Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10892 del 08/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10892 Anno 2013
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MIGLIUCCI EMILIO

SENTENZA

sul ricorso 13647-2007 proposto da:
P
VITI PAOLA C.F.VTDPLA73A46A285R, VITI GAETANA C.F.
VTDGTN74M43A285P, PALUMBO LUCIA C.F.PLMLCU33R68A669Y,
VITI EMMA C.F.VTDMME70B43A285U, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo
studio dell’avvocato MACRO RENATO, rappresentati e
difesi dall’avvocato DE ZIO GIUSEPPE;
– ricorrenti contro

CASTRIOTA

SCANDERBEG

MARINA

MARIA,

CASTRIOTA

SCANDERBEG MARIALUISA, RASSELE HEDWIG, VITI GIUSEPPE

Data pubblicazione: 08/05/2013

,

MICHELE;
– intimati –

sul ricorso 16492-2007 proposto da:
CASTRIOTA

SCANDERBEG

MARINA

MARIA

C.F.CSTMNM58B44F839H, CASTRIOTA SCANDERBEG MARIALUISA
elettivamente domiciliate n

ROMA, VIA DEL CORSO 504, presso lo studio
dell’avvocato PIGNATELLI ANTONIO, che le rappresenta
e difende per proc. spec. del 15/2/2013 rep. n.
15830;
– controricorrentí e ricorrenti incidentali contro

VITI EMMA, PALUMBO LUCIA, RASSELE HEDWIG, VITI PAOLA,
VITI GAETANA, VITI GIUSEPPE MICHELE;
– intimati

sul ricorso 17252-2007 proposto da:
VITI

GIUSEPPE

MICHELE

C.F.VTIGPP51T24F839D,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. CHINOTTO l,
presso lo studio dell’avvocato PRASTARO ERMANNO, che
lo rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

PALUMBO LUCIA, CASTRIOTA SCANDERBEG MARIALUISA,
HEDWIG RASSELE, VITI EMMA, VITI PAOLA, CASTRIOTA
SCANDERBEG MARINA MARIA, VITI GAETANA;
– intimati –

C.F.CSTMLS63D70F839W,

avverso la sentenza n. 12/2007 della CORTE D’APPELLO
–SEZ.DIST. DI di BOLZANO7 depositata il 22/01/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/03/2013 dal Consigliere Dott. EMILIO
MIGLIUCCI;

16492/07 e l’Avv. Prastaro Ermanno per il ricorso n.
17252/07 che entrambi chiedono il rigetto del ricorso
principale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO che ha
concluso per il rigetto di tutti i ricorsi.

udito l’Avvocato Pignatelli Antonio per il ricorso n.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Secondo quanto esposto dalla decisione impugnata, la Corte di
appello di Trento, sez. dist. di Bolzano, con sentenza n.12 del 2007, in
parziale riforma di quella non definitiva n. 278/2006 del

di Tiberio Viti – Lucia Palumbo, Gaetana Viti, Paola Viti ed Emmma Viti e incidentale da Marina Maria Castriota Scanderbeg e Marialuisa
Castriota Scanderbeg, revocava la statuizione con cui era stato
accertato che le appellanti principali erano debitrici verso la
massa ereditaria del reddito percepito dalla “Tenuta” Torricella
(oltre agli interessi) con imputazione di dette somme alla loro
quota, nonché la statuizione con cui era stato accertato
che Marina Maria Castriota Scanderbeg e Marialuisa Castriota
Scanderbeg erano debitrici verso la massa della somma capitale di
euro 103.497,96 (oltre interessi) con imputazione di dette somme alla
loro quota in sede di divisione; dichiarava concluse le operazioni di
collazione secondo le modalità e con i prelievi di cui in
motivazione e, per l’effetto, accertava che le appellanti
incidentali Castriota Scandenbeg (in solido tra loro)erano
creditrici della massa ereditaria della somma di euro 39.483,04
(oltre agli interessi al saggio legale dalla data di apertura
della successione e sino al provvedimento conclusivo della
divisione)

e

che le appellanti principali erano creditrici

nei confronti della massa di euro 3.537,64 (oltre agli interessi al
saggio legale dalla data di apertura della successione e sino al
1

