Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10902 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 08/06/2020), n.10902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3475/2019 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Cancelleria Centrale Civile della Corte di Cassazione, rappresentato

e difeso dall’Avvocato Roberto Denti giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 7/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/2/2020 dal cons. PAZZI Alberto.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. con decreto in data 7 dicembre 2018 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da M.N., cittadino senegalese, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria;

il Tribunale in particolare, dopo aver preso atto che non era stata prevista nè svolta alcuna nuova audizione e che comunque il ricorrente, nel comparire avanti al giudice designato, aveva descritto la propria situazione di vita in Italia, riteneva, fra l’altro, che non fosse concedibile la protezione umanitaria, in quanto nessuna documentazione era stata prodotta dalla difesa con riguardo all’integrazione del ricorrente nè dal suo racconto era emerso alcun elemento personalizzato;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso M.N. prospettando due motivi di doglianza;

l’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10, lett. a) e comma 11, e art. 111 Cost., a causa dell’omessa audizione del ricorrente avanti al Tribunale adito: il Tribunale, pur in assenza della video registrazione del colloquio tenutosi dinnanzi alla Commissione territoriale, non avrebbe proceduto alla nuova audizione del ricorrente, con la conseguente nullità del decreto pronunciato per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno dispiegamento del principio del contraddittorio;

3.2 il motivo è infondato;

il provvedimento impugnato, pur dando atto che “non è stata prevista nè svolta nuova audizione”, ha registrato non solo l’avvenuta comparizione del migrante in udienza, ma anche il fatto che lo stesso ha avuto modo di rendere dichiarazioni in tale occasione;

l’affermazione del Tribunale va quindi intesa come esclusione di una nuova, completa, audizione del migrante su tutte le circostanze già oggetto delle dichiarazioni rese alla commissione territoriale, malgrado questi, nei fatti, abbia avuto modo di illustrare al giudice designato quanto riteneva opportuno;

il che non comporta affatto alcuna violazione del compendio normativo indicato, in quanto l’obbligo di audizione non può essere inteso in termini di inutile duplicazione di attività già compiute e deve invece essere valutato alla stregua dell’intera procedura di esame della domanda di protezione, tenendo conto del potere del giudice di esaminare l’intera documentazione, che a suo giudizio può ritenere esaustiva (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 42 e 44); 4.1 il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, in quanto il Tribunale avrebbe omesso di compiere un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva del richiedente asilo con riferimento al paese di origine, onde verificare se il rimpatrio avrebbe potuto determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale;

il rigetto della richiesta di protezione umanitaria, in tesi di parte ricorrente, avrebbe comportato da un lato l’inaccettabile negazione della differenza fra le condizioni di vita nel paese di accoglienza e quelle del paese di origine, con cui il migrante non aveva legami da anni, dall’altro la ricollocazione del medesimo in un contesto a cui egli era estraneo e foriero di gravissimi rischi per la sua incolumità fisica; il giudice di merito avrebbe dovuto invece riconoscere che il panorama socio-politico esistente nel paese di provenienza del ricorrente e la sua vicenda personale consentivano di ravvisare seri motivi per riconoscere la protezione umanitaria;

4.2 il motivo è inammissibile;

vero è che il Tribunale era chiamato a valutare, secondo il regime applicabile ratione temporis, la sussistenza del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, all’esito di un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio potesse determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (Cass., Sez. U. 29459/2019, Cass. 4455/2018);

il che tuttavia presupponeva che il migrante allegasse e dimostrasse, oltre alle ragioni che l’avevano spinto ad allontanarsi dal paese di origine, la situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, dato che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 27336/2018);

nel caso di specie il Tribunale ha constatato che “nessuna documentazione è stata prodotta dalla difesa con riguardo all’integrazione del ricorrente (che tra l’altro risulta anche allontanato dal centro di accoglienza per un alterco…)”;

allo stesso modo, a dire del collegio del merito, “nessun altro elemento personalizzato è emerso nel racconto del ricorrente, di modo che….. non sussistono indici sui quali fondare un giudizio di grave sproporzione fra i due contesti di vita”;

a fronte di questi accertamenti – che rientrano nel giudizio di fatto demandato al giudice di merito – la doglianza intende nella sostanza proporre una diversa lettura dei fatti di causa, traducendosi in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito (Cass. 8758/2017);

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto;

la mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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