Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10883 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 08/06/2020), n.10883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17874/2016 proposto da:

(OMISSIS) Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore,

C.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Sardegna n. 14

presso lo studio dell’avvocato Stajano Ernesto che li rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento della (OMISSIS) Sas, F Ferraioli & C Srl;

– intimati –

avverso la sentenza n. 350/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2020 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Nocera Inferiore dichiarava il fallimento della società denominata (OMISSIS). s.a.s., oltre che di C.A., su ricorso di Fratelli Ferraioli & C. s.r.l.: società che si assumeva creditrice, nei confronti della fallenda, per la somma di Euro 122.203,75, portata da un decreto ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo.

2. – C.A., nella qualità di socio accomandatario della società dichiarata fallita, proponeva reclamo assumendo di non aver mai ricevuto la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di comparizione innanzi al giudice delegato e rilevando, inoltre, che la società era inattiva da tempo e non aveva neanche presentato dichiarazioni fiscali.

La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 29 giugno del 2016, rigettava il reclamo.

3. – C.A., in proprio e nella qualità di legale rappresentante e socio accomandatario della società fallita, ricorre per cassazione. La curatela fallimentare e la creditrice istante non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo sono lamentate la violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 15, 18 e 30, la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2699 e 2700 c.c., nonchè la violazione o falsa applicazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost.. Assumono in sintesi i ricorrenti, con riferimento alla posizione della società, che la notificazione presso la sede legale, pur obiettivamente possibile L. Fall., ex art. 15, non era stata effettuata per circostanze imputabili all’ufficiale giudiziario: la Corte di appello avrebbe dovuto considerare il verbale di accesso del curatore fallimentare, il quale attestava la permanenza della sede presso l’indirizzo di (OMISSIS); Gli istanti rilevano inoltre che il deposito presso la casa comunale era sconfessato dal certificato del Comune, dotato di pubblica fede ex art. 2700 c.c., che asseverava il difetto di qualsiasi deposito di atti intestati alla società e al socio accomandatario nella data indicata dall’ufficiale giudiziario.

Il secondo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 147 c.p.c., comma 3, L. Fall., art. 15, art. 2700 c.c., artt. 138 e 143 c.p.c.. La censura investe la notificazione nei confronti del socio accomandatario e si fonda sul rilievo per cui, ai fini della legittimità del ricorso alla procedura di notificazione agli irreperibili, ex art. 143 c.p.c., utilizzata nella fattispecie, è richiesta la prova della oggettiva impossibilità, per il notificante, di individuare il luogo di effettiva residenza, domicilio o dimora del notificando, malgrado l’esperimento delle indagini suggerite nei casi concreti dall’ordinaria diligenza, non essendo dunque sufficiente la mera circostanza che il destinatario dell’atto risulti trasferito dal precedente indirizzo. Osservano gli istanti che l’ufficiale giudiziario, nella circostanza, aveva dichiarato di aver effettuato la notificazione a norma dell’art. 143 c.p.c., in difetto di qualsiasi evidenziazione delle indagini svolte e delle verifiche effettuate. Viene poi ribadita la deduzione, svolta nel primo motivo, e fondata sulla certificazione rilasciata dal Comune di Cava dè Tirreni quanto al mancato deposito di atti ai fini notificatori.

I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente siccome vertenti, entrambi, su asseriti vizi della notificazione del ricorso e del decreto di cui alla L. Fall., art. 15, non sono fondati.

La Corte di appello ha osservato, in merito, che le notifiche avevano avuto luogo – o meglio, si dovrebbe dire: erano state tentate – presso la sede della società risultante dal registro delle imprese ove, tuttavia, l’ufficiale giudiziario non aveva rinvenuto nè la società, che la stessa reclamante assumeva essere da tempo inattiva, nè il socio accomandatario.

