Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10895 del 05/05/2010

Cassazione civile sez. I, 05/05/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 05/05/2010), n.10895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26706/2005 proposto da:

CONSORZIO AGRARIO LOMBARDO VENETO DI VERONA MANTOVA E VICENZA S.C. A

R.L. (P.I. (OMISSIS)), già Consorzio Agrario Interprovinciale di

Verona e Vicenza coop. a r.l., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

RIPETTA 22, presso l’avvocato RUSSO Sergio, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DALLA BERNARDINA MARIO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FACCIO ANTONIO E SANTAGIULIANA ALIDA S.N.C., F.A.,

S.A.;

– intimati –

sul ricorso 30472/2005 proposto da:

FACCIO ANTONIO & SANTAGIULIANA ALIDA S.N.C. (P.I. (OMISSIS)), in

persona dei legali rappresentanti pro tempore, nonchè dei soci

F.A. e S.A. in proprio, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ALCIDE DE GASPERI 35, presso l’avvocato

GRAZIANI GIANLUCA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ZOCCA ALESSANDRO, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

CONSORZIO AGRARIO LOMBARDO VENETO DI VERONA MANTOVA E VICENZA S.C. A

R.L., già Consorzio Agrario Interprovinciale di Verona e Vicenza

coop. a r.l., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIPETTA 22,

presso l’avvocato RUSSO SERGIO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DALLA BERNARDINA MARIO, giusta procura a

margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 363/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/02/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;

udito, il ricorrente, l’Avvocato SERGIO RUSSO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale; rigetto del ricorso

incidentale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato

ALESSANDRO ZOCCA che ha chiesto il rigetto del ricorso principale;

l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PIVETTI Marco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale; inammissibilità o rigetto dell’incidentale.

Eventualmente decisione nel merito con rigetto dell’opposizione a

d.i..

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consorzio Agrario Interprovinciale di Verona e Vicenza soc. coop. a r.l., ora Consorzio Lombardo Veneto, chiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale di Verona decreto ingiuntivo del 10.6.96 nei confronti della società Faccio Antonio-Santagiuliana Alida s.n.c. nonchè dei soci F.A. e S.A. per l’importo di L. 246.370.210 asseritamente spettantegli a titolo di recupero degli ammanchi di cassa riscontrati in relazione alla gestione di un esercizio commerciale in (OMISSIS), regolata da contratto d’associazione in partecipazione stipulato con la società;

ingiunta il 29.9.1990, che imponeva alla società, secondo il testo della clausola n. 8, il versamento giornaliero ad esso istante degli importi incassati.

Gli ingiunti proposero opposizione innanzi al Tribunale di Verona, che la respinse con sentenza n. 589 del 14.3.2000. I soccombenti, con due distinti atti d’appello, impugnarono la statuizione innanzi alla Coorte d’appello di Venezia, deducendone l’erroneità in plurimi profili: perchè la procura apposta a margine del ricorso per decreto ingiuntivo era nulla in quanto non recava l’indicazione del legale rappresentante del consorzio; perchè il Tribunale non aveva pronunciato su eccezioni risolutive, ed aveva erroneamente interpretato i fatti. Si dolsero inoltre del mancato riconoscimento del loro controcredito, e chiesero che la condotta del consorzio venisse valutata ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2. La Corte territoriale, in parziale riforma della precedente decisione, respinte tutte le altre domande ed eccezioni degli appellanti, ha accolto quella fondata sul disposto dell’art. 1227 c.c., comma 2, ed ha quindi revocato il decreto ingiuntivo, condannando i convenuti al pagamento della somma anzidetta ed ha disposto la compensazione delle spese del gravame per la metà, ponendo il residuo a carico dei soccombenti.

Avverso tale pronuncia il Consorzio ha proposto il presente ricorso per cassazione sulla base di unico articolato motivo, resistito dagli intimati i quali hanno a loro volta proposto ricorso incidentale in base ad otto mezzi, ai quali il ricorrente principale ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si dispone la riunione dei ricorsi a mente dell’art. 335 c.p.c. in quanto hanno ad oggetto la medesima decisione.

