Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10896 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 08/06/2020), n.10896

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9641/2019 proposto da:

D.T., elettivamente domiciliato in Roma presso la Corte di

cassazione, difeso dall’avvocato Dott. Cognini Paolo;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 04/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 da Dott. DI MARZIO MAURO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – D.T., cittadino (OMISSIS), ricorre per due mezzi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 4 febbraio 2019 con cui il Tribunale di Ancona ha respinto la sua impugnazione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di rigetto della domanda di protezione internazionale o umanitaria.

2. – L’amministrazione intimata non spiega difese, nessun rilievo potendosi a scrivere ad un “atto di costituzione” depositato per l’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso per cassazione è stato proposto per i seguenti motivi: 1) Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Accertamento del diritto alla protezione umanitaria – Violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis e art. 27, comma 1 bis – Violazione dei parametri valutativi ed interpretativi – Violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria Violazione dell’obbligo di congruità della motivazione – Erronea interpretazione delle disposizioni di legge – Violazione di legge in riferimento all’art. 8 CEDU.

L’oggetto della censura attiene alla legittimità, coerenza, logicità e sufficienza sia dei parametri valutativi applicati in sede di accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione

umanitaria, sia dei profili motivazionali a riguardo articolati, anche in riferimento al concetto di vulnerabilità del richiedente ed alle sue implicazioni. La censura attiene anche alle carenze istruttorie che hanno caratterizzato l’attività di accertamento del diritto alla protezione umanitaria.

2) Art. 360. comma 1, n. 4 – Mancanza della motivazione / Motivazione apparente – Nullità del decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c. Nullità del decreto per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 429 c.p.c., comma 1, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2. Nullità del decreto per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6.

L’oggetto della censura attiene alla carenza della componente motivazionale in riferimento alla ritenuta insussitenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, nonchè in riferimento alle censure rassegnate con l’atto introduttivo del giudizio ed alla connessione logico-giuridica tra le premesse di ordine generale e la fattispecie concreta.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Esso si fonda sulle dichiarazioni rese in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, sul provvedimento adottato dalla Commissione e sul ricorso al Tribunale di Ancona, con cui egli aveva esposto le proprie ragioni a sostegno della domanda spiegata.

Nessuno di tali atti è localizzato, sicchè il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475).

3. – In ogni caso i due motivi sono entrambi in sè inammissibili per la loro genericità.

3.1. – Il primo motivo si protrae per 10 pagine, da pagina 4 a pagina 14, e si diffonde in considerazione di vario genere sulla protezione umanitaria, addebitando al giudice di merito di non aver motivato sul rigetto, o comunque di non aver motivato comprensibilmente: ma nel motivo non è neanche spiegato in che cosa consisterebbe il connotato di vulnerabilità del D.T.. Si dice (a pagina 12) che il Tribunale avrebbe ritenuto l’irrilevanza “del percorso di integrazione eseguito dal richiedente”, ma nulla risulta alla Corte di quale sarebbe detto non meglio identificato “percorso”. Sarebbe stato “opportunamente documentato nell’ambito del giudizio”, ma non si sa dove, che il richiedente avrebbe seguito corsi di istruzione di formazione lavorativa e svolto plurime attività di volontariato, il tutto senza ulteriori precisazioni: e soprattutto senza alcun raffronto con la situazione di provenienza.

E’ difatti cosa nota che le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 13 novembre 2019, n. 29460 hanno stabilito che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria “occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, sulla scia del principio secondo cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari… considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza” (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072), giacchè “la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo” (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304), il tutto in vista della verifica “se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

E dunque l’allegazione di una situazione di vulnerabilità postula la simultanea deduzione (peraltro nella specie come si è detto mancante) non solo delle condizioni di eventuale radicamento in Italia, ma anche di quelle alle quali il richiedente si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, tali da comportare una violazione della soglia del nucleo dei diritti fondamentali: raffronto, questo, come si premetteva, totalmente assente nella prospettazione del ricorrente. Sicchè in definitiva il motivo è tutt’affatto generico.

3.2. – Per il secondo motivo valgono considerazioni analoghe.

Da pagina 15 a pagina 18 il ricorrente espone principi concernenti la nozione di motivazione apparente: senza che vi sia alcuno specifico passaggio della motivazione addotta dal giudice di merito specificamente presa in considerazione nel corpo del motivo al fine di individuare le concrete carenze motivazionali riscontrabili -beninteso, a fronte degli elementi di giudizio resi disponibili dall’interessato – nel decreto, nel quale si sottolinea l’inesistenza di problematiche soggettive del tipo di quelle considerate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. a-d, neppure avendo il richiedente dimostrato di aver seriamente intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativa, e si aggiunge che nel paese di provenienza non vengono segnalate compromissioni all’esercizio dei diritti umani.

Sicchè anche il secondo motivo è totalmente generico.

4. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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