finanziaria 2007), aveva previsto la possibilità per le imprese di ottenere un credito di imposta, a fronte del sostenimento di spese per attività di ricerca e sviluppo “precompetitivo”, volte alla innovazione del prodotto, che il credito di imposta doveva essere indicato nella dichiarazione dei redditi ed era fruibile in relazione al periodo di imposta in cui le spese di attività di ricerca e sviluppo erano state sostenute, che, però, il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29, aveva stabilito dei limiti per la finanza pubblica al credito di imposta di per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011 (“Gli stanziamenti nel bilancio dello Stato sono pari ad Euro 375,2 milioni di Euro per l’anno 2008, a 533,6 milioni di Euro per l’anno 2009, a 654 milioni di Euro per l’anno 2010 e a 65,4 milioni di Euro per l’anno 2011”), che la Finanziaria 2007, invece, non aveva previsto alcun vincolo finanziario, che per i soggetti che avevano avviato attività di ricerca prima del 29-11-2008 era stato introdotto un meccanismo di “prenotazione” per la fruizione del credito di imposta per via telematica, mediante l’invio di un formulario contenente la pianificazione scelta e l’importo delle spese agevolabili da sostenere, che la Diesel Props s.r.l. aveva sopportato costi per un credito di imposta pari ad Euro 86.571,00 per il 2007, Euro 115.914,00 per il 2008 ed Euro 115.243,00 per il 2009, che il 6-5-2009 (denominato click day) la ricorrente aveva inviato il formulario, che il 15-6-2009 il Centro Operativo di Pescara aveva comunicato il “diniego del nulla osta alla fruizione del credito di ricerca e sviluppo”.

2. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso la società dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, rilevando l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 185 del 2008, art. 29, commi 1, 2 e 3, per violazione degli artt. 3,41,97 e 117 Cost. e, nel merito, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 3 (principio di irretroattività delle norme tributarie), nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 10, per violazione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento. Veniva altresì contestato il difetto di motivazione e l’omessa indicazione del responsabile del procedimento.

3. La Commissione Tributaria Provinciale di Pescara rigettava il ricorso, evidenziando che sussisteva in capo alla ricorrente un pieno diritto soggettivo alla fruizione del credito di imposta, ma sottolineando che il D.L. n. 185 del 2008, aveva inciso solo sui tempi della fruibilità del credito, limitandosi a ritardare la sua concreta realizzazione. Venivano respinte anche tutte le altre doglianze.

4. Avverso tale sentenza proponeva appello la società.

5. La Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo rigettava il gravame evidenziando che la questione di illegittimità costituzionale era infondata, che il D.L. n. 185 del 2008, non aveva inciso sul diritto al credito di imposta, ma solo sulle modalità di fruizione dello stesso, che le norme della L. n. 212 del 2000, non avevano rango superiore alla legge ordinaria, che il divieto di irretroattività di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 3, riguardava solo le norme impositive e non quelle agevolative, che tale principio poteva essere derogato nel caso in cui l’efficacia retroattiva era espressamente prevista dalla norma, che la fruizione del diritto era solo rinviata nel tempo nell’ambito delle ulteriori somme che il legislatore avrebbe stanziato, che il provvedimento era sufficientemente motivato (“per esaurimento delle risorse finanziarie”), che la procedura era stata gestita per intero da un elaboratore elettronico, sicchè non vi era alcun procedimento nel cui ambito il contribuente avrebbe potuto interloquire con un dipendente dell’Amministrazione, che la richiesta di annullamento del provvedimento era infondata in quanto il rilascio del nulla osta dipendeva dalla presenza di risorse disponibili e dall’ordine cronologico di arrivo della domanda, in assenza di qualsiasi discrezionalità in capo all’Amministrazione, trattandosi di atto interamente vincolato, che l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti della Amministrazione finanziaria non era richiesta dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, che la responsabilità del procedimento poteva essere ricondotta al Dott. C.G., indicato nel provvedimento emesso.

