Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10884 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 23/04/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 23/04/2021), n.10884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9045/2018 proposto da:

CLP SVILUPPO INDUSTRIALE S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI N. 35,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, rappresentata e difesa

dagli avvocati GIOVANNA TUSSINO, e SEVERINO NAPPI;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO n. 69, presso lo studio dell’avvocato PAOLO BOER, che lo

rappresenta difende unitamente all’avvocato DARIO ABBATE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 196/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

depositata il 16/01/2018 R.G.N. 2147/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARLO CALENDA, per delega verbale Avvocato SEVERINO

NAPPI;

udito l’Avvocato DARIO ABBATE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 16 gennaio 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, era stata accolta l’impugnativa di licenziamento promossa da M.G. nei confronti di C.L.P. Sviluppo Industriale Spa, società esercente attività di pubblico servizio di trasporto che aveva intimato il recesso il 4 luglio 2016 per la maturazione dei requisiti pensionistici da parte del lavoratore addetto alla conduzione di autobus.

2. La Corte – in estrema sintesi – ha ritenuto che il combinato disposto del D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1 e del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b), “attribuisca la facoltà al personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto di accedere alla pensione anticipata di vecchiaia, ma solo su domanda del lavoratore stesso”, sicchè, in mancanza di una tale domanda, la società non poteva recedere dal rapporto di lavoro al compimento dell’età per la pensione anticipata di vecchiaia, nella specie pari a 61 anni e 7 mesi, con conseguente operatività della L. n. 300 del 1970, art. 18.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente, con 2 motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b), nonchè del D.Lgs. n. 67 del 2011; lamentando che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere che l’accesso alla pensione anticipata di vecchiaia, prevista dalla prima disposizione per la categoria del “personale viaggiante” iscritto al soppresso Fondo degli autoferrotranvieri, possa avvenire solo a domanda del lavoratore, come, previsto dal secondo D.Lgs..

Si sostiene che, a partire dal 1 gennaio 2014, per detto personale viaggiante addetto ai pubblici servizi di trasporto, per il quale vige la disciplina di settore interamente riconducibile al D.Lgs. n. 414 del 1996, l’accesso alla pensione di vecchiaia è condizionato al solo possesso del requisito anagrafico ridotto di 5 anni rispetto a quello ratione temporis richiesto per il restante personale iscritto all’A.G.O., con la conseguenza che il raggiungimento di detto requisito farebbe sorgere il diritto alla pensione di vecchiaia con attrazione del rapporto di lavoro nell’area di libera recedibilità.

Si eccepisce che il D.Lgs. n. 67 del 2011, disciplina il diverso beneficio previsto per la categoria dei lavoratori addetti ai lavori usuranti “di accesso alla pensione anticipata – già pensione di anzianità – condizionato, espressamente alla sussistenza del requisito contributivo di almeno 35 anni e alla domanda del lavoratore”.

2. Con il secondo motivo si denuncia che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di ultra petizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che il lavoratore avesse manifestato la sua volontà di trattenersi in servizio fino al raggiungimento dell’età massima per la pensione di vecchiaia prevista dal regime generale obbligatorio; quando in sede di memoria di costituzione nel reclamo la questione non era stata nè dedotta nè proposta. Si eccepisce che “non esiste nel nostro ordinamento alcun diritto, tantomeno potestativo, del dipendente di poter restare in servizio sino al raggiungimento dell’età massima pensionabile” e si richiama a sostegno Cass. SS.UU. n. 17589 del 2015.

3. I motivi del ricorso, esaminabili congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento.

3.1. Posto che il licenziamento è stato intimato per il raggiungimento dei requisiti pensionistici da parte del lavoratore ultrasessantenne, la fattispecie è innanzitutto regolata dalla L. n. 108 del 1990, art. 4, comma 2, tuttora vigente nella sua formulazione originaria, secondo cui: “Le disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, come modificato dall’art. 1 della presente legge, e dell’art. 2, non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le disposizioni dell’art. 3 della presente legge e della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 9”.

