Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10903 del 05/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/05/2017, (ud. 13/12/2016, dep.05/05/2017),  n. 10903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5492-2014 proposto da:

S.I., D.S.B., elettivamente domiciliati in

ROMA, P.LE CLODIO, 14, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

GRAZIANI, rappresentati e difesi dall’avvocato DANIELE FANTINI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARE VICENZA SCPA, in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione e legale rappresentante dott. GIOVANNI ZONIN,

considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO

BARILA’ giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

CASSA RISPARMIO VENETO SPA;

– intimati –

Nonchè da:

CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA SPA, in persona del procuratore avv.

U.A., CASSA RISPARMIO VENETO SPA in persona del procuratore

avv. U.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA UGO DE

CAROLIS 34-B, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA PASQUALIN

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

GUBER SPA, IN PERSONA DEL SUO LEGALE RAPPRESENTANTE E CONSIGLIERE

DELEGATO DOTT. B.G., cessionaria dei crediti pecuniari

di CASSA DI RISPARMIO VENETO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA DARDANELLI 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA CAPALDO

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAMIANO DE ROSA

giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

S.I., D.S.B., elettivamente domiciliati in

ROMA, P.LE CLODIO, 14, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

GRAZIANI, rappresentati e difesi dall’avvocato DANIELE FANTINI

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

BANCA POPOLARE DI VICENZA SCPA, OASIS SECURITISATION SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 872/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 15/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;

udito l’Avvocato ANDREA GRAZIANI per delega;

udito l’Avvocato MAURIZIO CECCONI;

udito l’Avvocato CAROLINA CAPALDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.S.B., che in data 10 ottobre 1993 aveva costituito in fondo patrimoniale un immobile in (OMISSIS), è stato successivamente dichiarato fallito in estensione del fallimento della (OMISSIS) s.n.c.

Contro l’atto di costituzione del fondo patrimoniale la curatela ha agito in via revocatoria ai sensi della L. Fall., art. 66 e dell’art. 2901 c.c.. La causa veniva sospesa, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della decisione sull’opposizione alla dichiarazione di fallimento proposta dal D.S.; opposizione effettivamente accolta, con conseguente revoca del fallimento, con sentenza passata in giudicato il 18 ottobre 2002.

In data 13 febbraio 2003 la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a., qualificandosi quale creditrice del D.S., riassumeva l’azione revocatoria. Nel giudizio interveniva, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., la Banca Popolare di Vicenza soc. coop. p.a.

I convenuti D.S.B. e S.I. eccepivano l’estinzione del giudizio per irritualità della riassunzione, la tardività dell’intervento, la prescrizione dell’azione e comunque l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2901 c.c..

La domanda revocatoria è stata accolta in primo grado. Avverso tale pronuncia i coniugi D.S. e S. hanno interposto appello, rigettato dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza del 15 aprile 2013.

I coniugi D.S. e S. ricorrono per la cassazione della sentenza d’appello, deducendo sette motivi di censura. Resistono con controricorso la Guber s.p.a., quale procuratrice speciale della Oasis Securitation s.r.l., cessionaria dei crediti della Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a., nonchè la Banca Popolare di Vicenza soc. coop. p.a., la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. e la Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.; queste ultime due hanno proposto ricorso incidentale, articolato in un unico motivo, al quale resistono con controricorso i coniugi D.S. e S..

I ricorrenti principali hanno altresì depositato, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., un provvedimento di correzione di un errore materiale contenuto nella sentenza di appello.

Hanno depositato memorie, come consentito dall’art. 378 c.p.c., i coniugi D.S. e S., la Banca Popolare di Vicenza s.p.a. (nuova denominazione nel frattempo assunta dalla Banca Popolare di Vicenza soc. coop. p.a.), la Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a. e Intesa Sanpaolo s.p.a. (nella quale si è fusa per incorporazione la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a.).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso si censura la mancata dichiarazione di intervenuta cessazione della materia del contendere. Osservano i ricorrenti che, una volta revocato il fallimento, l’azione L. Fall., ex art. 66 promossa dal curatore sarebbe divenuta improseguibile ad opera dei singoli creditori.