6.Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la ricorrente, depositando anche memoria scritta.

7.Resiste con controricorso l’intimata Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale del D.L. 29 novembre 2008 n. 185, art. 29, commi 1, 2 e 3, convertito in L. 28 gennaio 2009, n. 2, per violazione degli artt. 3,41,97 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Per la ricorrente imprese che si trovavano in situazione identiche sono state trattate irragionevolmente in maniera diversa, attraverso il meccanismo della “corsa” alla prenotazione nel click day, intaccando i “diritti quesiti” di coloro che avevano iniziato le attività prima del 29-11-2008, data di entrata in vigore del decreto legge.

C’è stata anche violazione del principio di tutela della libertà di iniziativa economica e della concorrenza ai sensi degli artt. 41 e 117 Cost.. Nè è sufficiente a spiegare tali violazioni il riferimento alla crisi internazionale che la norma ha inteso fronteggiare.

1.2. Tale motivo è infondato.

1.3. Invero, la questione è stata affrontata e risolta dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 149 del 2017).

La L. 296 del 2006, art. 1, comma 280, prevedeva che “A decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, alle imprese è attribuito un credito di imposta nella misura del 10 per cento dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo”. Al comma 281 si disponeva che “Ai fini della determinazione del credito di imposta i costi non possono, in ogni caso, superare l’importo di 50 milioni di Euro per ciascun periodo di imposta”. Al comma 282 si prevedeva che “il credito di imposta deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi”. Il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 29, invece, ha previsto un tetto massimo per la fruizione dei crediti di imposta, con un vincolo specifico per la finanza pubblica (“per il credito di imposta…. gli stanziamenti nel bilancio dello Stato sono pari ad Euro 375,2 milioni di Euro per l’anno 2008, a 533,6 milioni di Euro per l’anno 2009, a 654 milioni di Euro per l’anno 2010 e a 65,4 milioni di Euro per l’anno 2011”).

Con norma retroattiva si è, poi, disposto che “A decorrere dall’anno 2009, al fine di garantire congiuntamente la certezza delle strategie di investimento, i diritti quesiti, nonchè l’effettiva copertura finanziaria, la fruizione del credito di imposta suddetto è regolata come segue…”, quindi con l’invio di un formulario per via telematica alla Agenzia delle entrate, con valore di prenotazione all’accesso alla fruizione del credito di imposta.

1.4. Si rileva che, in relazione all’asserito contrasto della normativa sopra richiamata con gli artt. 41,97 e 117 Cost., si è già espressa questa Corte con l’ordinanza della sezione VI, n. 3576 del 2015, dichiarando la questione infondata, con motivazioni che questo collegio condivide ed alle quali si richiama espressamente.

La Corte Costituzionale, dunque, ha rigettato la questione di legittimità costituzionale sottoposta dalla Suprema Corte con riferimento al parametro dell’art. 3 Cost. (tutela dell’affidamento), dichiarando, invece, inammissibile la questione relativa alla peculiare modalità telematica per la fruibilità del credito di imposta (Corte Cost., 27 giugno 2017, n. 149).

In particolare, la Corte Costituzionale ha chiarito che il valore dell’affidamento, che trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non esclude che il legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici “anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti”, purchè tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica. Pertanto, l’intervento retroattivo del legislatore può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che trovi giustificazione in “principi, diritti e beni di rilievo costituzionale” e dunque abbia una “causa normativa adeguata”, come un interesse pubblico sopravvenuto, sempre nel rispetto del principio di “ragionevolezza”, inteso anche come “proporzionalità”.

Il principio di affidamento è, dunque, sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali. La Corte ha osservato che la disciplina originaria non prevedeva un “tetto massimo” per la fruibilità del credito di imposta, che è stato poi introdotto dal D.L. n. 185 del 2008, art. 29.

