Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10897 del 26/05/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10897 Anno 2016
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA

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sul ricorso 28147-2013 proposto da:

Rep.

DI BONAVENTURA ANTIDA e DI EUGENIO ROBERTA,

domiciliate

elettivamente in ROMA, VIA CRESCENZIO 82, presso lo
studio dell’avvocato FEDERICO BONOLI, rappresentate e
difese dall’avvocato LUIGI VILLANI, giusta procura
speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti contro
ELI – ABRUZZO s.r.l. o a r.1.;

Zo16
84 R

– intimata nonché sul ricorso incidentale proposto da

ud. 19/04/2016

Data pubblicazione: 26/05/2016

ELI-ABRUZZO

a

rappresentante

r.1.,

in

persona

del

pro tempore BENIAMINO DI

legale

CRESCENZO,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIETRO DE
CRISTOFARO 40, presso lo studio dell’avvocato ELENA
BERRE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI

copia notificata del ricorso, trovasi in calce al
controricorso con ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale contro
DI BONAVENTURA ANTIDA e DI EUGENIO ROBERTA, domiciliate
elettivamente in ROMA, VIA CRESCENZIO 82, presso lo
studio dell’avvocato FEDERICO BONOLI, rappresentate e
difese dall’avvocato LUIGI VILLANI, giusta procura
speciale a margine del ricorso principale;

controricorrenti al ricorso incidentale

avverso la sentenza n. 862/2013 della CORTE D’APPELLO
DELL’AQUILA, emessa il 07/08/2013, depositata il di
11/09/2013, R.G.N. 169/2011;
udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica
udienza del 19/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott.
FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato LUIGI VILLANI;
udito l’Avvocato MAURIZIO CALIGIURI per delega orale
dell’Avvocato Gebbia;

udienza 19.4.16 – est. Cons. F. De Stefano – rg 28147-13

GEBBIA, per procura che, benché indicata in calce alla

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso principale limitatatamente
al 5 0 motivo, rigetto del ricorso incidentale.

§ 1. – La controversia ha ad oggetto il risarcimento dei danni
patiti da Orfeo Di Eugenio in data 2.6.94 in località Prati di Tivo
(TE), quando, impegnato ad aiutare il personale di un elicottero
della Eliabruzzo, intento nel trasporto ad un rifugio montano di
rifornimento viveri caricati in una rete agganciata sotto il velivolo,
era rimasto impigliato nelle maglie di questa e, così trascinato
verso l’alto dall’elicottero ciononostante decollato, solo ad una
certa altezza era riuscito a liberarsi, precipitando al suolo e
procurandosi serie lesioni alla persona.
Il Di Eugenio aveva citato allora in giudizio dinanzi al
tribunale di Teramo, con atto notificato il 30-31 maggio 1996, la
Eliabruzzo spa e la sua assicuratrice, la Assicuratrice Edile, per il
risarcimento dei danni alla persona che sosteneva di aver subito a
causa del comportamento negligente dei dipendenti della prima
convenuta; ma il tribunale, estromessa la compagnia, aveva
respinto la domanda e la corte d’appello di L’Aquila confermato il
rigetto.
Proposto ricorso per cassazione dalle eredi del danneggiato,
Antida Di Bonaventura e Roberta Di Eugenio, questa Corte lo
accolse però con sentenza 10 novembre 2010, n. 22822,
rinviando alla stessa corte territoriale affinché accertasse se il
trasporto aereo in questione – essendo solo in condizioni anomale
l’attività di navigazione aerea un’attività pericolosa ai sensi
dell’art. 2050 cod. civ. – fosse stato svolto in condizioni ordinarie
o in condizioni anomale, così da chiarire se avesse o meno
costituito attività pericolosa, chiarendo se il personale di bordo
avesse attuato ogni cautela nel momento del decollo,