3.2. Secondo una costante giurisprudenza di questa, Corte, pur in mancanza dell’esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia, contenuto invece nel precedente della L. n. 604 del 1966, art. 11. argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun mutamento ha subito il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum (v. Cass. n. 6537 del 2014; Cass. n. 13181 del 2018; Cass. n. 432 del 2019; Cass. n. 18662 del 2020). In particolare, dal punto di vista sistematico, è stato rilevato che “soltanto il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue automaticamente al verificarsi dell’evento protetto, cosicchè la pensione decorre (eccettuati i casi di esercizio dell’opzione ai sensi delle disposizioni sopra considerate) dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale l’assicurato ha compiuto l’età pensionabile, ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, dal primo giorno del mese successivo a quello in cui i requisiti suddetti vengono raggiunti salva una diversa decorrenza richiesta espressamente dall’interessato (L. 23 aprile 1981, n. 155, art. 6). Il diritto alla pensione di anzianità, invece, si consegue con il necessario concorso della volontà dell’interessato, per cui non si può dubitare che la domanda di tensione assurga ad elemento costitutivo della fattispecie attributiva del diritto. Ne discende che, mancando la domanda, non può dirsi in senso tecnico che sussistano i requisiti per il pensionamento” (cfr. Cass. n. 3907 del 1999; Cass. n. 7853 del 2002; Cass. n. 3237 del 2003).

E’ stato pure precisato che l’esclusione della tutela limitativa dei licenziamenti non è suscettibile di applicazione in via analogica ai titolari di pensioni che, per diversità dei relativi presupposti (durata del rapporto assicurativo, versamenti di un minimo di contributi, raggiungimento di un limite di età) non possono ritenersi equivalenti a quella di vecchiaia (cfr. Cass. n. 11104 del 1997; conf. Cass. n. 16537 del 2014).

3.3. Occorre dunque verificare se, nel caso all’attenzione del Collegio, il lavoratore ultrasessantenne licenziato fosse in possesso, al momento del recesso datoriale, dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia e se la volontà espressa dal lavoratore medesimo di non accedere al pensionamento anticipato ma, piuttosto, di permanere in servizio precludesse comunque il suo licenziamento.

A tal fine è opportuna una ricognizione della disciplina di settore rilevante nella specie.

3.4. Non è in contestazione che il lavoratore licenziato; conducente di autobus, fosse dipendente di un’azienda addetta ai pubblici servizi di trasporto, per il quale operava il regime previdenziale speciale introdotto dal D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 414.

Con tale decreto, a decorrere dal 1 gennaio 1996, è stato soppresso il “Fondo per la previdenza del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto” (D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 1, comma 1) e da tale data i lavoratori sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti (D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 1, comma 2).

Secondo il D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, nella sua originaria formulazione, per i soggetti di cui all’art. 1, comma 2, “è prevista la possibilità, di liquidare i seguenti trattamenti pensionistici: a) pensione di vecchiaia, di invalidità e ai superstiti secondo la normativa vigente nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti; b) per il

solo personale viaggiante, pensione di vecchiaia ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 5; c) pensione di invalidità specifica ai sensi della L. L. 28 luglio 1961, n. 830, art. 12, comma 1, lett. a), e art. 13, comma 1, lett. a) e b); d) pensione di anzianità”.

Successivamente, con il D.P.R. 28 ottobre 2013, n. 157 – recante il “Regolamento di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico di categoria di personale iscritto presso l’INPS, l’ex ENPALS e l’ex INPDAP” – al D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b), le parole: “ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 5” – che, giova rammentarlo, stabiliva l’Età per il pensionamento di vecchiaia – sono state sostituite delle seguenti: “al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio”.

Infatti, nel frattempo era intervenuto il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, di cui il Regolamento citato è attuazione, che all’art. 24 contiene una serie di disposizioni che riformano profondamente i trattamenti pensionistici.