Tale ultima disposizione, quindi, ha esteso a tutti i “crediti d’imposta vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto”, compresi quelli per attività di ricerca, la disciplina sul monitoraggio prevista dal D.L. n. 138 del 2002, art. 5,commi 1 e 2, alla cui stregua il riconoscimento dei crediti d’imposta è condizionato al non esaurimento dei relativi “stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle previsioni di entrate”, e ciò al fine di garantire la parità di trattamento tra i soggetti titolari dei medesimi e l’effettivo rispetto del principio costituzionale di copertura della spesa. Pertanto, “l’introduzione di un tetto massimo di stanziamento ha comportato la necessità di prevedere una procedura di selezione (anche) dei contribuenti da ammettere al beneficio fiscale in relazione alle attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008”. Si aggiunge, poi, che l’intervento normativo è stato effettuato con il “decreto antiscrisi”, intitolato “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale”, volto a fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale.

Sussiste, allora, la “causa normativa adeguata”, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità. Infatti, “a seguito dei successivi interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti “perdenti” non è stata incisa in maniera assoluta, poichè gli ulteriori stanziamenti previsti…hanno permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento) dei loro crediti”, sicchè “l’ablazione retroattiva nei confronti dei soggetti non ammessi al beneficio fiscale è stata del solo 5 per cento circa dei costi sostenuti”. Il venir meno di tale posta non può, dunque, aver avuto una incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese.

La Corte costituzionale ha, poi, aggiunto che “il diritto in questione ha ad oggetto il riconoscimento di un beneficio…per di più di natura fiscale, e quindi maturato in un ambito in cui il tasso di politicità delle scelte legislative è massimo, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU”.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente contesta la sentenza della Commissione Territoriale Regionale per contraddittorietà ed illogicità della motivazione circa un fatto controverso e risolutivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Per la ricorrente, da un lato, la Commissione ha riconosciuto in capo alla società un diritto soggettivo perfetto alla fruizione del credito di imposta ma, dall’altro, ha contraddittoriamente affermato che il D.L. n. 185 del 2008, ha inciso solo sulle modalità della fruizione.

2.1. Tale motivo è infondato.

Infatti, la Corte Costituzionale ha chiarito che anche il principio di affidamento può essere oggetto di bilanciamento con altri principi costituzionali ed ha spiegato le ragioni per cui è consentito, sia pure nel rispetto della proporzionalità e di ragionevolezza, operare un intervento normativo retroattivo, con un vulnus anche del principio di affidamento.

La sentenza della Commissione Regionale ha fornito una congrua ed esauriente motivazione, proprio nel solco del ragionamento della Corte Costituzionale (“5.11.Per cui, se anche la norma avesse portata retroattiva, la scelta di procrastinare la fruizione di un’agevolazione al fine di far fronte ad una grave crisi economica, lungi dall’essere irragionevole, risponderebbe anzi al principio costituzionale fissato dall’art. 81 Cost….”).

In sostanza, quindi, il giudice di appello, senza incorrere nel vizio della contraddittorietà della motivazione, ha osservato che la norma sopravvenuta di cui al D.L. n. 285 del 2009, art. 29, convertito nella L. n. 2 del 2009, ha introdotto una limitazione quantitativa, in ragione dell’entità delle risorse pubbliche disponibili, alla fruizione del beneficio fiscale, stabilito dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, senza la previsione di un tetto massimo di stanziamento.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto il D.L. n. 185 del 2008, art. 29, viola il principio di irretroattività della norma tributaria, costituendo le disposizioni della L. n. 212 del 2000, principi generali dell’ordinamento tributario.

3.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la L. n. 212 del 2000, art. 3, prevede che “Salvo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”. L’art. 1 comma 2, appunto, dispone che “L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”. Per questa Corte, però, in tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 disp. gen., va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista (Cass.Civ., 9 dicembre 2009, n. 25722).