Per quanto attiene alla società, occorre premettere che, secondo quanto già rilevato dalla Corte costituzionale, a fronte della non utile attivazione del procedimento che si attua presso l’indirizzo telematico, segue la notificazione presso la sede legale dell’impresa collettiva: ossia, presso quell’indirizzo da indicare obbligatoriamente nell’apposito registro ex L. n. 580 del 1993, la cui funzione è proprio quella di assicurare un sistema organico di pubblicità legale, sì da rendere conoscibili, e perciò opponibili ai terzi, nell’interesse dello stesso imprenditore, i dati concernenti l’impresa e le principali vicende che la riguardano: onde, “in caso di esito negativo di tale duplice meccanismo di notifica, il deposito dell’atto introduttivo della procedura fallimentare presso la casa comunale ragionevolmente si pone come conseguenza immediata e diretta della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, dei descritti obblighi impostigli dalla legge” (Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146).

La parte ricorrente intende confutare l’ammissibilità della notificazione alla società che si è attuata col deposito dell’atto presso la casa comunale assumendo che non ricorresse la condizione, attestata dall’ufficiale giudiziario, circa il fatto che la società (OMISSIS). fosse, all’epoca, “sloggiata da tempo”: a tal fine deduce, come si è detto, di aver prodotto il verbale di accesso del curatore fallimentare presso la sede sociale. La deduzione è però, anzitutto carente di autosufficienza, in quanto il ricorso non reca menzione, nemmeno in forma riassuntiva, del detto verbale (laddove chi ricorre per cassazione ha l’onere di indicare i documenti su cui il ricorso è fondato, mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione: Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; in tema pure Cass. 7 marzo 2018, n. 5478); in secondo luogo, la censura è comunque carente di decisività, in quanto l’accesso del curatore non è contestuale alla tentata notifica e non vi è modo di escludere che al momento in cui l’ufficiale giudiziario si recò presso la sede della società fosse impossibile procedere in loco a tale incombente (condizione, quest’ultima che, a mente dell’art. 15, comma 3, consente di procedere al deposito dell’atto presso la casa comunale). Peraltro, il verbale redatto dal curatore (cui il Collegio ha accesso, vertendosi dell’esistenza di un error in procedendo) non contiene indicazioni contrastanti con l’irreperibilità della società, giacchè reca attestazione circa il fatto che nell’occasione dell’accesso il figlio di C. avrebbe dichiarato che la società stessa era inattiva da tempo, che non fosse proprietaria nè dei locali, nè dei beni ivi presenti.

Vana risulta essere, poi, la contestazione circa l’effettuazione dell’incombente del deposito dell’atto presso la casa comunale: sul punto la relazione di notifica fa infatti fede fino a querela di falso (per tutte: Cass. 22 febbraio 2010, n. 4193; Cass. 9 febbraio 2001, n. 1856). Il tema relativo alla proposizione della detta querela sarà poi affrontato trattando il terzo motivo, che si occupa proprio di tale profilo.

Per quel che concerne la posizione del socio accomandatario, occorre osservare che la notificazione dell’atto è stata invano tentata, il 15 luglio 2015, all’indirizzo di (OMISSIS) (luogo coincidente con la sede legale della società) e che, in base a una certificazione anagrafica di poco successiva, ivi era la residenza del notificando. In tal senso, avendo anche riguardo all’evidenza dell’allontanamento, da quel luogo, della società di cui C. era legale rappresentante, e in cui, quindi lo stesso poteva avere il proprio ufficio ex art. 139 c.p.c., comma 1, trova giustificazione il successivo deposito dell’atto presso la casa comunale ai fini del perfezionamento del procedimento notìfìcatorio a norma dell’art. 143 c.p.c. (norma, questa, espressamente indicata nella successiva relata del 30 luglio 2015): infatti, l’ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l’ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall’art. 143 c.p.c., deve essere valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell’art. 1147 c.c. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all’acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell’art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata (Cass. 31 luglio 2017, n. 19012; Cass. 4 giugno 2014, n. 12526).