Con il secondo motivo i ricorrenti censurano l’omessa dichiarazione di estinzione della causa che, sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c., non sarebbe stata riassunta dalle parti, come previsto dall’art. 297 c.p.c. Deducono, in particolare, che le banche non sarebbero dovute essere considerate parti legittimate alla riassunzione di una causa promossa dalla curatela nell’interesse della massa (in quanto volta alla ricostruzione dell’attivo fallimentare) e non dei singoli creditori.

I ricorrenti aggiungono, a margine di entrambi motivi, che le banche, in ogni caso, non avrebbero potuto giovarsi degli effetti interruttivi della prescrizione derivanti dalla domanda giudiziale proposta dalla curatela, con conseguente decadenza dal termine di cui all’art. 2903 c.c.. Per la Banca Popolare di Vicenza s.p.a., tardivamente intervenuta nella causa riassunta dalla Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a., l’azione sarebbe prescritta anche nell’ipotesi in cui si ammettesse la possibilità di valersi dell’interruzione istantanea della prescrizione per effetto della causa intentata dalla Curatela.

1.2. I motivi sopra illustrati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto sottopongono all’attenzione del Collegio la medesima questione – anche se presentata sotto diverse angolature – ossia se i singoli creditori siano legittimati a riassumere e proseguire l’azione revocatoria ordinaria originariamente proposta dal curatore fallimentare L. Fall., ex art. 66, essendo poi sopravvenuta la revoca del fallimento, con conseguente perdita della capacità processuale della curatela.

Si tratta, peraltro, di questione che presenta elementi di novità, in quanto non si ravvisano precedenti specifici.

1.3. Le Sezioni unite di questa Corte hanno però affrontato un tema attiguo a quello che ci occupa, affermando il principio secondo cui, “qualora sia stata proposta un’azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile a un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell’azione in forza della legittimazione accordatagli dalla L. Fall., art. 66, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l’interesse ad agire dell’attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio” (Sez. U, Sentenza n. 29420 del 17/12/2008, Rv. 605966).

Il ragionamento svolto dalle Sezioni unite parte dalla premessa che l’azione revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.) mira a rendere inopponibili al creditore gli atti con cui il debitore, disponendo del proprio patrimonio, lo sottrae in tutto o in parte alla garanzia per il soddisfacimento del credito. L’azione revocatoria, pertanto, non incide sulla validità dell’atto dispositivo, ma sterilizzandone gli effetti nei confronti del creditore, consente a costui di aggredire esecutivamente i beni usciti dal patrimonio del debitore come se vi fossero ancora compresi. Pur non essendo quindi, in senso proprio, un’azione esecutiva, può ben dirsi che essa è naturalmente orientata a finalità esecutive, come risulta testualmente dall’art. 2902 c.c..

Però, qualora ricorrendone le condizioni il debitore fallisca, il pregiudizio determinato dall’atto revocabile si riflette sull’intera massa dei creditori, le cui ragioni devono essere soddisfatte secondo le regole del concorso.

E’ proprio per tale ragione che la L. Fall., art. 66 attribuisce al curatore, nell’interesse della massa, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, in aggiunta all’azione revocatoria fallimentare. La regola della concorsualità non tollera, infatti, che l’atto pregiudizievole venga dichiarato inefficace solo nei confronti del creditore che abbia agito in via revocatoria, anzichè a beneficio dell’intero ceto creditorio, consentendo così al primo di soddisfarsi esecutivamente su un bene non acquisito alla massa.

In sostanza, una volta dichiarato il fallimento, l’esercizio dell’azione revocatoria individuale comporterebbe un’inevitabile stortura – una vera e propria violazione della par condicio creditorum – cui la legge pone rimedio legittimando il curatore all’esercizio dell’azione nell’interesse indistinto di tutti i creditori pregiudicati da quell’atto. In tal modo, il bene “recuperato” viene assoggettato alla liquidazione nella procedura concorsuale, anzichè all’esecuzione forzata individuale.

Tali considerazioni conducono alla conclusione che, sebbene l’azione revocatoria ordinaria esercitata nell’ambito di una procedura concorsuale richieda taluni adattamenti, essa resta, anche in tale evenienza, la medesima azione prevista dal codice civile, come del resto risulta chiaramente dall’espressione adoperata nella L. Fall., art. 66. Le condizioni dell’azione non mutano e l’esigenza di tutela della posizione del creditore individuale non scompare, ma è naturalmente assorbita in quella della massa che la ricomprende, per conto della quale sta in causa il curatore.