Peraltro, la Commissione tributaria regionale ha correttamente osservato che il principio di irretroattività delle disposizioni tributarie, stabilito dalla L. n. 212 del 2000, art. 3, è riferibile alle disposizioni di legge che impongono tributi, e non alle norme in materia di agevolazioni fiscali.

In ogni caso, le norme della L. n. 212 del 2000, anche se costituenti principi generali dell’ordinamento tributario, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria e quindi possono essere derogate da altre disposizioni di legge (Cass.Civ., 11 aprile 2011, n. 8145; Cass.Civ., 28 febbraio 2014, n. 4815).

Sul punto è, peraltro, sufficiente riportarsi a quanto affermato dalla Corte Costituzionale nella sopra citata sentenza n. 149 del 2017, laddove il giudice delle leggi ha affermato (paragrafi 9 – 12) che un intervento normativo anche retroattivo, incidente su diritti perfetti, non è necessariamente incostituzionale, purchè risponda a criteri di razionalità, di salvaguardia di altri valori costituzionali, e di proporzionalità; nella specie, la Corte ha rilevato che l’intervento era necessario per tutelare altri sopravvenuti interessi pubblici di rilievo costituzionale, quale la tutela dell’equilibrio del bilancio dello Stato, e, nel necessario bilanciamento degli interessi in gioco, quest’ultimo elemento non rende illegittima la normativa sopravvenuta nel 2008.

Per questa Corte, a sezioni unite, un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma richiede piuttosto che il legislatore nazionale tenga conto delle situazioni specifiche degli operatori economici e preveda, eventualmente, taluni adeguamenti all’applicazione di nuove disposizioni (Cass., Sez.Un, 19 giugno 2018, n. 16157).

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della sentenza della Commissione Regionale per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e dei principi comunitari, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto per la sentenza gravata il legittimo affidamento non sarebbe invocabile con riferimento alle norme giuridiche, ma solamente nei comportamenti dell’Amministrazione finanziaria.

4.1. Tale motivo è infondato.

Invero, nella sentenza impugnata si è anche chiarito che il principio di affidamento può essere recessivo dinanzi ad altri valori costituzionali, nella specie rinvenuti nella esigenza di fronteggiare la gravissima crisi economica, come poi evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 149 del 27 giugno 2017).

La Corte Costituzionale ha, infatti, ritenuto che, nella specie, si siano verificati i requisiti che hanno giustificato l’intervento normativo, per la salvaguardia di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, e cioè la necessità di mantenere il bilancio dello Stato nel rispetto dei parametri approvati anche in sede Europea, con la possibilità, al contempo, di creare disponibilità finanziarie per rilanciare l’economia e tutelare i lavoratori e le famiglie, a fronte di una situazione di una eccezionale crisi internazionale generalizzata (infatti il D.L. n. 185 del 2008 era denominato nel linguaggio atecnico “decreto anticrisi”).

Per quanto la Commissione regionale abbia fornito una interpretazione del principio di legittimo affidamento più restrittiva di quella ammessa dalla stessa Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea interpretazione secondo la quale il principio non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo all’amministrazione, mentre, al contrario, il giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia ritengono che il principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa – tuttavia l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto non solo la Corte Costituzionale, come sopra evidenziato, e, come hanno recentemente ribadito le sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 16157 del 19/06/2018), anche le giurisdizioni sovranazionali riconoscono che l’applicazione del principio di affidamento è comunque recessiva dinanzi a interventi legislativi dettati da particolari situazioni e da determinate condizioni.