udienza 19.4.16 – est. Cons. F. De Stefano – rg 28147-13

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Svolgimento del processo

assicurandosi dell’assenza di persone estranee in prossimità
dell’operazione e, comunque, dell’incolumità di queste, per poi,
una volta eventualmente accertata la natura pericolosa
dell’attività, trarre le conseguenze probatorie così come
disciplinate dall’art. 2050 cod. civ..
Adita in riassunzione dalle eredi del danneggiato, la corte
territoriale, senza alcuna ulteriore istruttoria, ritenne poi provato

in difetto di prova dell’adozione di tutte le misure per evitare il
fatto, quindi la responsabilità della società che lo stava gestendo,
per poi liquidare il danno in complessivi € 45.827,05 oltre
accessori, in particolare dopo avere rapportato il risarcimento per
il danno non patrimoniale da postumi invalidanti permanenti del
18% ai soli dieci anni di effettiva sopravvivenza dell’infortunato quarantaquattrenne al momento dei fatti – all’evento dannoso,
nonché esclusa la prova del danno patrimoniale ulteriore rispetto
alle spese mediche già esposte.
Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata in data 11.9.13
col n. 862, ricorrono Antida Di Bonaventura e Roberta Di Eugenio,
affidandosi a cinque motivi; l’intimata Eliabruzzo srl dispiega
ricorso incidentale, articolato su di un unico motivo, cui le
ricorrenti principali resistono con ulteriore controricorso.
Motivi della decisione
§ 2. – Va premesso che alla fattispecie si applica, essendo
stata la sentenza oggi gravata pubblicata dopo il giorno 11.9.12, il
nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., quale risultante
dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), di. 22 giugno 2012,
n. 83, conv. con modif. dalla I. 7 agosto 2012, n. 134 (e tanto in
forza della disciplina transitoria, di cui al co. 3 del medesimo art.
54 cit.). Di tale norma va anche qui applicata l’interpretazione
adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., 22
settembre 2014, n. 19881), in forza della quale:
– in primo luogo, il sindacato sulla motivazione è ormai
ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sé, cioè alla
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”,

udienza 19.4.16 – est. Cons. F. De Stefano – rg 28147-13

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l’espletamento del trasporto in questione in condizioni anomale e,

alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra
affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”;
– in secondo luogo, il controllo previsto dal nuovo n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne l’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali

oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che
se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della
controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto
tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto
dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
astratta mente rilevanti.
§ 3. – Tanto premesso, assume evidentemente carattere
preliminare la disamina dell’unico motivo di ricorso incidentale, col
quale la “Eli-Abruzzo a r.l.” lamenta “violazione e falsa
applicazione di legge dell’art. 2697 c.c. con riferimento agli art.
2043 e 2050 c.c. vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c.”: riguardo al
controricorso col quale è stato dispiegato va pure notato che,
nonostante sia nelle sue premesse indicato essere stato formato
da difensori muniti di procura spillata in calce alla copia notificata
del ricorso (ciò che lo renderebbe inammissibile, non potendo
conseguirsi la certezza del conferimento della stessa in epoca non
successiva alla redazione dell’atto), una procura speciale risulta in
concreto acclusa in calce al controricorso stesso, sicché esso
risulta infine ritualmente formulato.
Ciò posto, la ricorrente incidentale lamenta, in sostanza, che
la corte di merito non avrebbe rilevato il mancato assolvimento
dell’onere probatorio, ritenuto incombente a controparte in base
alla stessa sentenza di cassazione con rinvio, in ordine alle
concrete modalità di accadimento dei fatti e sul carattere anomalo
delle condizioni del trasporto.

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(rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito

Replicano le ricorrenti principali avere invece correttamente
la corte di merito accertato in concreto l’assoluta mancanza delle
necessarie cautele di sicurezza, richiamando la ricostruzione dei
fatti operata da controparte fin dalla comparsa di risposta del
19.7.96; e concludono denunciando il tentativo di rivisitazione
delle conclusioni di merito raggiunte dalla corte territoriale.
. § 3.1. In primo luogo, la violazione dell’art. 2697 cod. civ.

