Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10904 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/05/2017, (ud. 18/01/2017, dep.05/05/2017),  n. 10904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3331-2014 proposto da:

P.D., T.A., P.G., GIO & GI

DI P.D. SAS, (OMISSIS) in persona del suo rappresentante

legale, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ILDEBRANDO GOIRAN,

23, presso lo studio dell’avvocato UGO SARDO, rappresentati e difesi

dall’avvocato GUIDO BACINO giuste procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI 11,

presso lo studio dell’avvocato GENNARO ESIBIZIONE, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

GENERALI ITALIA SPA già INA ASSITALIA SPA, incorporante ALLEANZA

TORO SPA, in persona del suo legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL GARDENA 3, presso lo

studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAURO CARBONI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 403/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 30/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GUIDO BACINO;

udito l’Avvocato GENNARO ESIBIZIONE;

udito l’Avvocato MAURO CARBONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Perugia con sentenza del 30/9/2013 riformava la sentenza del Tribunale di Perugia del 13/12/2010 che aveva parzialmente accolto la domanda di risarcimento del danno formulata da GIO & GI sas di P.D. nei confronti del notaio B., ritenuto responsabile di aver pubblicato illegittimamente un protesto, relativo ad operazioni effettuate dalla società, nel bollettino dei protesti anzichè in quello delle cambiali tratte.

La Corte d’Appello, in sintesi, riconosceva che la mera illegittimità del protesto non poteva determinare una responsabilità risarcitoria del notaio, costituendo un mero indizio del danno, superabile attraverso prove presuntive, dovendo invece essere dimostrata la gravità della lesione e la non futilità del pregiudizio conseguente.

Nella fattispecie, ad avviso della Corte d’Appello, il protesto non era illegittimo, in assenza di accettazione del pagamento della tratta, ma era frutto di un mero errore materiale che aveva determinato la pubblicazione nel bollettino dei vaglia cambiari anzichè in quello delle tratte. Nè vi era la prova della lesione alla reputazione della società: e ciò perchè la conoscenza della pubblicazione del protesto era avvenuta in epoca successiva alla rettifica sicchè non si erano verificati i pregiudizi normalmente legati alla sua pubblicazione. Il Giudice riteneva di conformare la propria decisione alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo la quale il danno cagionato dall’illegittima pubblicazione del protesto deve essere non soltanto allegato ma anche provato, eventualmente attraverso presunzioni, specie quando, come nel caso in esame, il soggetto era già protestato sicchè aveva l’onere di provare che il protesto in oggetto, benchè illegittimamente elevato, aveva leso la sua reputazione professionale, procurandogli un danno sul piano dell’affidabilità commerciale e dell’immagine sociale ulteriore, rispetto alla già maturata compromissione di tali valori, conseguente ai precedenti protesti (Cass., 3, 16/2/2012 n. 2226). La sentenza impugnata ha altresì inteso fare applicazione dei criteri più rigorosi di dimostrazione del danno non patrimoniale, introdotti da Cass., U, n. 26972/2008 che richiedono, ai fini del riconoscimento di tale tipologia di danno, al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge, la lesione di diritti costituzionalmente rilevanti.

La Corte d’Appello ha, quindi, considerato che il notaio si è attivato quando è venuto a conoscenza della pubblicazione indebita, prima dell’avvio della causa e che in ogni caso le circostanze riferite dalla società quali indici del danno, quale ad esempio l’iniziativa assunta dai fornitori volta a pretendere dalla società il pagamento delle forniture, non potesse far ritenere verificata detta presunzione, ben potendosi il fatto indicato porre in relazione con i due precedenti protesti.

La società Gio & Gi s.a.s. di P.D. ha proposto un ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria. Resistono il dott. B.G. e la Generali Italia Assicurazioni con distinti controricorsi. La compagnia di assicurazioni ha altresì presentato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., dell’art. 2 Cost., degli artt. 2043 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in merito alla prova del danno all’immagine commerciale derivante dall’illegittima pubblicazione del protesto.

Censura l’impugnata sentenza per avere fatto malgoverno delle norme relative all’acquisizione delle prove in genere e delle prove presuntive in particolare, laddove ha escluso che la pubblicazione del protesto potesse determinare un danno in re ipsa al diritto alla reputazione ed ha invece illegittimamente fatto ricorso a presunzioni per desumere, da precedenti protesti, una prova della già prodotta lesione della reputazione commerciale della società, sicchè l’erronea pubblicazione del protesto non avrebbe di per sè capacità lesiva.

L’argomentare del Giudice – secondo tale tesi – sarebbe esso stesso affidato a mere congetture e presunzioni in violazione della cd. praesumptio de praesumpto e sarebbe contrastante con la giurisprudenza di questa Corte che riconoscerebbe il danno in re ipsa.