1.4. Le ragioni che, nel caso esaminato dalle Sezioni unite, hanno condotto alla conclusione che, sopravvenuto il fallimento del debitore e subentrato il curatore nell’azione revocatoria ordinaria proposta da un singolo creditore, quest’ultimo perde la legittimazione ad agire, fanno luce pure sull’ipotesi per certi versi diametralmente opposta sottoposta all’attenzione di questo Collegio.

Nella vicenda che ci occupa le banche intendono avvalersi degli effetti processuali e sostanziali del giudizio per revocatoria ordinaria originariamente intrapreso, ai sensi dell L. Fall., art. 66, dal curatore del fallimento poi revocato.

I ricorrenti sostengono che, a seguito della revoca del fallimento, l’azione sarebbe invece improseguibile; che, non essendovi più alcun soggetto interessato all’azione, andrebbe dichiarata la sopravvenuta cessazione della materia del contendere; che, in ogni caso, le banche, non essendo state parti della causa in pendenza del fallimento, non potrebbero riassumerla e proseguirla dopo la revoca dello stesso.

Tali prospettazioni, però, devono essere disattese, ove si consideri che il singolo creditore, pur non potendo stare autonomamente in giudizio nell’azione proposta L. Fall., ex art. 66, è comunque rappresentato in giudizio dal curatore in forza di una speciale legittimazione sostitutiva (v. ancora Cass. Sez. U, n. 29420 del 2008, cit).

Infatti, se è vero che l’azione revocatoria esercitata dal curatore è la stessa che avrebbero potuto esercitare i singoli creditori se il comune debitore non fosse fallito; che i creditori non hanno legittimazione attiva a proporre autonomamente l’azione revocatoria in pendenza di fallimento, perchè di tali effetti si deve giovare l’intero ceto creditorio; che quindi l’interesse collettivo della massa può e deve essere rappresentato in giudizio dal solo curatore; se tutto ciò è vero, si deve concludere nel senso dell’ammissibilità della riassunzione, da parte del singolo creditore, dell’azione revocatoria ordinaria intrapresa dal curatore e successivamente dichiarata interrotta a seguito della perdita della capacità processuale di quest’ultimo per intervenuta revoca del fallimento.

Laddove si affermasse il contrario, infatti, si finirebbe per recare ai creditori il pregiudizio di non aver potuto esercitare individualmente l’azione revocatoria in pendenza di fallimento, perchè in quel momento l’unico legittimato è il curatore, e di non poterla esercitare neppure dopo la revoca del fallimento, perchè nel frattempo potrebbero essere scaduti i termini di cui all’art. 2903 c.c..

Per evitare una simile stortura del sistema, occorre necessariamente riconoscere che, intervenuta la revoca del fallimento, singoli creditori possono riassumere personalmente l’azione revocatoria ordinaria avviata dal curatore, avvalendosi degli effetti sostanziali e processuali dipendenti dalla notifica dell’atto di citazione originario.

1.5. Nella stessa direzione depone, inoltre, la necessità di valorizzare un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto.

Negare al creditore una siffatta possibilità e invece imporgli l’onere di esercitare da capo l’azione (ove non prescritta) significherebbe, anzitutto, frustrare senza adeguato motivo quell’esigenza di rapidità e di economicità dei giudizi che trova oggi conferma anche nel principio costituzionale di ragionevole durata dei processi, stabilito dall’art. 111 Cost., comma 7. L’attuazione di tale principio impone, infatti, di privilegiare soluzioni che evitino l’inutile dispersione di attività processuale.

Inoltre, da un’interpretazione diversa deriverebbe per il creditore il concreto pericolo di prescrizione dell’azione, con conseguente lesione del diritto ad agire in giudizio a tutela dei diritti, garantito dall’art. 24 Cost.