Tribunale di Bolzano, impugnata con appello principale dalle eredi

provvedimento conclusivo della divisione);

rigettava

le domande

erroneamente ritenute tardive dal Giudice di prime cure.
La sentenza esaminava innanzitutto l’appello incidentale proposto dalle
Castriota Scanderbeg, ritenendo fra l’altro, per quel che ancora

convertiti, di cui si era appropriata Gaetana Viti, andava fatto
riferimento al valore nominale delle somme pari a euro 103.497,96 che
non era stato dal Tribunale ritenuto oggetto di collazione ma imputato
quale debito avente a oggetto un obbligazione restitutoria a favore della
massa ereditaria a titolo di indebito. Tenuto conto del valore dei beni
donati a Tiberio Viti e a Michele Giuseppe Viti, oggetto di generiche
censure da parte degli appellanti principali, all’esito delle operazioni
di collazione, le eredi di Gaetana Viti erano risultate creditrici nei
confronti della massa di euro 39.483,04 mentre gli eredi di Tiberio Viti
erano risultati creditori di euro 3. 537,64 ; su tali somme erano stati
riconosciuti gli interessi moratori dalla domanda, attesa la buona fede
secondi i principi in materia di indebito.
Dopo avere chiarito che dovevano essere definite le operazioni di
collazione per imputazione anticipatamente rispetto alle operazioni
divisionali , nell’esaminare l’appello principale proposto dalle eredi di
Tiberio Viti, i Giudici precisavano che avrebbero esaminato
esclusivamente le domande oggetto di censure argomentate con l’appello e
non quelle formulate soltanto in sede di conclusioni, ritenendo quanto
segue.
a)Irrilevante era la indagine per stabilire la natura del fondo
2

interessa, che non essendo possibile accertare la natura dei titoli

rustico o di azienda agricola del fondo Torricella, quando il Tribunale
aveva dichiarato comodamente divisibili i beni caduti in successione con
attribuzione di tre assegni divisionali omogenei in proporzione delle
rispettive quote mentre l’apporto dato da un possessore diverso dal de

di rimborso per i miglioramenti apportati;
b) Per quanto riguardava la domanda di restituzione dei frutti
percepiti dalle eredi di Tiberio Viti, frutti che dovevano identificarsi
con quelli civili consistenti nel corrispettivo del godimento, sarebbe
stato il Giudice di primo grado, in sede di operazioni divisionali, a
doverne determinarne l’entità, dovendo in quella sede verificarsi se fra
gli stessi potessero annoverarsi anche i contributi comunitari ricevuti
previo accertamento della loro natura; pertanto, proprio per consentire
in modo pieno tale indagine, era revocata la statuizione con la quale il
Tribunale, anticipando il giudizio, aveva dichiarato che i predetti
eredi erano debitori dei redditi percepiti dalla tenuta a decorrere dal
28-9-1988, data di apertura della successione;
c) per quel che concerneva la domanda di rimborso delle spese
sostenute per riparazioni, straordinarie, migliorie, seppure la relativa
. domanda era da considerare ammissibile contrariamente a quanto ritenuto
dal Tribunale, la Corte non avrebbe potuto, sostituendosi al giudice di
primo grado che aveva concluso le operazioni di collazione, provvedere
atteso che era mancata la allegazione della esatta consistenza di tali
crediti;
d) Per quel che riguardava la posizione

della Hedwig Rassele,
3

cuius per ottenere l’attuale consistenza avrebbe potuto essere oggetto

coniuge di Giuseppe Michele Viti, e la domanda di simulazione della
donazione della quota alla medesima trasferita – ritenuta non riducibile
– i Giudici ritenevano corretta la definizione del processo nei suoi
confronti e infondata la censura con la quale i ricorrenti avevano

osservando che la Rassele non era coerede e non aveva agito per lo
scioglimento della comunione.
In relazione alla posizione di Giuseppe Michele Viti, la sentenza
rilevava che il predetto non aveva formulato alcuna impugnazione avverso
la decisione di primo grado, di guisa che era precluso l’esame che della
domanda di rimborso dell’ imposta di successione laddove la decisione n.
278/06 l’aveva dichiarata inammissibile per la formazione del giudicato
formatosi con la precedente decisione non n. 106/94 del tribunale di
Bolzano.
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione

Lucia

Palumbo, Gaetana Viti, Paola Viti ed Emmma Viti sulla base di quattro
motivi.
Resistono proponendo ricorso incidentale, da un lato, Marina Maria
Castriota Scandenbeg e Marialuisa Castriota Scandenbeg in base a
tre motivi, dall’altro, Giuseppe Michele Viti affidato a tre
motivi.
Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

