Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10899 del 05/05/2010

Cassazione civile sez. I, 05/05/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 05/05/2010), n.10899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23112/2005 proposto da:

COMUNE DI RIETI (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso

l’avvocato NAPOLEONI MARIA CRISTINA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PISELLI Francesco, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PESCOROCCHIANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3476/2003 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/02/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Comune di Rieti, nella qualità di successore degli Istituti Riuniti di Ricovero di Rieti nella cui amministrazione era compresa la Casa di Riposo M.P., adì il Tribunale di Rieti per chiedere la condanna del Comune di Pescorocchiano al pagamento della somma di L. 53.666.000 per la retta di degenza presso la detta casa di riposo del sig. S.E., maturata dal 1 gennaio 1988 fino al 12.6.93 e rimasta insoluta, alla cui corresponsione il Comune convenuto si era impegnato con la Casa di riposo i giusta Delib.

Giunta 27 settembre 1986, n. 415.

L’ente convenuto si costituì e, per quel che ancora rileva in questa sede, eccepì nel merito di nulla dovere per essersi devoluto l’onere del pagamento al Comune di Rieti in quanto l’assistito, che concorreva al pagamento, aveva ivi trasferito la propria residenza anagrafica sin dal 12.11.87, il tutto in dipendenza del c.d. istituto di soccorso di cui alla L. n. 6972 del 1890.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 728/2000, respinse la domanda ritenendo risolto il contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c., in forza della presupposizione, ravvisata nel presupposto della delibera di giunta che aveva disposto il ricovero del S. che questi fosse residente nel Comune di Pescorocchiano, ben noto all’altro contraente, perciò al Comune di Rieti che era subentrato alla casa di riposo.

Gravata dai rispettivi appelli delle parti, la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza n. 3476 depositata il 26 luglio 2004. Avverso questa decisione il Comune di Rieti ha proposto il presente ricorso per cassazione in base a tre mezzi ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

L’intimato non ha spiegato difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo il Comune di Rieti, denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., ascrive alla Corte territoriale errore consistito nell’aver escluso il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il primo giudice, e d’aver per l’effetto confermato la rilevabilità d’ufficio della risoluzione sulla base della presupposizione, che concreta invece eccezione in senso stretto, in quanto tale rimessa alla parte interessata. Soggiunge che il Comune di Pescorocchiano non aveva sollevato siffatta eccezione, ma aveva invocato il c.d.

domicilio di soccorso per accreditare la propria tesi, secondo cui il Comune di Rieti era ad esso succeduto nell’obbligo di pagare la retta di degenza alla data in cui il ricoverato aveva ivi trasferito la propria residenza. La qualificazione di tale deduzione in termini d’eccezione di risoluzione è perciò errata.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale, ribadita la natura contrattuale dell’obbligazione, ha negato il vizio di ultrapetizione, denunciato dal Comune di Rieti sull’assunto che controparte non aveva formulato nè eccezione, da intendersi in senso stretto, nè domanda di risoluzione del contratto. Ha sostenuto che le parti, pur in mancanza d’espresso riferimento, avevano tenuto presente nella formazione del loro consenso, in modo da costituire presupposto ad esse comune, il fatto che il S. fosse residente nel Comune di Pescorocchiano.

Venuta meno tale condizione, l’accordo si era risolto.

Ciò premesso, è evidente che, ricostruita la vicenda fattuale sulla scorta delle circostanze narrate dalle parti e sostanzialmente coincidenti, i giudici di merito hanno interpretato il dato nel senso che la sua deduzione avesse introdotto eccezione dell’ente convenuto, che hanno quindi ricondotto, in jure, al paradigma della presupposizione. In questa cornice l’assunto non si presta a critica poichè, l’indagine diretta a stabilire se la situazione esaminata sia stata dai contraenti, nella formulazione del consenso, tenuta presente secondo il delineato schema della “presupposizione” si esaurisce sul piano propriamente interpretativo del contratto e costituisce, pertanto, una valutazione di fatto riservata al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se sia immune da vizi logici e giuridici.

La sintesi conclusiva che nella specie i giudei d’appello ne hanno tratto non è perciò fondata sull’assunzione officiosa al thema disputandum di un’eccezione rimessa esclusivamente al potere dispositivo della parte interessata, bensì sull’interpretazione di una circostanza di fatto, ritualmente introdotta nelle difese di parte convenuta, sulla quale, formatosi regolarmente il contraddittorio, parte attrice ha potuto interloquire, spiegando a riguardo ogni opportuna replica. In ragione di ciò non hanno senso i richiami al rilievo non officioso della presupposizione, indiscutibile e certamente condivisibile – per tutte Cass. nn. 2108/2000, 6631/2006. L’approdo si fonda sulla qualificazione giuridica, ritenuta corretta in linea di stretto diritto, di un fatto acquisito al processo nella corretta dialettica tra domanda ed eccezione; è pertanto immune dal vizio denunciato.