Secondo il comma 18 dell’art. 24: “Allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti, alla data di entrata in vigore del presente decreto, requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria (…) con regolamento da emanare entro il 31 ottobre, 2012, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 2 e successive modificazioni, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonchè dei rispettivi ordinamenti”. In virtù di tale disposizione, è stato appunto adottato il Regolamento contenuto nel D.P.R. n. 157 del 2013, il quale consente di erogare al personale viaggiante dipendente delle aziende di trasporto pubblico una pensione di vecchiaia “al raggiungimento del requisito anagrafico ridotto di cinque anni rispetto a quello tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio”.

E’ noto che il D.L. n. 201 del 2011 (c.d. “Decreto Monti”), a partire dal 1 gennaio 2012, ha sostituito le pensioni di vecchiaia, di vecchiaia anticipata e di anzianità, con le seguenti prestazioni: a) la “pensione di vecchiaia”; b) la “pensione anticipata” (art. 24, comma 3). La pensione di vecchiaia è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti anagrafici ridefiniti dell’art. 24, comma 6 e contributivi minimi di cui al comma 7 dello stesso articolo (20 anni), fatto salvo quanto stabilito dai commi 14, 15 bis e 18. La pensione anticipata è conseguita esclusivamente sulla base dei requisiti di anzianità contributiva stabiliti dal comma 10 per età anagrafiche inferiori a quelle previste dal comma 6 ovvero sulla base dei requisiti di cui al comma 11, fatto salvo quanto stabilito ai commi 14, 15-bis, 17 e 18, sempre del D.L. n. 201 del 2011, art. 24.

3.5. Dalla combinazione di tali norme deriva che il lavoratore in controversia, al momento del licenziamento, era in possesso del requisito anagrafico (del pari non è contestata l’anzianità contributiva minima) per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata prevista per il personale viaggiante al raggiungimento di un’età ridotta di cinque anni rispetto a quella tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio e, quindi, all’epoca pari a 61 anni 7 mesi, in quanto nel biennio 2016 – 2018 il requisito anagrafico generale di accesso alla pensione vecchiaia era pari a 66 anni e 7 mesi.

3.6. Secondo la Corte di Appello, per consentire l’applicabilità del recesso ad nutum dell’azienda, era altresì necessaria la domanda dell’interessato; in particolare la Corte si riferisce a quella prevista dal D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1, che legge in integrazione con la disciplina stabilita, dal D.Lgs. n. 414 del 1996.

In realtà il D.Lgs. 21 aprile 2011, n. 67 – recante norme sull'”Accesso anticipato al pensionamento per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 1″ – art. 1, comma 1, rubricato “Lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti”, stabilisce che “In deroga a quanto previsto alla L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, come modificato della L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, possono esercitare, a domanda, il diritto per l’eccesso al trattamento pensionistico anticipato, fermi restando il requisito di anzianità, contributiva non inferiore a trentacinque anni e il regime di decorrenza del pensionamento vigente al momento della maturazione dei requisiti agevolati” talune tipologie di lavoratori dipendenti, tra i quali: (…) “d) conducenti di veicoli di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo”. La, disciplina prevede anche che il “diritto al trattamento pensionistico anticipato” è esercitabile qualora i lavoratori appartenenti alle tipologie indicate abbiano svolto le attività lavorative secondo le modalità ivi previste per un periodo di tempo minimo specificato del D.Lgs. n. 67 del 2011, art. 1, comma 2.

Si tratta dunque di una normativa che ha un oggetto e dei destinatari che sono propri rispetto a quelli previsti dal D.Lgs. n. 414 del 1996, disciplina che non si integra con essa. Innanzitutto il D.Lgs. n. 67 del 2011, è stato adottato per i “lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti” e non riguarda specificamente il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto e neanche tutto il personale viaggiante, ma esclusivamente i “conducenti di veicoli, di capienza Complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo” e sempre che abbiano svolto detta attività per il periodo minimo specificato dell’art. 1, comma 2 di detto Decreto. Inoltre il D.Lgs. n. 67 del 2011, non ha ad oggetto la pensione di vecchiaia di cui al D.Lgs. n. 414 del 196, bensì un “trattamento pensionistico anticipato” che richiede un requisito di anzianità contributiva non inferiore a 35 anni” (ben diverso dai 20 anni previsti per la pensione di vecchiaia) ed i “requisiti agevolati” stabiliti, a decorrere dal 1 gennaio 2012, dalla Tabella B di cui all’allegato 1 della L. n. 247 del 2007, che prevede, in generale, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati una combinazione di età anagrafica e anzianità contributiva ai fini dell’accesso alla pensione anticipata (che è ben diverso dal requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia anticipata del personale viaggiante dal D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b)).