Secondo le sezioni unite: “La Corte di Strasburgo è solita affermare, in tesi generale, che i cittadini non possono vantare legittime aspettative d’immutabilità giuridica neppure riguardo alla giurisprudenza (Corte EDU, in caso Unedic c. Francia; conf. in caso Atanasovski c. Macedonia), laddove il legittimo affidamento può rilevare solo riguardo a leggi interpretative o retroattive che costituiscano ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine d’influenzare l’esito di una controversia (Corte EDU, in caso De Rosa c. Italia; conf. in caso Arras c. Italia). La stessa Corte Europea ritiene, inoltre, che la materia della imposizione tributaria faccia parte del c.d. “nucleo duro” delle prerogative della potestà pubblica, poichè la natura autoritativa del rapporto tra il contribuente e la collettività sarebbe predominante (Corte EDU, in caso Ferrazzini c. Italia). Dunque, gli Stati godono sicuramente di vasta discrezionalità, sia pure entro i confini della riserva di legge sostanziale (Corte EDU, in caso James c. Regno Unito; conf. in caso Spack c. Rep. Ceca) e del rispetto taluni diritti fondamentali (Corte EDU, in caso Darby c. Svezia, sul divieto di discriminazione fiscale; conf. in caso N. K.M. c. Ungheria, su abnorme prelievo fiscale a carico di dipendenti pubblici). Il che spiega l’atteggiamento restrittivo di quella Corte nel sindacare le scelte degli Stati, che non siano manifestamente prive di giustificazioni ragionevoli (Corte EDU, in caso National & provincia building society c. Regno Unito).

(…) Ciò risulta pure dalla giurisprudenza costante della Corte di Lussemburgo, laddove si afferma che gli operatori economici non possono fare affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può, invece, essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (Corte giustizia, 10/09/2009, Piantano GmbH & Co. KG, in tema di abolizione di esenzioni). La stessa Corte ha parimenti dichiarato che un operatore economico non può basare il suo affidamento sulla mancanza totale di modifiche normative, ma unicamente mettere in questione le modalità applicative di siffatte modifiche, atteso che il principio di certezza del diritto non impone la mancanza di modifiche normative, ma richiede piuttosto che il legislatore nazionale tenga conto delle situazioni specifiche degli operatori economici e preveda, eventualmente, taluni adeguamenti all’applicazione delle nuove disposizioni (Corte giustizia, 11/06/2015, Berlington Hungary Tanecsado es Szolgeltato). A tal proposito, per quanto riguarda l’affidamento che un soggetto passivo può fare sull’applicazione di un più favorevole regime, la suddetta Corte ha già statuito che quando una direttiva in ambito fiscale lascia ampio potere agli Stati membri, una modifica legislativa adottata in conformità con la direttiva non può essere considerata imprevedibile (Corte giustizia, 29/04/2004, Gemeente Leusden e Ho/in Groep).”;

5.Con il quinto motivo di impugnazione si contesta la decisione per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto è errata la decisione della Commissione Regionale laddove ha ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento di diniego del nulla osta.

5.1. Tale motivo è infondato.

Invero, il testo del provvedimento è stato trascritto in questi termini dalla ricorrente “il Centro Operativo di Pescara ha esaminato il formulario relativo al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 280 a 283, presentato dall’impresa in data 6-5-2009…a cui è stato attribuito protocollo telematico…comunicato con la ricevuta di presentazione del formulario. Al riguardo si comunica che non è rilasciato il nulla osta alla fruizione del credito d’imposta per esaurimento delle risorse finanziarie”.

5.2. La Commissione regionale, sul punto, ha stabilito che il provvedimento ha illustrato in maniera succinta, ma evidente, le ragioni per cui il credito di imposta non veniva concesso, e cioè “l’esaurimento delle risorse”, così come era chiaro che il diniego si riferiva a tutte le somme stanziate fino al 2011.

Il motivo è dedotto come violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ma l’interpretazione che ha dato la Commissione regionale dell’onere di motivazione non appare errata.

In tema di motivazione di atti (nella specie, ruolo e cartella) questa Corte (Cass., Sez. V, n. 11466 del 2011) ha affermato che è sufficiente l’indicazione degli elementi che permettano di controllare la legittimità della procedura cui esso si riferisce.

