Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1089 del 20/01/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 1089 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

amministrative

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASALINI Claudia (CSL CLD 63B60 B880M), rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati
Leonardo Colafiglio e Annamaria Cesari, elettivamente domiciliata in Roma, via Tagliamento n. 55, presso lo studio
dell’Avvocato Nicola Di Pierro;
– ricorrente contro
COMUNE DI BOLOGNA, in persona del legale rappresentante
tempore,

pro

rappresentato e difeso, per procura speciale a margi-

ne del controricorso, dagli Avvocati Antonella Trentini, Giulia Carestia e Giorgio Stella Richter, elettivamente domici-

Data pubblicazione: 20/01/2014

liato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Orti della
Farnesina n. 126;
– controricorrente -;

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Bologna depositata

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

za del 9 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott. Stefano
Petitti;
sentiti gli Avvocati Leonardo Colafiglio e Giorgio Stella
Richter;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Casalini Claudia, premesso che il 26 marzo 2010 e 1’8 aprile dello stesso anno le erano state notificate da Equitalia
Polis s.p.a., Agente di riscossione per la Provincia di Bologna, due cartelle di pagamento i cui importi erano richiesti a
titolo di mantenimento di inabili; che aveva una figlia portatrice di handicap grave e che la stessa, pur frequentando un
centro diurno gestito dal Comune di Bologna, non doveva corrispondere alcunché, essendo priva di reddito; che in ogni caso
essa attrice era estranea al rapporto debitorio; tanto premesso, con ricorso depositato in data 16 aprile 2010, chiedeva al
Giudice di pace di Bologna che venissero sospese le cartelle
di pagamento e che fosse dichiarata la sua carenza di legittimazione.

il 2 febbraio 2011.

L’istanza di sospensione veniva reiterata al Giudice di pace, il quale in data 4 febbraio 2011 emetteva,
parte,

inaudita altera

ordinanza di inammissibilità, ritenendo che

l’opposizione proposta fosse da presentarsi nei termini e nel-

cod. proc. civ. e non, come avvenuto, nel termine e nelle forme degli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981.
Avverso tale ordinanza la Casalini ha proposto ricorso per
cassazione ex art. 111 Cost., sulla base di tre motivi.
Il Comune di Bologna ha resistito con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o venga comunque rigettato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, cod. proc. civ., quale
risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni,
nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di
cassazione nei casi stabiliti dalla legge». A sua volta l’art.
76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art.
81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone che

le forme dell’opposizione alla esecuzione ex art. 615 e SS.

«Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le
udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazio-

ne di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del
codice di procedura civile». L’art. 376, primo comma, cod.
proc. civ. stabilisce che «Il primo presidente, tranne quando
ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i
ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del
2013, quale risultante dalla legge di conversione n. 98 del
2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione
dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito
camerale alla disposta esclusione della partecipazione del
pubblico ministero alle udienze che si tengono dinnanzi alla
sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo comma ha
stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si
applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in
camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno succes-

ne, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezio-

sivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art. 76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12

del 2013), sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze che
si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui
all’art. 376, primo comma, cod. proc. civ.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a tenere oltre
alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più
obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane
impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo
comma, cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza
odierna è stato emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve
concludersi che l’udienza pubblica ben può essere tenuta senza
la partecipazione del rappresentante della Procura generale
presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa,
ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria
partecipazione ai sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc.
civ.

5

del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto-legge n. 69

2. Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo la
ricorrente deduce violazione di legge per falsa ed erronea applicazione dell’art. 23, primo comma, della legge n. 689 del
1981.

traddittoria motivazione e con il terzo motivo violazione di
legge per falsa ed erronea applicazione dell’art. 615, primo
comma, cod. proc. civ. in relazione all’art. 23, primo comma,
della legge n. 689 del 1981 nonché violazione del diritto di
difesa garantito dall’art. 24 Cost.
3. Deve preliminarmente osservarsi che è ammissibile il rimedio dell’immediato ricorso per cassazione – e non dell’appello avverso l’ordinanza resa ex art. 23, primo comma, della
legge n. 689 del 1981 – anche se si versa in ipotesi diversa
da quella della tardività dell’opposizione.
Invero per effetto delle modifiche recate dall’art. 26
d.lgs. n. 40 del 2006, che ha soppresso l’ultimo comma
dell’art. 23 della legge n. 689 del 1981, a far data dal 2
marzo 2006 il rimedio dell’appello è divenuto generale strumento di impugnazione delle sentenze pronunciate in primo grado in materia di opposizione a sanzione amministrativa, nonché
avverso le ordinanze di cui al quinto comma del citato art.
23, con le quali, in caso di assenza in udienza dell’opponente, il giudice può convalidare il provvedimento impugnato, ove
non ne risulti dagli atti la manifesta illegittimità, rimanen-

Con il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e con-

do impugnabili con ricorso diretto per cassazione soltanto le
ordinanze che dichiarano inammissibile l’opposizione per tardiva proposizione, ai sensi del comma primo del medesimo art.
23 (Cass. n. 182 del 2011).

tenuto (Cass. n. 17393 del 2011; Cass. n. 16471 del 2011 e
Cass., SS.UU., n. 7190 del 2011) che avverso un’ordinanza che
appare emessa inaudita altera

parte seguendo il paradigma pro-

cedimentale previsto dall”art. 23, primo comma, della legge
n. 689 del 1981, si possa rimediare con lo strumento previsto
dal medesimo art. 23, primo comma, citato, derivando il regime
impugnatorio del provvedimento dall’applicabilità del principio dell’apparenza (v. Cass., SS.UU., n. 390 del 2011), indipendentemente dal motivo posto dal giudice a base della declaratoria di inammissibilità.
In virtù della scelta operata dallo stesso giudice di pace
di svolgere e definire il procedimento con il provvedimento
impugnato, la parte opponente non doveva quindi proporre appello, ma immediato ricorso per cassazione, dovendosi aver riguardo al rimedio esperibile avverso il provvedimento apparentemente emesso.
4. Nel merito il ricorso è fondato atteso che, come questa
Corte ha già avuto modo di affermare, ove sia stato intimato
da un Comune ad un privato il pagamento di una somma ed il
privato abbia promosso il giudizio di opposizione con le moda-

Tuttavia, dopo la citata sentenza n. 182 del 2011, si è ri-

lità del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione
anziché con il rito dell’opposizione all’esecuzione di cui
all’art. 615 cod. proc. civ., ciò non costituisce di per sé
motivo di inammissibilità della domanda, né di invalidità as-

cio, a disporre la conversione del rito e a fissare un termine
per l’eventuale integrazione dell’atto introduttivo (Cass. n.
10746 del 2012; Cass. n. 16481 del 2011).
Il giudice di pace, pertanto, avrebbe dovuto in ogni caso
fissare l’udienza per la trattazione del ricorso e, ove avesse
ritenuto che fosse stata introdotta un’opposizione all’esecuzione, avrebbe dovuto disporre il cambiamento di rito.
5. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente cassazione
del provvedimento impugnato, con rinvio ad altro Giudice di
pace di Bologna, che procederà a nuovo esame alla luce
dell’indicato principio di diritto.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a altro Giudice di pace di Bologna.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 9 gennaio
2014.

soluta del giudizio, essendo il giudice tenuto, anche d’uffi-

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