Significativamente, a conferma dell’eterogeneità delle due discipline, vale rilevare che il D.Lgs. n. 67 del 2011, è stato modificato proprio dall’art. 24 del successivo “Decreto Monti”, il cui comma 17 recita: “Ai fini del riconoscimento della pensione anticipata, ferma restando la possibilità di conseguire la stessa ai sensi dei commi 10 e 11 del presente articolo, per gli addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, a norma della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 1,D.Lgs. 21 aprile 2011, n. 67, art. 1, sono apportate le seguenti modificazioni: (…)”; ed il comma 3 del medesimo articolo, in riferimento alla “pensione anticipata” legata all’anzianità contributiva, lascia salvo proprio il regime speciale stabilito dal comma 17 per gli addetti a lavorazioni faticose e pesanti. Il che conferma che il pensionamento anticipato per costoro previsto a domanda non riguarda la pensione di vecchiaia anticipata, disciplinata del D.Lgs. n. 414 del 1996, art. 3, comma 1, lett. b), come modificato dal D.P.R. n. 157 del 2013, quest’ultimo adottato in attuazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 18, conv. in L. n. 214 del 2011.

3.7. Tuttavia in causa è pacifico che il lavoratore non avesse inoltrato alcuna richiesta di pensionamento di vecchiaia anticipata ma, al contrario, sin dall’atto introduttivo del giudizio – come riportato alla pag. 2 della sentenza impugnata – è stato dedotto che aveva esplicitamente “comunicato ad essa società la volontà di voler rimanere in servizio fino al raggiungimento dell’età massima prevista dal regime generale obbligatorio”. La Corte territoriale ha espressamente preso posizione sul punto affermando come la “possibilità (di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre l’età pensionabile) sia tuttora riconosciuta anche agli iscritti al soppresso fondo di previdenza del personale addetto al trasporto pubblico transitati nell’assicurazione generale obbligatoria e, nel caso di specie, il M. ha manifestato la sua volontà di trattenersi in servizio fino al raggiungimento dell’età massima per la pensione di vecchiaia prevista dal regime generale obbligatorio”.

Tale accertamento fattuale non incorre in alcun vizio di ultrapetizione, come pure lamentato da parte ricorrente, atteso che si tratta di questione dedotta in giudizio sin dal ricorso originario, espressamente richiamata nelle conclusioni della memoria di costituzione in appello laddove il reclamato si riporta “integralmente a tutto quanto articolato, dedotto eccepito e richiesto, anche in via istruttoria, nel ricorso introduttivo del rito sommario e del ricorso in opposizione”, e la sua qualificazione come fatto impediente rispetto alla possibilità di licenziare ad nutum appartiene alla sfera del diritto.

