Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10883 del 18/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/05/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 18/05/2011), n.10883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

FIGAR DI LUCIANA FIGAR, MAURIZIO & C sas., rappresentata e

difesa

dall’avv. Russo Alfredo e dall’avv. Lombardi Roberto, presso il quale

è elettivamente domiciliata in Roma al viale Giuseppe Mazzini n.

145;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia n. 17/8/08, depositata il 18 marzo 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8 febbrai

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Con sentenza del 18/3/2008 la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia accoglieva il gravame interposto dall’AGENZIA DELLE ENTRATE di Gorizia nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Gorizia di accoglimento delle riunite opposizioni spiegate dalla società FIGAR s.a.s. ed altri nei confronti di avviso di liquidazione in rettifica emesso a titolo di imposta di REGISTRO in relazione a compravendita del 1991.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la società FIGAR di LUCIANA FIGAR, MAURIZIO & C. s.a.s. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso l’AGENZIA DELLE ENTRATE. Con il 1^ MOTIVO la ricorrente denunzia contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2^ MOTIVO denunzia contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3^ MOTIVO denunzia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 (conv. in L. n. 154 del 1988, 36, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,.

Il ricorso dovrà essere ritenuto inammissibile in applicazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, art. 366 bis e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366 bis c.p.c. dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108 )-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo ( v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assuma corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), il quesito recato dal ricorso risulta privo dei caratteri di riferibilità e decisività, formulato cioè in termini tali da, non consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata, e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.

Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008, n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 1^ ed il 2^ motivo non recano invero la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle “ragioni” dei denunziati vizi di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in complessivi Euro 600, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 maggio 2011

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