Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10885 del 04/05/2017

Cassazione civile, sez. II, 04/05/2017, (ud. 22/11/2016, dep.04/05/2017),  n. 10885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19095-2012 proposto da:

R.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FABIO MASSIMO, 9, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA RIZZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO PINTO;

– ricorrente –

contro

D.A.L., (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO LAVIANI MANCINELLI;

– controricorrente –

e contro

L.M., L.A.M.R. erede di L.B.,

L.A.R. erede di L.B.,

L.B.M.C. erede di L.B., D.T.,

LO.CA., D.T. erede di D.F.,

D.E. erede di D.F., P.A.M. erede

di D.F., D.G., PI.RO.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 140/2012 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 17/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato LEONARDO PINTO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso ed il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Matera, con sentenza del 25/6/2010, accolta la domanda avanzata da D.A.L., dispose il trasferimento, ex art. 2932 c.c., subordinato al pagamento del residuo prezzo, di un appartamento e delle relative pertinenze, costituendo talune servitù di passaggio e condannando, altresì, R.P. al pagamento di un ammontare mensile, dall’8/10/2001 e fino al soddisfo, a titolo di risarcimento del danno.

Con sentenza depositata il 17/5/2012 la Corte di appello di Potenza, rigettò l’impugnazione proposta dal R..

Avverso quest’ultima decisione l’appellante propone ricorso per cassazione, avverso il quale resiste con controricorso la D., la quale ha anche depositato memorie. Gli altri evocati in giudizio (già proprietari del terreno sul quale era stato edificato il complesso edilizio), già contumaci in appello, non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunziante violazione degli artt. 111, 102 e 178 c.p.c. e art. 2932 c.c., il ricorrente assume la nullità della gravata sentenza per difetto d’integrità del contraddittorio.

Chiarito che l’azione di cui all’art. 2932 c.c., ha natura personale, “poichè il petitum non è il bene o i beni compromessi in vendita, bensì la particolare obbligazione di facere” e, quindi, oggetto della contesa sono “le reciproche contestazioni e i reciproci inadempimenti dedotti”, si assume che andava integrato il contradditorio, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., nei confronti di R.G.A., moglie del ricorrente. I coniugi, sposatisi in regime di comunione dei beni, in data (OMISSIS) optarono per quello della separazione e in seno all’atto notarile dichiararono che il terreno sul quale era stato edificato una parte del complesso edilizio si apparteneva in via esclusiva al R., poichè acquistato per destinarlo all’esercizio dell’impresa edile. Poichè a mente dell’art. 178 c.c. i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi, costituita dopo il matrimonio, e i relativi incrementi, formano oggetto della comunione, ove residuati al momento dello scioglimento della medesima, alla predetta data del (OMISSIS) gli stessi dovevano considerarsi facenti parte della comunione, con la conseguenza che la R. avrebbe dovuto essere chiamata in giudizio per assicurare l’integrità del contraddittorio. Peraltro era errata l’affermazione in sentenza, secondo la quale il ricorrente al momento della stipula del preliminare era proprietario esclusivo dei beni promessi in vendita, in quanto ancora non aveva provveduto ad acquistare il suolo sul quale aveva dato corso all’edificazione.

Trattasi di censura priva di fondamento giuridico.

Non è dubbio, sulla base della stessa prospettazione, che al tempo del contratto il bene promesso in vendita si apparteneva in via esclusiva al R.; solo successivamente, dopo la citazione e la trascrizione della domanda giudiziale, sciolta la comunione fra i coniugi, la moglie divenne comproprietaria de residuo, per effetto dell’art. 178 c.c.. Di conseguenza il dedotto mutamento nella titolarità non è opponibile alla D..

Con il secondo motivo il R. prospetta violazione dell’art. 1362 c.c. e seg. e art. 1350 c.c., lamentando che la Corte territoriale aveva male interpretato la scrittura privata con la quale le parti si erano impegnate a stipulare un contratto preliminare (c.d. “preliminare del preliminare”) e non già a porre subito in essere, come ritenuto da quel Giudice, il contratto preliminare. In tal senso militavano il tenore letterale dell’accordo, peraltro in sintonia con la circostanza che il R. non era ancora divenuto proprietario del suolo da edificare, a nulla rilevando la individuazione degli elementi salienti dell’affare.

La doglianza è manifestamente infondata in quanto diretta alla revisione dell’incensurabile valutazione operata dai Giudici del merito a riguardo della natura del contratto; valutazione congruamente fondata anche tenendo conto della condotta successiva dei contraenti e comunque priva dei gravi difetti prospettati. Invero, la indicazione di norme sostanziali violate non muta la sostanza della censura, diretta del tutto esplicitamente a criticare la motivazione di merito.

Il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L., n. 8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si è condivisamente ulteriormente precisato, così da scolpire nitidamente l’ambito di legittimità, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007, Rv. 594690). Proprio per ciò non è ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalità sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorietà della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L., n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non può che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

Con il terzo motivo il ricorrente si duole per la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., nonchè per l’omessa motivazione su un punto controverso e decisivo, in correlazione con l’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente, dopo aver premesso il contenuto del quarto motivo d’appello (l’inammissibilità della domanda ex art. 2932 c.c., avrebbe dovuto procurare l’inammissibilità di quella risarcitoria; quest’ultima domanda sarebbe stata ingiustamente accolta, nonostante i danni non fossero imputabili al ricorrente ed inoltre il CTU avrebbe computato il danno da mancato uso solo fino al 28/2/2005; la controparte non avrebbe provato che avrebbe potuto sfruttare economicamente l’immobile) lamenta che il Giudice d’appello “nulla ha statuito in merito all’eccepita violazione dell’art. 2697 c.c. da parte dell’attrice in merito al suo mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine alla domanda di risarcimento danni”.

Il motivo è inammissibile in quanto, in difformità dal contenuto della censura (omessa pronuncia) con esso il ricorrente si duole, invece, del vizio di omessa motivazione e della violazione di una norma di diritto sostanziale (art. 2697 c.c.). Questa Corte, invero, ha già avuto modo di condivisamente chiarire che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge 8S.U., n. 17931, 24/7/2013, Rv. 627268; Sez. 1, n. 24553, 31/10/2013, Rv. 628248).

L’epilogo impone condannarsi parte ricorrente al rimborso delle spese legali in favore di quella resistente. Spese che, tenuto conto della natura e del valore della causa, possono liquidarsi siccome in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali, che liquida nella complessiva somma di 5.200 Euro, di cui 200 Euro per spese, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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