Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10899 del 18/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 18/05/2011), n.10899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.G.L. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato

PAESE ESTER, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERANTONI ORSOLA,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore Centrale

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 143/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di L’AQUILA – Sezione Staccata di PESCARA dell’11.6.08,

depositata il 06/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Orsola Pierantoni che si riporta

agli scritti, insistendo per l’accoglimento del ricorso;

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il relatore cons. Mariaida Persico, letti gli atti depositati, osserva:

1. A.G.L. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Aquila, sezione distaccata di Pescata n. 143/10/08, depositata il 6 agosto 2008, con la quale, rigettandosi l’appello del contribuente, veniva confermata la parziale legittimità dell’avviso di accertamento con il quale era stata sanzionata la presenza di alcuni lavoratori irregolari.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

2. Il ricorso, articolato in un motivo unico, – con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, commi 1 e 2 e art. 1, comma 2 e/o delle norme sull’ammissione e valutazione della nuova documentazione prodotta in appello e vizio della motivazione -, risulta inammissibile in quanto la formulazione del motivo con il quale si censura la violazione di legge non soddisfa i requisiti postulati dall’art. 366 bis c.p.c., mancando la formulazione del quesito di diritto (così come imposto dal disposto del citato articolo) e la formulazione della doglianza per difetto della motivazione non appare soddisfare i requisiti voluti dalla legge ed i principi fissati da un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (SS.UU. n. 20603/2007, n. 16002/2007).

Si rileva, peraltro, che, anche a voler intendere “quesito” le due domande con le quali si conclude il ricorso, le stesse appaiono prive dei requisiti stabiliti per la sua formulazione dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il quesito deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata: ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente, come a tutto concedere nella fattispecie, in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. Sez. un., n. 26020 del 2008).

3. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto inammissibile”.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. con la quale si ribadisce il contenuto del ricorso e si formula un quesito inammissibile perchè tardivo, ed ancora perchè, in violazione del disposto dell’art. 366 bis c.p.c., formulato come unico con riferimento tanto alla censura ex art. 360, n. 3 che a quella ex art. 360 c.p.c., n. 5; che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che le spese di lite possono essere regolate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 2.700,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2011

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