malamente individuato il soggetto onerato della prova dei fatti e
non anche quando ci si voglia dolere del risultato complessivo
della valutazione del materiale probatorio in atti.
§ 3.2. Peraltro, in via dirimente si osserva che, per il
generale principio processualcivilistico sulla natura “chiusa” del
giudizio di rinvio, nella specie la corte di merito avrebbe dovuto, in
ottemperanza a quanto statuito da questa corte con la sentenza
rescindente n. 22822/10, “chiarire se il personale di bordo avesse
attuato ogni cautela nel momento del decollo, assicurandosi
dell’assenza di persone estranee in prossimità dell’operazione e,
comunque, dell’incolumità di queste”.
Ma questo è proprio quello che essa ha fatto, valutando gli
elementi a sua disposizione e, concluso per il carattere anomalo
del trasporto e quindi per quello pericoloso dell’attività,
correttamente – e se non altro per implicito – accollando l’onere
probatorio dell’adozione di ogni cautela alla società che avrebbe
dovuto adottarle, cioè a quella che l’attività qualificata infine
pericolosa stava espletando e che avrebbe dovuto provare di
andare esente da colpa: non può quindi rimproverarsi, come oggi
vorrebbe con il motivo così formulato la ricorrente incidentale, alla
• corte territoriale di avere individuato un soggetto onerato
piuttosto che un altro, ciò che solo potrebbe in astratto integrare
la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.
invocata con il motivo in esame.
§ 3.3. è piuttosto il risultato dell’attività di valutazione degli
elementi acquisiti in giudizio che la Eliabruzzo mira a porre in
discussione, nel momento in cui solo ora contesta perfino la

udienza 19.4.16 — est. Cons. F. De Stefano – rg 28147-13

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può dedursi soltanto adducendo che il giudice del merito abbia

sussistenza di valida prova sulla sequenza o dinamica dei fatti, ma
tanto:
– è precluso dall’introduzione dei seri limiti al controllo
motivazionale in sede di legittimità ricordati al § 2;
– è inammissibile per avere implicitamente la sentenza di
cassazione (la n. 22822/10) delimitato l’ambito delle sole ulteriori
indagini di fatto all’adozione delle cautele al momento del decollo,

norma da applicare (cioè l’art. 2050 cod. civ.), presuppone che
onerata di provarlo sia l’esercente l’attività indicata come
potenzialmente pericolosa, se non anche in applicazione dei
principi generali in tema di vicinanza della prova: del resto
corrispondendo a nozioni di comune esperienza che, per quanto
possa ritenersi sostanzialmente sicura l’attività di trasporto a
mezzo di elicottero, le operazioni di atterraggio e di decollo in
luoghi aperti al pubblico – pacifico essendo che nella specie non si
trattava di eliporto o altra zona recintata e preclusa al transito – e
senza cautele atte ad impedire l’avvicinamento di estranei al
velivolo oltre una distanza di sicurezza sono invece
intrinsecamente fodere di rischi per la possibilità di un governo
non adeguato di un manufatto dotato di spiccata energia cinetica
ed intrinsecamente idoneo a ledere per impatto o contatto;

è comunque infondato, perché, come rimarcano le

ricorrenti principali nel loro controricorso al ricorso incidentale, la
sequenza degli accadimenti risulta dalle stesse parziali ammissioni
dell’allora convenuta società, come contenute nella comparsa di
risposta in primo grado (correttamente trascritta e riportata anche
quanto ad indicazione della sede processuale di produzione: v.
pag. 3 penultimo periodo del controricorso al ricorso incidentale),
allorché aveva dedotto che il Di Eugenio si era trovato
casualmente nella zona in cui erano effettuate le operazioni di
scarico della merce e si era, “inopinatamente” e senza essere
autorizzato o anche solo visto da alcuno dei dipendenti in servizio,
attaccato alla rete rimanendovi agganciato col piede; con la qual
cosa si ammette che, evidentemente, idonee cautele atte ad

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ciò che, intuitivamente e conformemente alle previsioni della

impedire che, in una manovra in un luogo accessibile ad un
pubblico potenzialmente indifferenziato, chicchessia potesse
accedere all’area di azione del velivolo non erano in concreto state
adottate.
5 3.4. Il motivo va, conclusivamente, rigettato e, con esso, il
ricorso incidentale che su di esso si fonda, potendosi così passare
alla disamina dei motivi di ricorso principale.

“violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 32 e 111
Cost., degli artt. 1260, 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., degli artt.
138 e 139 del d.lgs. 209/2005, degli artt. 112, 113, 114, 115,
116 e 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, mi. 3 e 4”, premettendo in rubrica che “la Corte
territoriale, attraverso l’errata applicazione delle suddette norme,
non ha equamente determinato e liquidato il danno biologico da
invalidità permanente ed il danno morale, sicché le somme
attribuite non risarciscono l’entità dei pregiudizi alla salute ed
all’integrità psicofisica subiti dal danneggiato, né le rilevanti
sofferenze patite dallo stesso, né paiono adeguate alla gravità
dell’illecito di rilievo penale ed agli elementi ulteriori della
fattispecie concreta (quali, ad es., l’omesso spontaneo
risarcimento, i conclamati riflessi delle gravi lesioni sulla vita
lavorativa e familiare del danneggiato, etc.), con motivazione che
non giustifica l’evidente disparità di trattamento rispetto a
situazioni analoghe, viepiù ove si tenga conto che, se la
liquidazione fosse intervenuta nell’immediatezza del fatto (come
sarebbe stato doveroso avvenisse l’attività

o,

riparatoria)

quantomeno, nel rispetto della durata ragionevole del processo
(secondo i noti criteri indicati dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo), il Di Eugenio Orfeo avrebbe conseguito in vita il ristoro
effettivo ed integrale”.
Ribatte Eliabruzzo che il motivo cela una censura agli
apprezzamenti di mero fatto operati dalla corte di merito,
comunque essendo escluso in sede di legittimità un controllo
sull’adeguatezza del risarcimento e non profilandosi la necessità

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§ 4. – Col primo motivo le ricorrenti principali si dolgono di

della pure invocata rimessione alle Sezioni Unite in ordine alla
questione della riduzione del risarcimento in rapporto alla durata
effettiva della vita.
§ 4.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile nella parte in cui prospetta un vizio della
motivazione: la quale invece con tutta evidenza sussiste ed è
scevra da quelle sole gravi mende rimaste rilevanti dopo la

È infondato perché è stata fatta corretta applicazione del
principio della necessaria commisurazione della liquidazione del
danno biologico alla durata effettiva della vita, se questa è
minore, per causa indipendente dal sinistro per cui è giudizio, di
quella attesa o corrispondente a quella media, pur tenendo conto
del fatto della maggiore intensità del patema d’animo nei primi
tempi successivi all’evento rispetto a quelli successivi (Cass. 31
gennaio 2011, n. 2297): dovendo, in altri termini, tenersi conto
dell’effettiva durata di vita del danneggiato, piuttosto che della
sua possibile vita futura (Cass. 14 novembre 2011, n. 23739;
Cass. 30 giugno 2015, n. 13331), visto che il danno da liquidare
deve pur sempre ragguagliarsi a quanto effettivamente e
concretamente patito in dipendenza della durata della vita in cui la
sofferenza si è in concreto protratta.
La corrispondenza di tale principio alla fondamentale
esigenza del contenimento di qualsiasi forma di risarcimento
all’effettivo detrimento arrecato, ribadita anche nelle fondamentali
pronunzie delle Sezioni Unite del giorno 11 novembre 2008 (nn.
26972 ss.), lo suffraga di una base teorica di tale solidità da
escludere la necessità di una rimessione alle Sezioni Unite.
§ 4.2. Infine, risulta del tutto nuovo in questa sede – non
evincendosi dal ricorso la sede processuale ed il preciso tenore
testuale delle espressioni con cui sarebbe esplicitamente stato
sottoposto alla corte di merito – l’ulteriore profilo della negativa
incidenza della durata eccessiva del processo sulla possibilità di
conseguire un risarcimento nella ben maggiore misura
ragguagliata al periodo di vita residua attesa o media, per l’ipotesi