Nè vale, di contro, osservare che la posizione del creditore sarebbe adeguatamente salvaguardata dalla previsione di cui all’art. 2935 c.c. Infatti, la disposizione da ultimo citata troverebbe spazio se, in pendenza del fallimento del debitore, l’azione revocatoria ordinaria non fosse esercitabile; ma, come si è visto commentando l’arresto delle Sezioni unite, il curatore esercita esattamente la stessa azione che, altrimenti, spetterebbe ai singoli creditori. Poichè il curatore esercita una sintesi di tutte le azioni individuali, la carenza dei presupposti per far valere il diritto avrebbe un connotato meramente soggettivo, ma non oggettivo.

1.6. Giovano due ulteriori precisazioni, funzionali anche all’esame del terzo motivo di ricorso di cui si dirà appresso.

Anzitutto, stante la natura degli effetti della sentenza che accoglie la domanda revocatoria, che determina la mera inopponibilità soggettiva dell’atto dispositivo al creditore che ha agito in giudizio, deve affermarsi che, qualora il fallimento venga revocato, la domanda originaria nell’interesse della massa si scompone in una pluralità di domande scindibili, autonomamente proseguibili da ciascun creditore.

E’ quindi possibile dire che la domanda, divenuta scindibile, viene proseguita dal singolo creditore con causa petendi e petitum potenzialmente ridotti. Del resto, il medesimo atto può risultare in concreto revocabile nei confronti di un creditore e non esserlo nei confronti di un altro.

In secondo luogo, occorre considerare che, in caso di intervenuta revoca del fallimento, l’azione del curatore non va dichiarata improseguibile per sopravvenuta carenza di interesse. Piuttosto, trattandosi di un’azione che poteva essere promossa prima dell’apertura del fallimento, il processo deve essere semplicemente interrotto per perdita della capacità processuale del curatore (v. Sez. 1, Sentenza n. 6029 del 14/03/2014, Rv. 629869; Sez. 1, Sentenza n. 5438 del 29/02/2008, Rv. 602280; Sez. 1, Sentenza n. 4766 del 28/02/2007, Rv. 595006).

Consegue che la causa non riassunta dal singolo creditore nei termini di cui all’art. 305 c.p.c. si estingue, con effetti limitati alla sola sua domanda. In tal caso, il creditore potrà, pertanto, giovarsi dell’effetto interruttivo della prescrizione previsto dall’art. 2945 c.c., comma 3, ma non anche della sospensione del decorso della prescrizione previsto dal comma 2 della medesima disposizione, la cui verificazione è subordinata alla tempestiva riassunzione del processo.

1.7. Queste conclusioni resistono anche a talune possibili obiezioni.

La prima considerazione che potrebbe farsi sta in ciò: l’azione revocatoria esercitata dal curatore L. Fall., ex art. 66 si rivolge solamente nei confronti dell’accipiens, mentre, nel caso in cui l’azione sia esercitata al di fuori di una procedura concorsuale, beneficiario dell’atto di disposizione e debitore disponente sono litisconsorti necessari.

Le Sezioni unite, con la sentenza n. 29420 del 2008 cit., hanno tuttavia chiarito che tale modificazione della struttura soggettiva dell’azione costituisce soltanto l’invitabile adattamento dell’azione revocatoria ordinaria alla situazione peculiare del debitore fallito, che è privato della capacità di stare personalmente in giudizio. La necessità della partecipazione anche del debitore al giudizio promosso dal creditore contro il terzo per la revoca di un atto di disposizione compiuto dal debitore medesimo viene infatti meno, una volta dichiarato il fallimento, in conseguenza degli effetti propri della procedura concorsuale, per le medesime ragioni che escludono la partecipazione del fallito ai giudizi promossi dal curatore nell’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare.

Altra possibile obiezione è che la domanda del curatore potrebbe non coincidere con quella proseguita dal singolo creditore. Così, ad esempio, nell’ipotesi in cui l’atto dispositivo sia anteriore all’insorgenza di taluni debiti ammessi al passivo, ma non di quello del creditore che riassume il processo.

Si tratta, però, di una questione di merito che si risolve nell’onere del creditore di allegare l’anteriorità del proprio credito e del debitore di confutarla.

In sostanza, in caso di revocatoria L. Fall., ex art. 66 ci sono creditori che si avvantaggiano dell’effetto e se ne sarebbero potuti avvantaggiare anche se non fosse intervenuta la dichiarazione di fallimento, e altri che se ne giovano solo perchè è stato dichiarato il fallimento. Ove a riassumere la causa fosse uno di questi ultimi, vi sarebbero gli estremi per una regressione di fase, ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2, per violazione incolpevole dei termini difensivi; in tal modo il debitore potrebbe validamente difendersi contro il singolo creditore che si trova in una situazione in punto di fatto diversa da quella in cui si poneva il curatore fallimentare.