Col secondo motivo, che denuncia violazione dell’istituto della presupposizione e correlato vizio di motivazione sul punto, il ricorrente illustra la costruzione dogmatica dell’istituto controverso e le finalità tese all’equilibrio patrimoniale che ne legittimano l’operatività nell’ambito del rapporto contrattuale, e, anche con riferimenti a precedenti di questa Corte, ne richiama il tratto indefettibile, rappresentato dalla comune consapevolezza dell’evento supposto. Deduce difetto di motivazione a tal riguardo, osservando che il giudice d’appello non avrebbe chiarito per quale ragione la casa di cura M.P. fosse consapevole che la residenza del S. costituisse presupposto di validità ed efficacia del negozio per il Comune di Pescorocchiano ed ha attribuito rilievo al fatto che il Comune di Rieti pagò la retta di degenza in concomitanza col cambio di residenza del S., senza nulla eccepire.

Anche questo motivo è infondato.

La decisione impugnata ha sottolineato il fatto che per circa sei anni il Comune di Rieti ha sostenuto i costi della degenza, senza nulla obiettare. Seppur con scarna motivazione, la Corte territoriale ha recuperato e valorizzato, applicandolo correttamente, l’antico istituto del domicilio di soccorso, operante ratione temporis, che, introdotto dalla L. 17 luglio 1809, n. 6972, ed ormai abrogato dalla L. 8 novembre 2000, n. 328, art. 30, regolava le spese per l’assistenza ed il ricovero dei meno abbienti, individuando i Comuni aventi “l’obbligo di provvedere al ricovero stabile presso strutture residenziali dei soggetti in grave disagio” in quelli entro il cui territorio si trovava il domicilio della persona bisognosa d’assistenza. L’art. 72 della legge citata prevedeva che il domicilio di soccorso si acquistava se il povero avesse dimorato in un Comune per più di cinque anni e si perdeva con l’acquisto di altro domicilio di soccorso.

Tale ultima condizione, accertata in causa in senso incontrovertibile per aver il S. spostato la propria residenza nel Comune di Rieti dal 1 gennaio 1988, ha svolto nell’individuazione dell’ente tenuto all’adempimento dell’obbligo di provvedere al regolamento economico il ruolo decisivo che in sostanza è tipico proprio della presupposizione, dovendo suddetta condicio juris, per sua stessa natura, ritenersi a conoscenza delle parti contraenti. La residenza del soggetto in stato di bisogno, parametro legale d’individuazione dell’ente tenuto all’onere del pagamento della retta di degenza, non poteva essere ignorata dal Comune di Pescorocchiano, all’epoca in cui si assunse l’obbligo di sostenere le spese del ricovero del suo cittadino presso la casa di cura, anzi ne rappresentò il presupposto indefettibile, nè tanto meno era sconosciuta dal Comune di Rieti, ed ha perciò assunto valore dirimente.

In questa chiave, la decisione impugnata non necessitava di ulteriore o meglio argomentato tessuto motivazionale. Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1467 c.c., e lamenta che la ravvisata presupposizione non giustifica l’automatica risoluzione del contratto, erroneamente pronunciata dalla Corte territoriale che avrebbe omesso di delibare sulla sussistenza di tale requisito.

Anche questo motivo devesi dichiarare infondato.

La Corte territoriale non ha trascurato di prendere in esame il profilo funzionale del rapporto, e proprio in questa prospettiva ha correttamente considerato, in linea di diritto, che il venir meno del presupposto fondante l’obbligazione assunta dal Comune di Pescorocchiano configurava una causa di scioglimento del rapporto obbligatorio, attesa l’impossibilità della sua prosecuzione.

La presupposizione, o meglio la condizione non svolta ma tenuta presente dagli originar contraenti, per la quale il contratto ebbe a fondarsi sulla base dell’indicata “situazione di fatto” assurta a presupposto della volontà negoziale, ove venga a mancare comporta appunto la caducazione del contratto stesso.

Il ricorso va, pertanto, integralmente respinto.

Non vi è luogo alla pronuncia sulle spese in assenza d’attività difensiva dell’intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010

 

 

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