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riforma del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., di cui al § 2.

in cui, concludendosi in tempi più contenuti, il processo avesse
potuto cristallizzare una previsione su di una durata maggiore di
sopravvivenza: ma, in disparte tale profilo di inammissibilità, non
può configurarsi quale chance suscettibile di risarcimento quella di
conseguire una liquidazione, suscettibile di passare in giudicato,
che si riveli in concreto (e per l’effettivo sviluppo degli
accadimenti rispetto alla loro prognosi) poi sovradimensionata – e

persistenza in vita afflitta dai postumi permanenti invalidanti. Una
tale

chance è

effettivamente estranea all’ambito dei danni

prevedibili, dando luogo soltanto ad un’ingiusta locupletazione di
una parte in danno dell’altra.
Resta salva – e, beninteso, impregiudicata – la questione
dell’utile deducibilità di una tale problematica in un’azione per
conseguire l’equa riparazione in dipendenza della protrazione dei
tempi del processo oltre la durata ragionevole secondo i parametri
stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo in tema di art. 6 della relativa Convenzione: ma, con
ogni evidenza, nei confronti di diversi ipotetici danneggianti.
§ 5. – Col secondo motivo le ricorrenti principali lamentano
“violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., degli artt.
2056, 2059 e 1126 c.c., degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 e 132
c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, premettendo in rubrica che “la Corte
territoriale non ha congruamente e correttamente adempiuto
all’obbligo di motivazione, né proceduto alla personalizzazione del
danno morale, sicché la quantificazione di questo risulta viziata e
sottostimata, poiché non correlata all’entità dei danni alla salute
ed all’integrità psicofisica posti in evidenza dalla CTU e dagli atti
processuali, né alla rilevanza penalistica (seppure solo astratta, ex
art. 590 c.p.) dell’illecito, né ai riflessi delle gravi lesioni sulla vita
lavorativa e familiare del danneggiato”.
§ 5.1. Al riguardo, nella parte in cui coinvolge una censura
alla motivazione della sentenza, la doglianza è inammissibile,
perché non in linea con i principi già enunciati al § 2; nella parte

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di molto – rispetto alla minore sofferenza collegata alla più breve

in cui si incentra sulla dedotta inadeguatezza della liquidazione, è
fondata la replica della controricorrente in ordine
all’incensurabilità in sede di legittimità della valutazione, siccome
eminentemente di fatto, della corte territoriale.
Del resto, nella gravata sentenza si riscontra un complesso
motivazionale a fondamento e sostegno della determinazione del
danno morale nella misura indicata: complesso motivazionale che,

sede per quanto indicato al § 2, ha comportato un incremento
della liquidazione del risarcimento per il danno biologico – sia pure
nella misura originaria, cioè prima del suo ragguaglio dalla vita
sperata di almeno altri circa quaranta anni ai soli dieci anni di
sopravvivenza effettiva – in ragione di originari C 10.000 a fronte
di C 56.370: ed è stato giustificato esplicitamente in base alla
seria patologia subita dal Di Eugenio (cioè la frattura scomposta
del calcagno sinistro), all’intervento chirurgico subito (riduzione
cruenta della frattura stessa) ed alle lunghe cure immediatamente
intraprese (consistenti nell’apparecchio gessato).
§ 5.2. Infine, giova soggiungere che le circostanze descritte
dalle ricorrenti alle pp. 14 e seguenti del ricorso principale
costituiscono conseguenze ineludibili per qualunque persona
avesse subito lesioni della medesima entità; esse pertanto, non
avrebbero comunque giustificato alcuna maggiore liquidazione del
danno non patrimoniale rispetto ai casi consimili.
§ 6. – Col terzo motivo le ricorrenti principali deducono
“violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., degli artt.
2056, 2059 e 1126 c.c., degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 e 132
c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, premettendo in rubrica che “il
Giudice di merito non ha congruamente e correttamente
adempiuto all’obbligo di motivazione, né determinato nella misura
dovuta il danno “biologico temporaneo”, sicché quanto attribuito
alle ricorrenti è inferiore alle somme previste dalle tabelle del
Tribunale di Milano 2013″.