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censurato la decisione del Tribunale che l’aveva considerata tardiva,

Preliminarmente il ricorso principale e quelli incidentali vanno
riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., perché sono stati proposti avverso
la stessa sentenza.
RICORSO PRINCIPALE EREDI TIBERIO VITI

dedotto che : l’azienda agricola non faceva parte dei beni ereditari; non
dovevano considerarsi le entrate e le uscite secondo un principio
astratto; non erano state considerate le spese collegate alla
coltivazione dei fondi; i contributi comunitari non potevano essere
conteggiati perchè spettanti alla Palumbo. Riconosciuta dalla Corte di
appello la fondatezza innanzitutto della tesi dell’esclusione
dell’azienda dai beni ereditari, la determinazione del corrispettivo del
godimento dell’immobile avrebbe dovuto essere
nello stesso grado,

oggetto di istruzione

non potendo essere demandata al giudice di prime

cure, che aveva deciso in modo difforme, accertando che gli eredi di
Tiberio Viti erano debitori dei redditi percepiti dalla tenuta
dall’apertura della successione. La sentenza era contraddittoria laddove,
dopo avere fatto riferimento alla nozione di frutti civili, intesi come
corrispettivo del godimento, aveva / poi, rimesso la liquidazione al primo
– Giudice, che aveva ricompreso nella massa ereditaria redditi di
esercizio dell’impresa; la sentenza era contraddittoria in quanto non si
comprendeva se l’azienda e i redditi di impresa facessero parte della
massa o se invece occorresse fare riferimento soltanto ai frutti nel
senso sopra indicato; la Corte avrebbe dovuto procedere all’istruzione
ammettendo la consulenza tecnica, e non rimettere la causa al primo
5

Il primo motivo denuncia che con le difese le ricorrenti avevano

giudice, non versandosi nelle ipotesi di cui all’art. 354 cod. proc.
civ., mentre si era disinteressata di censure solo perchè vergate in sede
di conclusioni.
Dopo avere richiamato quanto previsto dall’art. 356 cod. proc.

Giudice di primo grado aveva ormai definito il giudizio circa la
formazione dell’ asse, avendo deciso che dovessero accertarsi i redditi e
non le rendite e non avrebbe più potuto modificare le sue determinazioni.
La necessità di riformare la decisione di primo grado non avrebbe
consentito alcuna possibilità di ritorno al Giudice di primo grado libero
da pregiudizi.
Il motivo si conclude

:”Al sensi dell’art. 366 bis pone il

doppio quesito giuridico dell’esistenza di una contrastante motivazione
circa un punto decisivo della controversia (e cioè se includere
od escludere l’azienda agricola intestata alla PALUMBO LUCIA) e
della legittimità della rime s s i on e al primo giudice di un
prosieguo di istruzione (accertamento valore locativo del fondo)
imponendo un criterio diverso da quello risultante dall’ordinanza (
originaria ) che aveva ritenuto dovesse procedersi a un calcolo del
redditi dell’azienda reputata dal ricorrenti non facente parte della
massa ereditaria”.
Il secondo motivo censura la sentenza laddove, dopo avere
affermato che la domanda di rendiconto era ammissibile nella fase in cui
era stata proposta, l’aveva poi dichiarata inammissibile, evidenziando
la contraddittorietà della declaratoria di conclusione delle singole fasi
6

civ.e i poteri del giudice di appello, i ricorrenti osservano che il

del processo e quindi della resa dei conti, che è il presupposto della
formazione dello stato attivo e passivo; erano state unilateralmente
ritenute chiuse le fasi del processo di divisione quando, secondo la
giurisprudenza di legittimità, tutte le questioni che sorgono nel

condividenti e, quindi, come incidenti nell’unico inscindibile giudizio
di divisione. I ricorrenti non avevano proposto una domanda di rendiconto
ma il rimborso del costo delle migliorie apportate, del quale era stata
fornita la prova documentale.
Mentre era è inutile il richiamo all’art. 723 cod. civ. e non alle
norme sulla comunione, posto che nessun rendiconto gli eredi di Tiberio
Viti dovevano dare, il credito per i miglioramenti non è soggetto alla
disciplina di cui all’ art. 1150 cod. civ. ma a quella che regola i
rapporti fra i partecipanti alla comunione, per cui il credito del
coerede deve essere rimborsato al momento delle attribuzione delle quote
secondo il valore nominalistico, trattandosi di debito di valuta.
La Corte, avendo ritenuto ammissibile la domanda contrariamente a
quanto affermato dal Tribunale, avrebbe dovuto entrare nel merito e,
prendendo in considerazione la documentazione prodotta, avrebbe dovuto
istruirla disponendo la necessaria consulenza tecnica di ufficio. La
domanda – mai oggetto di appello incidentale o di contestazioni – era
risultata provata, tenuto conto che la natura delle opere comuni e i
costi sopportati erano dimostrati dalla perizia del dott. Magri
441rNpM, Il terzo motivo deduce che, in relazione al valore globale
dell’asse, i ricorrenti avevano articolato, in sede di conclusioni, mezzi
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giudizio devono essere esaminate nell’insieme dei rapporti reciproci dei