Articolando la sua censura in plurimi profili, il Consorzio ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, deducendo che ciascuno degli ammanchi, pacificamente riscontrati, rappresenta autonomo inadempimento traente origine da esigenze dell’associata, estranee al contratto d’associazione in partecipazione. Palese sarebbe l’errore della Corte territoriale per aver ritenuto il complessivo danno subito dal Consorzio come il risultato di un iniziale inadempimento riscontrato nel 1993 e successivamente aggravatosi nel corso del tempo, fino all’ammanco riscontrato in occasione della verifica del 14 marzo 1994, alla quale ha fatto seguito la risoluzione del rapporto e la conseguente iniziativa giudiziaria.

La Corte di merito non spiega perchè e come avrebbe potuto evitare l’aggravamento del danno. Comunque l’obbligo di correttezza postulato dalla norma applicata non può estrinsecarsi in un’attività gravosa per il creditore. E di certo, l’obbligo d’intraprendere azione giudiziaria non rientra nel dovere di correttezza e buona fede che sottende la norma applicata. In concreto non c’è il fatto colposo del creditore perchè il denaro versato dai clienti era gestito dall’associata e quindi alcun apporto causale esso poteva offrire. La Corte territoriale ha ritenuto violato il dovere di correttezza perchè non avrebbe evitato l’aggravarsi di un inadempimento iniziale pur se imputabile in via esclusiva all’associata.

Ha erroneamente applicato il disposto dell’art. 1227 c.c., inferendone l’onere probatorio, che ha erroneamente posto a suo carico, di giustificare il comportamento asseritamente omissivo, dimostrando di poter ritenere che l’associata potesse rientrare dagli ammanchi; nè espone con la necessaria compiutezza le ragioni fondanti la proclamata sussistenza di tale onere probatorio.

Siffatta lacuna motivazionale è infine riscontrabile in relazione all’asserita ascrittale negligenza.

Il motivo è fondato.

La Corte territoriale ha sostenuto che il Consorzio, ben consapevole degli ammanchi, in quanto sin dall’inizio la società convenuta aveva attinto agli incassi per far fronte ai propri costi di gestione, nonchè del perdurare della situazione debitoria, tanto che in precedenza era pervenuto ad una transazione con la controparte, aveva mantenuto condotta colposamente negligente, poichè non aveva impedito l’aggravamento dell’inadempimento imputato all’associata, avendo atteso la situazione disastrosa venutasi a realizzare nell’anno 1994. Applicando per l’effetto il disposto dell’art. 1227 c.c., comma 2, ha revocato il decreto ingiuntivo, ed ha ridotto la somma spettante all’attore all’importo di Euro 69.042,81 pari all’ammanco maturato sino al 1993. Tale statuizione non applica correttamente il disposto dell’art. 1227 cod. civ., comma 2, che ha espressamente richiamato. L’obbligo di diligenza gravante sul creditore, che rappresenta espressione del più generale dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati tendendo a circoscrivere il danno derivante dall’altrui inadempimento entro i limiti che rappresentino una diretta conseguenza dell’altrui colpa, non comprende anche l’obbligo di esplicare una straordinaria o gravosa attività, nella forma di un facere non corrispondente all’id quod plerumque accidit.

La norma, nel porre come condizione per il risarcimento dei danni l’inevitabilità degli stessi da parte del creditore, impone a quest’ultimo un dovere di cooperazione che si deve estrinsecare in un comportamento certamente operoso, improntato all’ordinaria diligenza, che non può però comprendere, per sua stessa definizione, attività tali da comportare sacrifici, esborsi, o assunzione di rischi, quale può essere l’esperimento di un’azione giudiziaria, sia essa di cognizione o esecutiva, che rappresenta esplicazione di una mera facoltà, dall’esito non certo – Cass. nn. 10684/2009, 14853/2007, 19139/2005 -. Il corollario impone al giudice di valutare in tale prospettiva non il comportamento astrattamente idoneo ad aggravare il danno, ma solo il comportamento che eccede: i limiti dell’ordinaria diligenza, intesa nel senso indicato. E solo se tale indagine sia stata condotta in questa chiave, il risultato, espressione di valutazione di merito, potrà essere immune dal sindacato di legittimità – Cass. S.U. n. 12348/2007 -.