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scevro dai soli gravissimi vizi ormai ammessi a tutela in questa

Anche in questo caso è fondata l’eccezione della ricorrente
incidentale in punto di piena legittimità della valutazione
equitativa del “danno biologico temporaneo”, in difetto di
allegazione espressa delle tabelle cc.dd. milanesi già davanti alla
corte di merito, o comunque di idonea trascrizione in ricorso dei
passaggi e di indicazione delle relative sedi processuali coi quali la
specifica applicazione di quelle tabelle sarebbe stata sollecitata

questa Corte (a partire da Cass. 7 giugno 2011, n. 12408; tra le
ultime, v. Cass. 7 marzo 2016, n. 4382).
§ 7. – Col quarto motivo le ricorrenti principali denunciano
“violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 111 Cost., degli artt.
2727, 2729, 2043, 1218 e 1223 c.c., degli artt. 112, 113, 114,
115, 116 e 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché della
L. n. 39 del 1977, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1,
nn. 3 e 4”, premettendo in rubrica che “la Corte territoriale non
ha congruamente e correttamente adempiuto all’obbligo di
motivazione nel negare la liquidazione del danno patrimoniale, né
ha fatto corretta applicazione delle norme sostanziali e processuali
suddette, omettendo sia di apprezzare sul punto il contenuto della
CTU e dagli atti processuali ritualmente acquisiti, sia di dedurre
anche presuntivamente la riduzione della capacità di guadagno”.
Replica la controricorrente Eliabruzzo che correttamente la
corte del merito ha escluso la prova di una concreta diminuzione
del patrimonio o del reddito in dipendenza delle lesioni, come pure
della capacità di lavoro specifica.
§ 7.1. Il motivo è infondato: correttamente la corte di merito
rileva l’inidoneità, quale elemento per l’accertamento di una tale
riduzione, della sola dichiarazione dei redditi del 1994, senza il
benché minimo ulteriore documento contabile di riscontro o di
comparazione con gli anni successivi all’incidente, onde
evidenziare eventuali diminuzioni del reddito stesso,
eventualmente da ricondurre – anche presuntivamente – al
sinistro patito ed all’incidenza negativa delle sue conseguenze
sulla capacità di produrre redditi.

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alla corte del merito, secondo quanto reiteratamente statuito da

Per una comparazione occorrono almeno due elementi e non
è possibile, in base al solo fatto di avere certamente patito lesioni
e se non a prezzo di introdurre una fattispecie di invece
inammissibile danno in re ipsa (dovendo al contrario esso sempre
e comunque essere provato, per giurisprudenza fermissima, su
cui, per tutte, v. Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972),
fondatamente dedurre una riduzione sia di reddito che della

Ancora, non è censurabile in sede di legittimità la decisione
del giudice del merito di non fare ricorso a presunzioni o di non
avvalersi di procedimenti inferenziali da elementi indiziari: il
relativo procedimento logico sfugge, se scevro – come lo è per
l’autoevidenza della conclusione dell’insufficienza di un elemento
isolato – da quei soli gravissimi vizi ormai rilevanti dopo la riforma
del n, 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., al sindacato di questa corte di
legittimità.
§ 7.2. Ed altrettanto correttamente si esclude l’applicabilità
del criterio previsto dall’art. 4 della legge n. 39 del 1977, il quale
sovviene al momento della liquidazione e postula pur sempre,
quindi, il conseguimento della prova dell’effettiva riduzione (da
ultimo, Cass. 8 gennaio 2016, n. 123, ove riferimenti ai
precedenti consolidati).
§ 8. – Col quinto ed ultimo motivo le ricorrenti principali
adducono “violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e
336 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”,
premettendo in rubrica che “la Corte territoriale ha omesso di
pronunciare in ordine alla restituzione delle spese di lite di primo
grado, nonché in ordine al rimborso delle stesse in favore delle
ricorrenti”.
Ribatte la Eliabruzzo per il carattere onnicomprensivo della
liquidazione delle spese all’esito dell’annoso giudizio.
§ 8.1. Il motivo è fondato.
Pur essendo indispensabile un’onnicomprensiva valutazione
per regolare il carico delle spese di lite, è evidente che la corte
territoriale ha omesso di statuire, accogliendo definitivamente in