1.8. Costituisce corollario di quanto finora affermato che il creditore che riassume la causa avviata dal curatore, oltre che dell’effetto interruttivo della prescrizione determinato dalla notificazione dell’atto di citazione da parte della curatela, si avvale anche dell’effetto sospensivo per tutta la durata del giudizio.

Ciò deriva dalla circostanza che egli riassume e prosegue esattamente la stessa causa promossa dal curatore, di cui fa quindi salvi tutti gli effetti sostanziali e processuali.

1.9. In conclusione, va quindi affermato il seguente principio di diritto:

“il singolo creditore può riassumere l’azione revocatoria ordinaria proposta, ai sensi della L. Fall., art. 66, dal curatore fallimentare dopo l’interruzione determinata dalla perdita della capacità processuale dello stesso per intervenuta revoca del fallimento, giovandosi degli effetti sostanziali e processuali retroagenti alla data di notifica dell’atto di citazione originario”.

1.10. Il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere, quindi, rigettati.

2.1. Con il terzo motivo di ricorso si censura, in via subordinata, l’omessa dichiarazione di estinzione della causa, quantomeno limitatamente alla posizione della Banca Popolare di Vicenza s.p.a.

Per il corretto inquadramento della doglianza occorre anzitutto sottolineare che la causa intentata dalla curatela non è stata dichiarata interrotta a seguito della revoca del fallimento. Quando è intervenuto il fatto che ha privato di poteri rappresentativi il curatore, la causa si trovava sospesa ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione dell’opposizione alla dichiarazione di fallimento.

Pertanto è avvenuto che la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a., in data 13 febbraio 2003, ha riassunto la causa ai sensi dell’art. 297 c.p.c.. La Banca Popolare di Vicenza s.p.a., invece, è intervenuta, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., nel giudizio già riassunto dall’altro istituto di credito.

In tale contesto i ricorrenti osservano che, anche ammettendo che la curatela abbia agito in sostituzione dei singoli creditori, la causa avviata dalla Banca Popolare di Vicenza s.p.a. dovrebbe essere comunque estinta, non essendo l’intervento di terzo ex art. 105 c.p.c. – peraltro depositato oltre la scadenza del termine semestrale fissato dall’art. 297 c.p.c. equipollente della (mancata) riassunzione. Infatti, essendo le azioni revocatorie a tutela dei singoli creditori cause scindibili, la Banca Popolare di Vicenza s.p.a. avrebbe dovuto riassumere la causa sospesa con le modalità e nei termini di cui all’art. 297 c.p.c..

L’istituto di credito avrebbe potuto usufruire – al più – della sola interruzione istantanea ex art. 2943 c.c. e art. 2945 c.c., comma 3, sicchè il suo diritto sarebbe oltretutto prescritto, essendo l’intervento nel giudizio collocato a più di dieci anni dall’atto da revocare e a più di cinque anni dalla domanda della curatela.

2.2. La censura è fondata e deve essere accolta.

2.3. Anzitutto va premesso e ribadito che se due o più creditori agiscono congiuntamente per la revoca del medesimo atto dispositivo, si dà luogo ad altrettante cause scindibili (retro, par. 1.6).

Stante la natura scindibile della domanda proposta dalla Banca Popolare di Vicenza s.p.a. rispetto a quella dell’altro istituto di credito, il suo intervento in giudizio ha natura adesiva autonoma.

Infatti, l’intervento adesivo autonomo, a differenza di quello dipendente, il quale dà luogo ad un giudizio unico ed inscindibile con pluralità di parti, realizza una connessione di cause scindibili ed indipendenti per la diversità dei rapporti rispettivamente dedotti (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15197 del 24/11/2000, Rv. 542136).

2.4. Così qualificato l’intervento spiegato dalla Banca Popolare di Vicenza s.p.a., la questione della prescrizione dell’azione va valutata in relazione alla singola posizione processuale dell’interveniente.