istruttori

propedeutici all’assificazione dei beni che non poteva

comprendere i fondi che non erano di provenienza ereditaria, in quanto
di proprietà esclusiva del dante causa dei ricorrenti e doveva tenere
conto dei mobili e delle somme affidate a Giuseppe Viti; con l’appello

opere realizzate da Tiberio Viti per rendere irriguo il fondo, le
attrezzature e i macchinari relativi all’oleificio, l’estensione dei
fondi ai fini del calcolo dei presunti ricavi, dovendosi detrarre gli
appezzamenti condotti in fitto.
Su tali richieste istruttorie, che assumevano rilievo decisivo, non era
stata data alcuna risposta. In modo particolare, i ricorrenti insistono
nel rilevare che nell’ asse ereditario erano stati inseriti beni di
proprietà esclusiva del Tiberio o migliorie da questi apportate, che
incidevano sul valore del relictum così come erano state date per
accettate valutazioni dei beni che invece erano state contestate, posto
che era stata considerata l’azienda agricola che non poteva fare parte
dell’asse ereditario: il valore dei titoli obbligazionari non era« stato
stimato con riferimento al momento dell’apertura della successione
secondo quanto previsto dall’art. 750 cod. civ., essendo illegittima la
• giustificazione al riguardo fornita dalla Corte.
Erroneamente era stata dalla Corte

ritenuta conclusa la fase dei

prelievi, quando sarebbe stato necessario procedere alla valutazione del
valore di ciascuno dei fondi, che non può essere unico.
Il motivo si conclude: “si formula il quesito giuridico nel senso che il
prelievo da parte della Castriota Scanderbeg era illegittimo e che,
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era stata chiesta l’ammissione di consulenza tecnica per dimostrare le

comunque, seguendo l’indirizzo della Corte di Appello, non era
possibile per le ricorrenti “prelevare” altri beni di ugual
natura mentre era, comunque, necessario stimare i beni dopo
l’operazione dei predetti prelievi definendo un progetto

indicare, distinguere e frazionare nonché dei titoli
obbligazionari di cui all’elenco esistente agli atti.Nell’indicare il criterio giurisprudenziale che individua le “tre
operazioni del procedimento di divisione ereditaria (cosiddetta
assificazione, formazione delle quote e attribuzione)” e nel
rilevare che, dal punto di vista obbiettivo, vi è stata una precisa
omissione rispetto alla prima operazione (avvenuta includendo beni
non appartenenti alla comunione ereditaria) nonché alle
valutazioni del beni e dei frutti, del costi e delle migliorie, si
ribadisce la violazione delle norme suindicate.Il quesito si estende anche ai titoli obbligazionari che non sono
stati apprezzati secondo i criteri di legge ed il documento
probatorio esistente agli atti ( ….anche al fini del -presupposti prelevamenti e delle imputazioni).- Queste eccezioni o sono state
disattese o sono state decise in maniera difforme senza tener
conto di una motivazione -contraddittoria nella stessa sentenza
– che quello divisionale è -un processo unico avente per oggetto
l’accertamento del diritto di ciascun condividente ad una quota ideale
dell’asse ereditario e la sua trasformazione in un diritto di proprietà
esclusiva su una corrispondente porzione del beni” e che sino a quando