L’interpretazione che la Commissione regionale ha dato del concetto di “motivazione” dell’atto è, pertanto, in linea con la giurisprudenza sul tema, avendo la stessa ritenuto che l’atto permettesse di comprendere appieno le ragioni del diniego.

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la Commissione regionale ha male interpretato la norma sul responsabile del procedimento ritenendo sufficiente l’indicazione del direttore del Centro Operativo di Pescara.

6.1. Tale motivo è infondato.

La L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, secondo il quale gli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare, tra l’altro, l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento, peraltro non prevede sanzione; per la cartelle esattoriali, poi, la normativa specifica che prevede espressamente la nullità è stata introdotta a partire dal 2008.

Il D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, ha previsto tale sanzione solo con riguardo alle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati a decorrere dalla data menzionata (in tale senso, per tutte, Sezioni Unite, sentenza n. 11722 del 2010), nè, per le cartelle anteriori prive di tale requisito, ricorre l’annullabilità delle stesse, atteso che, “essendo la disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, priva di sanzione, e non incidendo direttamente la violazione in questione sui diritti costituzionali del destinatario, trova applicazione la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, prevede la non annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso di cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (ordinanza n. 332 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 25773 del 2014, n. 3754 del 2013 e n. 4516 del 2012).

Peraltro tale norma, il D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4 ter, si riferisce espressamente solo alle cartelle esattoriali di cui al D.P.R. n. 600 del 73, art. 25, mentre nella specie, sebbene si tratti di un atto del giugno 2009, siamo davanti ad un diniego di agevolazione, quindi un atto di natura diversa.

La L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, commina la nullità al provvedimento che manca degli elementi essenziali, ma la L. n. 241, non prevede il nome del responsabile del procedimento come uno degli elementi essenziali dell’atto. L’art. 21 opties, comma 1, prevede l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di legge.

Peraltro, va osservato che, nella specie, ci si trova in presenza di un procedimento particolare, completamente telematico, consistente nella introduzione in via elettronica di una domanda alla quale segue, a distanza di tempo, un provvedimento, emesso sulla base di una elaborazione – anche in questo caso – meramente informatica della domanda. L’elaborazione consiste nella mera assegnazione automatica di fondi in base ad un puro criterio cronologico, fino ad esaurimento risorse, ed il provvedimento, che dà semplicemente atto dell’assegnazione o meno del credito di imposta, è comunicato sempre in via informatica.

In tale contesto, il provvedimento, come detto, è telematico, generato automaticamente dal sistema, e quindi a contenuto vincolato, nel senso che, nei casi di rigetto della domanda, è predeterminato nella forma e nel contenuto. Può, quindi, fondatamente ritenersi uno di quegli atti a contenuto vincolato per il quale la L. 241 del 1990, art. 21-octies, comma 2, esclude non solo la nullità, ma anche l’annullabilità in caso di adozione in violazione delle norme sul procedimento o sulla forma.

Va, peraltro, anche osservato che la Commissione tributaria regionale ha dato atto del fatto che, inoltre, l’indicazione di un nominativo al quale riferire il provvedimento, e quindi il procedimento, era presente sull’atto, nella persona del direttore del Centro operativo di Pescara.

Va evidenziato, al riguardo, che questa Corte ha avuto modo di affermare, sempre in riferimento alle cartelle, ma con un principio che appare applicabile in generale, che, al fine di non incorrere in nullità, è sufficiente l’indicazione sull’atto di una persona responsabile del procedimento, a prescindere quindi dalla funzione (apicale o meno) della stessa effettivamente esercitata; siffatta indicazione appare, infatti, sufficiente ad assicurare gli interessi sottostanti alla detta indicazione, che sono la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa. (Sez. VI-5, ord. n. 3533 del 2016).

Anche sul punto, quindi, la motivazione della Commissione tributaria regionale non appare errata.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

7. La complessità e la novità delle questioni trattate, che hanno imposto il vaglio di legittimità costituzionale della normativa, impongono la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2019

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