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capacità di produrlo in futuro.

sede di rinvio il gravame delle odierne ricorrenti principali avverso
la sentenza del tribunale di Teramo del 19.12.01, sulle spese del
primo grado, che erano invece state poste a loro carico: il relativo
importo non potendo in alcun modo ricavarsi essere stato neppure
implicitamente preso in considerazione.
Tanto comporta però la cassazione della gravata sentenza
limitatamente al capo delle spese e nella parte in cui non

ricorrenti principali somministrano a questa Corte gli elementi
necessari, è possibile pronunciare nel merito e porle infine, attesa
la totale soccombenza nei gradi fino a quello di rinvio, a carico
della Eliabruzzo srl, nella stessa misura in origine liquidata a suo
favore dal tribunale (C 3.394,15, di cui C 51,65 per esborsi, oltre
maggiorazione per spese generali, CPA ed IVA nella misura di
legge), secondo le indicazioni in questo espresso senso delle
medesime ricorrenti principali.
Integra invece effetto automatico – così non necessitando di
statuizione espressa – della riforma della sentenza di primo grado,
che si configurava totale già con la qui gravata sentenza del 2013,
l’obbligo di restituzione, da parte del beneficiario della condanna
alle spese di primo grado, di quanto eventualmente percepito in
dipendenza di quel capo travolto dalla detta integrale riforma.
§ 9. – In conclusione, infondati o inammissibili i primi quattro
motivi di ricorso principale ed infondato il ricorso incidentale, gli
uni e l’altro vanno rigettati, mentre va accolto soltanto il quinto
motivo di ricorso principale, nei sensi e con gli effetti indicati al §
8.
Il carattere pressoché totale della reciproca soccombenza
integra, poi, un giusto motivo di compensazione delle spese del
giudizio di legittimità, applicandosi alla fattispecie il testo dell’art.
92 cod. proc. civ. nel testo anteriore anche alla riforma introdotta
dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge 28 dicembre 2005, n.
263, per essere stata intrapresa l’azione in primo grado nel
maggio 1996.

udienza 19.4.16 – est. Cons. F. De Stefano – rg 28147-13

14

provvede anche su quelle del primo grado: e, poiché le odierne

Trova infine applicazione – mancando ogni discrezionalità al
riguardo (Cass. 14 marzo 2014, n. 5955) – l’art. 13, co. 1-quater,
del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17,
della I. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato
per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale
il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il
provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della

improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte
dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da
essa proposta, a norma del co. 1-bis del detto art. 13. La norma
va applicata però solo per la ricorrente incidentale e per il caso
che essa abbia versato o dovuto versare alcunché a tale titolo in
dipendenza del gravame da essa specificamente proposto, visto
che il ricorso principale è stato, benché in minima parte, accolto.
P. Q. M.
La Corte:
– rigetta i primi quattro motivi di ricorso principale ed il
ricorso incidentale;
– accoglie il quinto motivo di ricorso principale;
– per l’effetto, cassa la gravata sentenza in relazione alla
censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Eliabruzzo
Sri, in pers. del leg. rappr.nte p.t., altresì al pagamento, in favore
delle ricorrenti principali e tra loro in solido, delle spese del primo
grado, liquidate in C 3.394,15, di cui C 51,65 per esborsi, oltre
maggiorazione per spese generali, CPA ed IVA nella misura di
legge;
– compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
– ai sensi dell’art. 13, co.

1-quater, d.P.R. 115/02, come

modif. dalla I. 228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte della sola ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso da essa proposto, a norma del co. 1-bis dello
stesso art. 13.

udienza 19.4.16 — est. Cons. F. De Stefano – rg 28147-13

15

sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione
6.

civile della Corte suprema di cassazione, il 19 aprile

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