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divisionale che tenesse conto del valore di ciascuna zona da


tali scopi _ non siano stati integralmente raggiunti, tutte le
questioni che sorgono nel corso del giudizio vanno esaminate
nell’insieme dei rapporti….”.- Deve altresì porsi il quesito se
la decisione della Corte di definire autoritativamente, e come

errata per effetto delle molte richieste istruttorie disattese
solo per motivi procedurali) sia legittima e non ostacoli,
invece, una serena, documentata ed accettata formazione di un asse
vero e non virtuale.- La cosa è ancora più grave se si considera che
sulla richiesta di inclusione di alcuni beni (come mobili arredanti
la casa, danaro contante, somma riconosciuta di pertinenza del de
cuius ed ora delle attuali ricorrenti a versarsi da parte del
“esecutore testamentario”) non vi è stata alcuna delibazione”.
Il quarto motivo

censura la motivazione con la quale la sentenza

impugnata aveva disatteso la domanda di simulazione proposta nei
confronti della Rassele, quando la domanda aveva la finalità di fare
rientrare

nel patrimonio del de cuius un bene donato al coerede e

fittiziamente alienato al coniuge che, essendo

un terzo, era parte

necessaria del giudizio al qual doveva partecipare
Il primo, il terzo e il quarto motivo sono inammissibili .
Ai sensi Ai sensi dell’ art. 366

bis cod. proc. civ., introdotto

dall’art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2006, ratione temporis applicabile, i
motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di
inammissibilità (art. 375 n.5 cod. proc. civ.,) dalla formulazione di un

esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art.360 primo comma
n.1),2),3),4) cod. proc. civ.,e qualora

il vizio sia denunciato anche

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già avvenuta, la fase del prelievi (ancorché obbiettivamente

ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun
motivo deve contenere , a pena di inammissibilità, la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta

decisione.
Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai sensi
dell’art. 360 n.1),2),3),4) cod. proc. civ., secondo il citato art. 366
bis, il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione
di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi
logico giuridica

della questione sottoposta al vaglio del giudice di

legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa
od affermativa

che ad esso si dia, discenda in modo univoco

l’accoglimento od il rigetto del gravame

(SU 23732/07): non può,

infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa
implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso né che

esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di
diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie,
perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione
tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.,secondo cui
è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad
individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la
questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere
nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al
decreto legislativo n. 40 del 2006,oltre all’effetto deflattivo del

insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la

carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in
maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. l, comma
2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto
delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto

violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui
essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di
diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle
ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità,
inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.
In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era
quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del
(‘
ricorso per cassazione,che non è solo quella di soddisfare l’interesse
del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche
di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili.
Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.
deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel
provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente
assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del
. primo. Ne consegue che il quesito deve costituire la chiave di lettura
delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di
rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in
quanto tale, suscettibile -come si è detto – di ricevere applicazione in
casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata

(S.U.3519/2008). Analogamente a quanto
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l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per

è previsto per la formulazione del quesito di diritto nei casi previsti
dall’art.360 primo comma n.1),2),3),4) cod. proc. civ., nell’ipotesi in
cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.,
la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi

(omologo del

specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo,che

ne

circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare
incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità ( S.U.20603/07).In tal caso,l’illustrazione del motivo deve
contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del
vizio del procedimento logico-giuridico che,incidendo nella erronea
ricostruzione del fatto,sia stato determinante della decisione impugnata.
Pertanto,non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel
motivo o possa desumersi dalla sua esposizione. La norma aveva
evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia
ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 n. 5
cod. proc. civ.al giudice di legittimità, che deve accertare la
correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente
attraverso l’analisi del provvedimento impugnato,non essendo compito del
. giudice di legittimità quello di controllare l’esattezza o la
corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle
risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione
dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si era,così,inteso
precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione
della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un
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quesito di diritto),separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò

inammissibile riesame del merito della causa.
Nella specie, i motivi non sono conformi alle prescrizioni di cui
all’art. 366-bis cod. proc. civ. In particolare sia il primo che il terzo
congiuntamente censure aventi ad oggetto

violazione di legge e vizi della motivazione, e

ciò costituisce

negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 366-bis cod. proc.
civ. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacché si
affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza
dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione, che invece deve
avere una autonoma collocazione (cfr.Cass 9470/2008);
b) il “quesito” di cui al primo motivo non contiene alcun riferimento
né alla fattispecie concreta esaminata né a quale sarebbe il vizio di
motivazione della sentenza relativo al fatto controverso ( inclusione
nell’asse ereditario dell’azienda agricola) mentre non formula la
questione di diritto risolutiva ( nei termini di cui si è detto) laddove
si censura la rimessione al primo giudice del prosieguo di istruttoria,
• tenuto conto che la sentenza ha, da un lato, annullato la statuizione
della sentenza non definitiva escludendo che possano essere ricompresi
nella massa ereditaria i redditi di impresa, così sostituendo la difforme
decisione del primo giudice laddove aveva fatto riferimento ai redditi, e
ha, dall’altro, necessariamente demandato al giudice del definitivo in
sede di operazioni divisionali, di cui alla prosecuzione del giudizio
14