La motivazione della decisione impugnata non si colloca in questo tracciato. Ascrive al creditore una colpa consistita nell’aver aspettato la disastrosa situazione venutasi a creare nel 1994, il che vuoi dire nell’aver soprasseduto ad eventuali iniziative giudiziarie dirette a recuperare il credito derivante dall’inadempimento di controparte ovvero nel non aver esercitato il recesso dal contratto.

Tanto su errata postulata inversione dell’onere della prova, che ha posto a carico del creditore e si sarebbe dovuto estrinsecare in un imprecisata giustificazione del comportamento omissivo, dimostrando che l’associata avrebbe potuto ragionevolmente sanare il suo indebitamento, laddove è indubbio che la parte inadempiente che solleva l’eccezione è tenuta a dimostrare le circostanze da cui possa desumersi la colpa del creditore (Cass. n. 6735/2005), poichè viene in rilievo un’exceptio in senso stretto il cui onere grava sull’eccipiente.

Il ricorso pertanto merita accoglimento.

Il ricorso incidentale coltiva ben otto profili di censura.

E’ infondato il primo motivo, con cui si denuncia nullità della procura a margine del ricorso monitorio, esclusa dalla Corte territoriale sull’assunto che la firma del legale rappresentante del Consorzio, accompagnata dalla visura camerale, esclude ogni incertezza sulla persona del conferente, e, comunque, se anche fosse illeggibile la forma, il nome del conferente è desumibile aliunde.

Il giudizio fondato sulla verifica condotta in punto di fatto dalla Corte territoriale, che le ha consentito d’escludere la denunciata incertezza sul nome e la qualità del sottoscrittore della procura, è insindacabile. In jure la decisione applica correttamente l’enunciato delle S.U. di questa Corte n. 4810/2005, che i resistenti dichiarano peraltro di conoscere e di non condividere con generico richiamo a diverso antico principio, ormai superato dal citato arresto.

Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione e violazione degli artt. 132 e 342 c.p.c., in relazione alla parte in cui dichiara inammissibile per difetto di specificità il motivo d’appello, con cui si era lamentato che il primo giudice non aveva deciso eccezioni asseritamente risolutive.

Indirizza critica avverso la sentenza impugnata, assumendo che era all’uopo sufficiente confrontare eccezioni e motivazione della decisione del Tribunale, per ricavarne il tenore.

Questo motivo è inammissibile.

La decisione impugnata ha rigettato la censura per difetto di specificità. Questa ratio decidendi non è impugnata; tanto meno, il motivo riproduce con la necessaria specificità le eccezioni risolutive che si assumono non esaminate dell’organo di gravame.

Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione, e contesta la ricostruzione del contratto intervenuto con il Consorzio nei termini ravvisati dai giudici di merito d’associazione in partecipazione, lamentando mancato accoglimento delle tesi difensive svolte in quella sede, secondo cui il regolamento pattizio prevedeva contratto di lavoro subordinato. Si sofferma sulla distinzione tra le figure negoziali indicate.

Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

L’interpretazione di un contratto è riservata al giudice di merito ed è sindacabile in questa sede per violazione dei canoni legali di ermeneusi, ovvero per vizio di motivazione – per tutte n. 10232/2009.

La censura sui criteri interpretativi deve essere specificamente riferita ai criteri che si reputano violati, e tale non è nella specie, in quanto il motivo non espone alcuna indicazione a riguardo.

Quanto al vizio di motivazione, occorre che la denuncia ne evidenzi insufficienza o contraddittorietà, ma non può mai risolversi in una rilettura del dato negoziale che ne proponga diversa qualificazione.