Il motivo è inammissibile sotto diversi profili: 1) involge apprezzamenti riservati al giudice del merito non censurabili in questa sede; 2) ancorchè dedotto come violazione di legge esso propone una interpretazione diversa degli elementi di prova forniti nel corso dei gradi di merito e non conduce, come avrebbe dovuto, una critica vincolata alla sentenza impugnata.

Peraltro la giurisprudenza di questa Corte invocata dalla ricorrente non è conferente in quanto la stessa, nel riconoscere all’epoca il danno in re ipsa derivante dalla pubblicazione del protesto richiede la mancata rettifica; un elemento di fatto che invece nel caso in esame è intervenuto tempestivamente sì da escludere la potenzialità dannosa dell’erronea pubblicazione.

La giurisprudenza più recente di questa Corte ha, peraltro, ormai abbandonato la tesi del danno in re ipsa, e si è consolidata nel senso di ritenere che, in tema di risarcimento del danno da protesto illegittimo di assegno bancario, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è, di per sè sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali potersi desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento, evidenziando come il ricorrente, in quanto soggetto pluriprotestato, avesse l’onere di provare che il protesto in oggetto, benchè illegittimamente elevato, aveva leso la sua reputazione professionale, procurandogli un danno sul piano dell’affidabilità commerciale e dell’immagine sociale ulteriore rispetto alla già maturata compromissione di tali valori conseguente ai precedenti plurimi protesti). Si veda, sul punto, oltre a Cass., 16/2/2012 n. 2226 anche 6-1, ord. 24/9/2013 n. 21865 e Cass., 1, 11/10/2013 n. 23194.

Da ciò si evince che, quando anche si ritenesse di superare il preliminare rilievo di inammissibilità, il motivo sarebbe comunque infondato.

Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione della L. 12 febbraio 1955, n. 77, L. 7 marzo 1996, n. 108, L. 18 agosto 2000, n. 235, L. 12 dicembre 2002, n. 273, L. n. 480 del 1995, art. 3 bis D.M. Industria Commercio e Artigianato 9 agosto 2000, n. 316, nonchè dell’art. 2797 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 in merito alla disciplina della pubblicità delle tratte non accettate.

La ricorrente premette una breve ricostruzione degli elementi caratteristici della cambiale tratta senza alcuna specifica indicazione delle norme di diritto che si assumono violate.

Il motivo, pertanto, è inammissibile in quanto privo di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, come richiesto, invece, da questa Corte.

Esso è, peraltro, anche infondato in quanto le norme indicate sono state tutte rispettate. Nel caso in esame non si è trattato, peraltro, di un protesto illegittimamente levato, ma di un errore del programma informatico che ha condotto alla pubblicazione non sul bollettino relativo alle cambiali tratte, ma su quello dei vaglia cambiari, seguito però da una tempestiva rettifica del notaio.

La ratio decidendi dell’impugnata sentenza sta nel ritenere la mancanza di prova del danno alla reputazione, non solo perchè la prova non è stata fornita da chi aveva l’onere di allegazione, ma anche perchè, ove il danno alla reputazione fosse avvenuto, questo sarebbe stato comunque da ricondurre ai precedenti protesti pubblicati.

Nè può ravvisarsi alcun tipo di contraddittorietà nel ragionamento seguito dalla Corte di merito in quanto la stessa ha esplicitamente confermato che le due precedenti cambiali erano state protestate ed inserite nel relativo registro pubblico, sì da determinare l’origine dell’eventuale danno alla reputazione preteso dagli attori.

Il motivo dunque è anche infondato.

Con un terzo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 24 cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il capo impugnato è quello relativo alla regolamentazione delle spese, per avere la Corte d’Appello disposto che quelle dei due gradi di giudizio seguissero la soccombenza dell’appellato in favore delle altre due parti del giudizio, ponendo a carico dei P. non solo le spese processuali sostenute dal notaio, ma anche quelle sostenute dal terzo chiamato in causa, e cioè dalla compagnia di assicurazioni.

Il motivo è infondato in quanto la chiamata in garanzia della compagnia di assicurazione è stata necessitata dalla domanda degli attori, sicchè, essendo questi ultimi soccombenti, correttamente essi debbono sostenere le spese di lite del terzo chiamato.

Il principio è del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., 26/02/2008 n. 5027: “Allorchè il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria – e tale iniziativa non si riveli palesemente arbitraria – legittimamente il giudice di appello, in caso di soccombenza dell’attore, pone a carico di quest’ultimo anche le spese giudiziali sostenute dal terzo, ancorchè nella seconda fase del giudizio la domanda di garanzia non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall’altro, l’onere della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza mancando un diretto rapporto sostanziale e processuale tra l’attore ed il terzo – bensì dalla responsabilità del primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale legittimamente è rimasto coinvolto il terzo. Si veda altresì Cass., 2, 14/4/2016 n. 7401).

Il ricorso conclusivamente è rigettato. Sussistono adeguati motivi per disporre la compensazione delle spese e per porre l’onere del contributo unificato a carico della ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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