motivo : a) propongono

disposta con la sentenza non definitiva, la relativa determinazione.
c) la formulazione del quesito di cui al terzo motivo è proprio in
contrasto con quelle esigenza di sintesi e di verifica della conformità
del ricorso per cassazione alla funzione nomofilattica, sollecitando

della causa.
Il quarto motivo si conclude senza formulare il quesito di diritto.
Il secondo motivo è infondato.
Il giudizio di divisione ereditaria, pur avendo carattere unitario, si
articola in una pluralità di fasi , (ad es. con la collazione e i
prelevamenti), che si concludono con sentenze non definitive suscettibili
di passaggio in giudicato se non siano impugnate o assoggettate a
tempestiva riserva di gravame con la conseguenza che le relative
questioni decise non possono essere rimesse in discussione. Qui occorre
chiarire che qualsiasi questione relativa all’accertamento di un rapporto
di credito e debito relativo ai frutti prodotti dai beni costituenti la
comunione ereditaria ovvero ai miglioramenti apportati alle cose comuni
deve porsi non nell’ambito della domanda relativa alla divisione ed ai
conseguenti conguagli divisionali, bensì, sia pure contestualmente, con
una distinta ed autonoma domanda di rendiconto (Cass. 27-3-2002 n. 4364);
invero, ove nel possesso del singolo bene ereditario sia stato, sin
dall’apertura della successione, il solo condividente cui il bene sia
stato poi assegnato e questi ne abbia anche percepito i relativi frutti,
è evidente che la questione non si pone in termini di conguagli sul
valore del capitale ma di rendiconto della gestione del capitale stesso
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piuttosto un inammissibile (in sede di legittimità) riesame del merito

con la corresponsione in favore del condividente non assegnatario degli
interessi corrispettivi sulle somme a lui eventualmente dovute in
relazione ai frutti maturati e non percepiti (Cass. 10-2-2004 n. 2483;
11519/2011).

affermato dal Tribunale, che la domanda era ammissibile nella fase nella
quale era stata proposta, ne ha peraltro ritenuto la genericità tenuto
che sulla stessa la Corte – come giudice di merito – avrebbe dovuto
sostituirsi al giudice di primo grado nel definire la relativa fase,
nella quale per l’appunto andava decisa la relativa domanda : i Giudici
hanno chiarito che i ricorrenti non avevano allegato la consistenza del
credito azionato, del tutto irrilevante sotto il profilo in esame è la
circostanza che tale importo fosse documentato o indicato nella perizia
prodotta.
Vanno dichiarati inammissibili i ricorsi incidentali rispettivamente
proposti da

Castriota

Scandenbeg e da Giuseppe

Scandenbeg

e

Michele Viti,

Marialuisa

Castriota

essendo stata omessa

l’esposizione sommaria dei fatti di causa.
Ed invero, per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 comma
. primo n. 3 cod. proc. civ. il ricorso per cassazione deve contenere
l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o
particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le
reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni
di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di
ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della
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Ciò premesso, la sentenza, dopo avere ritenuto contrariamente a quanto

vicenda processuale nelle

sue articolazioni,

le argomentazioni

essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata
e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del
giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella

autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi
necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa
cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il
significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche
argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere
ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza
stessa(Cass. 7825/2006).
Nella specie, tale onere non è stato ottemperato dai predetti ricorrenti
incidentali, i quali al riguardo si sono limitati a trascrivere
integralmente la sentenza impugnata : ma nelle specie siffatta modalità
di redazione del controricorso e del ricorso incidentale non soddisfa i
requisiti voluti dalla norma citata atteso che la decisione

de qua non

contiene la esposizione dei fatti di causa posti a fondamento delle
rispettive domande ed eccezioni
– processuale,

né lo svolgimento della vicenda

di guisa che dal solo esame della sentenza non è dato

comprendere i termini della controversia e la portata delle censure ad
essa rivolte.
In considerazione del soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per
la compensazione delle spese della presente fase.

17

asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, rigetta quello principale dichiara inammissibili gli
incidentali. Compensa spese
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 marzo 2013
Il Presi

Il Cons. estensore

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