Tanto è accaduto in coerenza con la facoltà, che deve, essere riconosciuta anche al personale viaggiante in possesso del requisito anagrafico per l’erogabilità della pensione di vecchiaia anticipata di cui al D.Lgs. n. 414 del 1996, di esercitare l’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, ai sensi del D.L. n. 791 del 1981, art. 6, conv., con modif., dalla L. n. 54 del 1982, evitando così il transito nell’area della libera recedibilità ed anche al fine di incrementare l’anzianità contributiva per coloro che, come nella controversia che ci occupa, possono conseguire la pensione di vecchiaia prima del 65^ anno di età; infatti l’art. 6, richiamato è stato ritenuto applicabile anche agli autoferrotranvieri da Corte Cost. n. 226 del 1990, proprio per evitare disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri lavoratori dipendenti. E questa Corte ha già avuto modo di affermare come non sarebbe ragionevole che il lavoratore, per il solo fatto di trovarsi nella situazione di poter richiedere l’attribuzione di un pensionamento anticipato, si trovi a perdere la stabilità del posto di lavoro al compimento del sessantesimo anno di età e possa, quindi, essere privato della facoltà di continuare a lavorare per raggiungere l’anzianità contributiva massima utile o per incrementarla ulteriormente, come invece consentito a colui che ha lavorato per un tempo minore (cfr. Cass. n. 3907 del 1999).

3.8. Tale ricostruzione non confligge – come invece opina parte ricorrente – la sentenza a Sezioni unite di questa Corte n. 17589 del 2015. La pronuncia si è occupata dell’interpretazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 4, più volte citato, secondo cui: “Per i lavoratori e le lavoratrici la cui pensione è liquidata a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria e delle forme esclusive e sostitutive della medesima, nonchè della gestione separata di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26, la pensione vecchiaia si può conseguire all’età in cui operano i requisiti minimi previsti dai successivi commi. Il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato; fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza; dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni, fatti salvi gli adeguamenti alla speranza di vita, come previsti del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni e integrazioni. Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità”.

Le Sezioni Unite hanno in primo luogo ritenuto che con il richiamo ai “limiti ordinamentali”, il legislatore ha inteso precisare che la “incentivazione” al prolungamento del rapporto di lavoro non deve collidere con le disposizioni che, sul piano legislativo regolano gli specifici comparti (individuati sulla base della disciplina del rapporto tanto sul piano della regolazione sostanziale che di quella previdenziale) di appartenenza del lavoratore e che potrebbero essere ostativi al nuovo regime previsto dalla disposizione in esame. Inoltre – secondo la pronuncia – la disposizione, nel prevedere che “il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato… dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni…”, prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di detti coefficienti, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa, del settore. Sarebbe questo il senso della locuzione “è incentivato… dall’operare dei coefficienti di trasformazione…”, la quale presuppone che non, solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all’incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi. Quindi la norma prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a settanta anni. In tal senso – continua la S.C. – depone anche la formulazione dell’ultimo periodo dell’art. 24, comma 4, da interpretare nel senso che esso consente l’estensione della tutela dell’art. 18 solo nel caso che le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto, in presenza delle condizioni di adeguamento pensionistico fissate dallo stesso comma 4.

I due sistemi, quindi, non sono tra loro incompatibili: il primo, sempre nei residui casi in cui sia applicabile, costituisce esercizio di una facoltà del lavoratore, indipendente dalla volontà del datore di lavoro (per le conseguenze del rifiuto del datore a proseguire il rapporto v. per tutte Cass. n. 11668 del 2008), al fine di incrementare l’anzianità contributiva fino a quella massima e, comunque, fini al 65^ anno di età; il secondo riguarda invece l’incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa sino a 70 anni, operando i coefficienti di trasformazione, e postula il consenso del datore di lavoro.

4. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, viene enunciato il seguente principio di diritto:

“Nelle aziende addette ai pubblici servizi di trasporto, per le quali opera il regime previdenziale speciale introdotto dal D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 414, un addetto al personale viaggiante ultrasessantenne in possesso del requisito anagrafico per il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata, previsto al raggiungimento di un’età ridotta di 5 anni rispetto a quella tempo per tempo in vigore nel regime generale obbligatorio, non può essere licenziato ai sensi della L. n. 108 del 1990, art. 4, comma 2, in presenza di una volontà espressa del lavoratore medesimo volta a non accedere al pensionamento anticipato ed a permanere in servizio”.

Le spese sono regolate secondo il regime della soccombenza, liquidate come da dispositivo, con attribuzione ai procuratori dichiaratisi antistatari.

Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.250,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con attribuzione ai procuratori antistatari.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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