Il motivo in esame mira a tale risultato. La Corte territoriale ha ritenuto che le parti avessero stipulato il contratto d’associazione in partecipazione prevedendo l’apporto lavorativo della società Faccio con una corrispettiva cointeressenza negli utili – clausola 2 – e la gestione dell’impresa da parte del Consorzio.

I ricorrenti smentiscono tale ricostruzione e propongono diversa lettura del contenuto delle intervenute pattuizioni, che non può essere ammessa introducendo un’indagine di merito preclusa a questa Corte di legittimità.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 2353 c.c., essendosi verificato il totale accollo a loro carico delle perdite dell’impresa.

La decisione impugnata, infatti, ha collegato le perdite della società Faccio non già al contratto controverso ma al rischio d’impresa, che essa sin era assunto autonomamente allorchè l’impresa si costituì in forma collettiva. La censura è perciò inammissibile. Introduce infatti indagine che, alla luce del dato accertato dalla Corte di merito e rimasto inoppugnabile, è del tutto inconferente.

Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2552 c.c., ed afferma che l’associato ha diritto al rendiconto. Il mezzo è formulato con estrema genericità, ed enuncia astratto principio avulso dal contesto dell’impugnata sentenza, di cui non riferisce il passaggio contenente affermazione contraria al disposto normativo invocato.

E’ perciò inammissibile.

Col sesto motivo si deduce difetto di motivazione, laddove la sentenza impugnata ha respinto l’eccezione con cui si era dedotto che l’autorizzazione data dal Consorzio a trattenere le somme concretasse una remissione tacita del debito.

La Corte d’appello ha esaminato compiutamente siffatta eccezione, dando atto che l’appellante aveva decotto che il Consorzio aveva acconsentito ai prelievi di cassa assumendo un comportamento concludente ovvero con rinuncia tacita alle pattuizioni del contratto, ma l’ha ritenuta sfornita della prova, di cui era onerata l’appellante, della concludenza ed univocità del comportamento dell’assodante. Il documento di prelievo del gennaio 1991 sottoscritto da S.A. e controfirmato da S., non contiene espressa autorizzazione al prelievo; la transazione conclusa nel 1992 dimostra piuttosto il contrario.

Tale assunto è il risultato di un’indagine compiutamente condotta in punto di fatto sul bagaglio istruttorie, ed esprime con adeguata motivazione il giudizio di merito da essa tratto, che il motivo in esame censura deducendone l’infondatezza. Di qui l’inammissibilità anche di questa censura. Col settimo motivo i ricorrenti incidentali si dolgono del mancato riconoscimento di controcredito, certo, liquido ed esigibile, opposto in compensazione, desumibile dal prospetto predisposto in estratto dal Consorzio – doc. 4.-.

Il motivo è generico e non esprime effettiva censura avverso preciso passaggio logico della decisione impugnata, che neppure riferisce.

L’ultimo motivo, con cui si deduce vizio di motivazione in ordine alla compensazione delle spese giudiziali, disposta anche in relazione al primo grado, è infondata.

La decisione espone adeguata e logica motivazione sul capo, e tanto è sufficiente a fondare la statuizione assunta (Cass. n. 7523/2009).

Il ricorso incidentale deve essere perciò respinto.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al ricorso accolto con pronuncia nel merito, poichè non sono necessarie ulteriori indagini istruttorie, disponendo l’accoglimento della domanda originaria del Consorzio, con condanna della resistente al pagamento delle spese dell’intero processo, liquidate come da dispositivo.

PQM

LA CORTE riuniti i ricorsi; accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta l’opposizione proposta da Faccio Antonio e Santagiuliana Alida S.n.c. avverso il decreto ingiuntivo emesso il 10/6/96 dal Presidente del Tribunale di Verona in favore del Consorzio odierno ricorrente principale, e condanna i resistenti alle spese dell’intero processo che liquida per il primo grado in Euro 2.900,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, Euro 500,00 per spese e Euro 400,00 per diritti, per il secondo grado in Euro 4.257,63, di cui Euro 220,15 per esborsi ed Euro 1.537,48 per diritti e per il presente giudizio in Euro 5.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge per tutte le liquidazioni.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010

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