In particolare, per tutte le ragioni esposte nei par. 1.3 e 1.4, fino a quando non è stata dichiarata la revoca del fallimento, gli interessi della banca, al pari di quelli di tutti gli altri creditori, erano rappresentati in giudizio dal curatore. La Banca Popolare di Vicenza s.p.a., allo stesso modo dell’altro istituto, avrebbe potuto riassumere il giudizio nei termini fissati dall’art. 297 c.p.c., così facendo salvi tutti gli effetti processuali e sostanziali della domanda proposta dalla curatela.

Invece, avendo proposto intervento adesivo autonomo, è come se avesse iniziato un nuovo giudizio. Nè può considerarsi l’atto di intervento come equivalente ad una riassunzione del processo sospeso (ma in realtà già riassunto dall’altro creditore), dal momento che l’intervento è stato comunque formalizzato dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 297 c.p.c..

Consegue che la Banca Popolare di Vicenza s.p.a. si è avvalsa del solo dell’effetto interruttivo del giudizio esercitato dal curatore, ma non anche degli effetti sospensivi della prescrizione. Per valersi di questi ultimi, avrebbe dovuto proseguire il giudizio della curatela, piuttosto che istaurarne uno ex novo, benchè introdotto mediante intervento adesivo autonomo nella causa revocatoria proseguita da altro creditore.

Infatti, il contendente non può giovarsi, in cause scindibili, dell’attività spiegata da altri litiganti per un periodo diverso e precedente a quello corrispondente alla propria attività giudiziale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 96 del 16/01/1951, Rv. 882594).

2.5. Tali considerazioni sarebbero rimaste ferme pure nella diversa ipotesi (qui considerata in via meramente teorica, ma in realtà di più frequente verificazione) in cui l’azione della curatela, anzichè essere sospesa ex art. 295 c.p.c., fosse stata dichiarata interrotta per perdita della capacità processuale del curatore (v. par. 1.6).

In entrambi i casi, alla mancata riassunzione nei termini (previsti rispettivamente dagli artt. 297 e 305 c.p.c.) consegue l’estinzione del processo, con la conseguenza che l’effetto interruttivo della prescrizione sarebbe stato solo quello istantaneo determinato dalla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (art. 2945 c.c., comma 3). Tale effetto, stante la scindibilità delle domande, si sarebbe verificato autonomamente per ciascun creditore.

Pertanto, in nessuna circostanza il creditore che non abbia tempestivamente riassunto una causa sospesa interrotta, avrebbe potuto giovarsi dell’effetto interruttivo permanente della prescrizione.

2.6 Va dunque affermato il seguente principio di diritto:

“Allorquando una causa sospesa ex art. 295 c.p.c. o interrotta ai sensi dell’art. 299 c.p.c. e ss. sia riassunta da uno dei contendenti, il litisconsorte facoltativo che, anzichè riassumere anch’egli la causa, svolga intervento adesivo autonomo dopo la scadenza dei termini fissati – a seconda dei casi – dall’art. 297 c.p.c. o dall’art. 305 c.p.c., si può avvalere solo dell’effetto interruttivo della prescrizione derivante dalla notificazione dell’originario atto di citazione (art. 2943 c.c., comma 1), ma non anche dell’effetto sospensivo di cui all’art. 2945 c.c., comma 2, in quanto, non avendo egli tempestivamente coltivato il precedente giudizio, lo ha lasciato estinguere, ai sensi all’art. 2945 c.c., comma 3”.

2.6 In conclusione, l’azione revocatoria proposta dalla Banca Popolare di Vicenza s.p.a. con atto di intervento adesivo autonomo è tardiva, in quanto esercitata dopo la scadenza del termine di cui all’art. 2903 c.c., pur individuando quale dies a quo l’atto interruttivo costituito dalla notificazione dell’atto di citazione promosso dal curatore fallimentare.

Tale azione, dunque, dopo che era già prescrizione.

Non essendo necessari ricorrono le condizioni va rigettata in quanto proposta ulteriori accertamenti di fatto, previste dall’art. 384 c.p.c., comma 2, perchè questa Corte decida nel merito.

