Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10886 del 08/05/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10886 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: PETITTI STEFANO

senten:a con motiva-

SENTENZA

sentplificata

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (80184430587), in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Gene-

rale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via

dei Porto-

ghesi n. 12, è domiciliato per legge;

– ricorrente –

contro
FRANCO Antonio (FRN NTN 65H01 D230J), elettivamente domiciliato in Roma, via de Mille n. 41/A, presso lo studio
dell’Avvocato Pasquale Avitabile, rappresentato e difeso, per
procura speciale a margine del ricorso, dagli Avvocati Maria
Grazia Rescigno e Antonio Caruso;
– controricorrente •••

2’s(7113

;

Data pubblicazione: 08/05/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma depositato in
data 3 novembre 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8 febbraio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano

sentito,

per il resistente, l’Avvocato Maria Virginia Ro-

mano;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Golia, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 7 ottobre 2008 presso la Corte
d’appello di Roma, Franco Antonio proponeva, ai sensi della
legge n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno
non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata
di un giudizio introdotto dinnanzi al Tribunale civile di Benevento con citazione notificata il 15 luglio 1988 e concluso
in primo grado con sentenza depositata a circa venti anni di
distanza.
L’adita Corte d’appello accoglieva la domanda, ritenendo
che, pur dando atto di una certa complessità del giudizio presupposto e pur decurtando i rinvii dovuti a richieste delle
parti, la durata ragionevole del giudizio presupposto avrebbe
dovuto essere contenuta in tre anni, con conseguente irragionevole durata di circa 17 anni, per la quale liquidava al

Petitti;

Franco un indennizzo di 17.000,00 euro, oltre agli interessi
legali dalla domanda.
Per la cassazione di questo decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, cui

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.
Con il primo motivo del ricorso l’amministrazione ricorrente denuncia vizio di motivazione, rilevando la illogicità del
decreto impugnato che, pur dando atto della esistenza di rinvii dovuti a richieste delle parti e di una certa complessità
del giudizio, ha tuttavia ritenuto ragionevole la durata di
tre anni addebitando all’amministrazione l’intera durata eccedente il triennio. In particolare, il Ministero sostiene che
dalla stessa descrizione dello svolgimento del giudizio presupposto contenuto nell’atto introduttivo del giudizio di equa
riparazione, la durata complessiva del giudizio avrebbe dovuto
essere ridotta di sei anni a causa dei rinvii addebitabili alle parti.
Con il secondo motivo il Ministero deduce violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, rilevando che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere ragionevole per il giudizio presupposto l’ordinaria durata di
tre anni, anche se lo svolgimento del processo, la pluralità

ha resistito, con controricorso, l’intimato.

delle domande proposte e la complessità degli accertamenti avrebbero dovuto indurre a riconoscere come ragionevole quanto
meno una durata di quattro anni.
Con il terzo motivo, l’amministrazione denuncia ancora vi-

un criterio di indennizzo diverso da quello di euro 750,00 per
i primi tre anni di durata e di 1.000,00 per gli anni successivi, così omettendo di valorizzare il comportamento dilatorio
delle parti anche ai fini della liquidazione dell’indennizzo.
Con il quarto motivo il Ministero lamenta violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che la Corte
d’appello, in assenza di esplicita domanda sul punto, avrebbe
potuto riconoscere gli interessi legali unicamente dalla data
della pronuncia del decreto e non anche dalla domanda.
Il primo motivo è fondato.
Del tutto illogicamente, invero, la Corte d’appello, in
presenza di un giudizio presupposto protrattosi per un grado
per circa venti anni, da un lato ha affermato che numerosi
rinvii erano addebitabili alle parti, e dall’altro, ha comunque riconosciuto un indennizzo ragguagliato alla intera durata
del processo, detratto unicamente il triennio di durata ragionevole, senza procedere alla individuazione dei segmenti temporali addebitabili alla condotta delle parti; così come illogicamente ha rilevato la obiettiva complessità del caso, e

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zio di motivazione, per avere la Corte territoriale applicato

tuttavia non ha tratto le debite conseguenze di tale accertata
complessità sulla durata ragionevole della causa presupposta.
Il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con cassazione del decreto impugnato e con assorbimento delle ulteriori

procedere a nuovo esame della domanda di equa riparazione con
specifico riferimento allo svolgimento in concreto del giudizio presupposto, detraendo dalla durata dello stesso i segmenti addebitabili alla condotta delle parti, con la precisazione
che in tale operazione dovrà trovare applicazione il principio
per cui «in tema di diritto alla equa riparazione ex legge n.
89 del 2001, con riguardo alla valutazione, ai fini della eventuale ascrivibilità, nell’area della irragionevole durata
del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il
termine di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., la violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa
di durata eccedente i quindici giorni, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai
parametri, di ordine generale, fissati dall’art. 2 della legge
89 del 2001. Da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti
dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento
dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale,
all’abuso del diritto di difesa, e non anche per la parte ascrivibile ad obiettive disfunzioni ed insufficienze del si-

censure, atteso che la Corte d’appello in sede di rinvio dovrà

stema, e cioè a carenze dell’ufficio giudiziario, pur in difetto di specifiche sue manchevolezze o colpe» (Cass. n. 24356
del 2006; Cass. n. 11307 del 2010). Al giudice del rinvio è
demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli
altri; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma,
in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, in data 8
febbraio 2013.

di legittimità.

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