3. Con il quarto e il sesto motivo di ricorso, i coniugi D.S. e S. ripropongono due questioni relative alla posizione della Banca Popolare di Vicenza s.p.a., entrambe già disattese dai giudici di merito; l’una riguarda la pretesa nullità della fideiussione e l’altra il difetto assoluto di motivazione in ordine alla conoscenza o conoscibilità del pregiudizio recato alla banca dall’atto dispositivo.

Entrambi i motivi sono assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso, in esito al quale la posizione della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. è stata rigettata ad altro titolo.

4. Il quinto motivo di ricorso è relativo all’eccezione di carenza di legittimazione attiva del creditore ipotecario dedotta sub. Specie dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. In sostanza, i ricorrenti sostengono che l’eventus damni richiesto dall’art. 2901 c.c. sarebbe stato individuato in un pregiudizio solamente potenziale e astratto e non invece, come richiesto dalla norma, effettivamente sussistente. In particolare, la sussistenza di effetti veramente pregiudizievoli per il creditore ipotecario andrebbe esclusa in considerazione del diritto di sequela sul bene costituito in fondo patrimoniale.

La censura è inammissibile.

Si tratta, infatti, di motivo già dichiarato inammissibile in appello perchè nuovo. Tale rilievo è assorbente rispetto a ogni ulteriore considerazione.

Non vale, in contrario, osservare che si tratterebbe di eccezione rilevabile d’ufficio. La questione, infatti, è impropriamente dedotta con la veste di difetto di legittimazione attiva del creditore. Piuttosto si tratta, a ben vedere, di una contestazione relativa a un elemento costitutivo della fattispecie (l’eventus damni), la cui ipotetica carenza, in difetto di tempestiva contestazione, non può essere rilevata d’ufficio. Si tratta, comunque, di un accertamento in fatto precluso in sede di legittimità.

5. Con il settimo motivo di ricorso viene dedotta la carenza di legittimazione passiva di S.I., in quanto coniuge non debitore.

Anche questo motivo è stato dichiarato nuovo e quindi inammissibile dalla corte d’appello.

Esso è oltretutto infondato, in quanto la declaratoria di inefficacia riguarda direttamente anche la S..

Difatti, “in tema di azione revocatoria, la natura reale del vincolo di destinazione impresso dalla costituzione del fondo patrimoniale in vista del soddisfacimento dei bisogni della famiglia e la conseguente necessità che la sentenza faccia stato nei confronti di tutti coloro per i quali il fondo è stato costituito comportano che, nel relativo giudizio per la dichiarazione della sua inefficacia, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l’atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, spettando ad entrambi, ai sensi dell’art. 168 c.c., la proprietà dei beni che costituiscono oggetto della convenzione, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto costitutivo, con la precisazione che anche nell’ipotesi in cui la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo, essendosi il coniuge (o il terzo costituente) riservato la proprietà dei beni, è configurabile un interesse del coniuge non proprietario alla partecipazione al giudizio” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1242 del 27/01/2012, Rv. 621541).

6. La Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. e la Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a. hanno proposto ricorso incidentale relativo all’omessa pronuncia sull’inammissibilità del motivo d’appello concernente l’eccezione di prescrizione dell’azione revocatoria.

La doglianza è assorbita dal rigetto dei primi due motivi del ricorso principale.

7. Nella regolamentazione delle spese processuali occorre distinguere fra la posizione dei due creditori.

La Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a. e la Banca Popolare del Veneto s.p.a. hanno congiuntamente proposto un unico controricorso con ricorso incidentale, quest’ultimo assorbito dal rigetto dei primi due motivi del ricorso principale. Ricorrono tuttavia le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione, in considerazione dell’assoluta novità della questione trattata.

La domanda della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. stata invece rigettata decidendo nel merito. La statuizione delle spese processuali deve riguardare tutti i gradi di giudizio. Anche in questo caso, però, considerata l’assoluta novità della questione trattata, va disposta l’integrale compensazione delle spese di lite.

PQM

accoglie il terzo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il quarto e il sesto motivo, rigetta nel resto il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda della Banca Popolare di Vicenza s.p.a.

Compensa le spese di lite dell’intero giudizio nei rapporti fra i ricorrenti principali e la Banca Popolare di Vicenza s.p.a.

Compensa le spese del giudizio di cassazione fra i ricorrenti principali, la Banca Popolare del Veneto s.p.a. e la Cassa di Risparmio di Venezia s.p.a.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2017

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