2. – Col terzo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 18, comma 10, artt. 295 e 221 c.p.c. e art. 99 disp. att. c.p.c.. La doglianza ha ad oggetto la mancata sospensione del procedimento nella pendenza del procedimento di querela di falso introdotto dei ricorrenti e riferito alla relata di notifica. E’ dedotto che la provata pendenza della querela di falso avrebbe dovuto condurre alla sospensione necessaria del procedimento e che in ogni caso, a fronte della notificazione della citazione, si sarebbe imposta l’attivazione, da parte del giudice distrettuale, dei poteri istruttori ufficiosi previsti dall’art. 18 cit..

Il motivo va disatteso.

Con esso la sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha ritenuto che l’intervenuta notifica della citazione avente ad oggetto la querela di falso delle attestazioni dell’ufficiale giudiziario notificatore risultava “irrilevante ai fini della valutazione della regolarità del contraddittorio nel procedimento prefallimentare” a fronte del mancato deposito dell’iscrizione a ruolo della causa.

La cornice in cui si colloca l’affermazione del giudice del reclamo è la seguente: spetta alla parte interessata l’onere di fornire al giudice i documenti idonei a provare la pendenza di un’altra causa e l’oggetto della medesima per consentirgli di valutare il rapporto di pregiudizialità logico – giuridica e quindi la sussistenza dell’obbligo di sospendere il processo pregiudicato per evitare il potenziale conflitto di giudicati (Cass. 26 agosto 2002, n. 12515; Cass. 18 ottobre 2001, n. 12743); per fornire tale prova non è poi sufficiente la produzione dell’atto di citazione relativo all’altro giudizio, ma è indispensabile almeno la documentazione della costituzione della parte più diligente, perchè solo per effetto di tale ulteriore atto di impulso processuale diventano attuali l’obbligo del giudice di decidere la causa ed il potenziale conflitto di giudicati che l’istituto della sospensione tende ad evitare (Cass. 17 maggio 1997, n. 4399).

Ciò detto, è la stessa parte ricorrente a dare atto di come il verbale dell’udienza del 25 febbraio 2016 – udienza in cui sarebbe stata operata la produzione del documento che attestava l’iscrizione a ruolo della causa avente ad oggetto la nominata alla querela di falso – non dava conto della produzione stessa (cfr. ricorso, pag. 18). Pertanto, correttamente il giudice di appello ha mancato di prendere in esame il documento in questione, siccome estraneo al novero di quelli ritualmente prodotti (art. 87 disp. att. c.p.c.).

Nè può credersi che l’acquisizione del documento dovesse disporsi dalla Corte di appello in ragione dei poteri istruttori ufficiosi di cui la stessa disponeva, giusta la L. Fall., art. 18, comma 10. A prescindere da ogni ulteriore rilievo, è da osservare come la spendita di tali poteri presupponga la rituale allegazione dei fatti che debbano provarsi (Cass. 29 marzo 2019, n. 8965; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24721), mentre nella fattispecie non è stato dedotto che i ricorrenti avessero prospettato in giudizio che alla notificazione della citazione destinata a introdurre il giudizio di falso fosse seguita la costituzione in giudizio di una delle parti.

3. – Il quarto motivo prospetta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 1,5, 15 e 18, la violazione o falsa applicazione dell’art. 57 c.p.c.. e l’omesso ricorso ai poteri ufficiosi in sede di indagine prefallimentare. Il motivo investe il giudizio formulato con riguardo alla fallibilità della società. Viene sottolineato che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, la nota del 21 ottobre 2015 relativa alla “richiesta inevasa all’Agenzia delle entrate” risultava essere stata ritualmente prodotta, come risultava dall’indice del fascicolo; è inoltre contestata la mancata spendita dei i poteri ufficiosi, la quale poggerebbe sull’erronea assimilazione, operata dal giudice di appello, tra il processo civile ordinario e il rito fallimentare.

La complessa censura, che attiene all’accertamento dello stato di insolvenza, non merita accoglimento.

Non si riesce anzitutto ad apprezzare la decisività della deduzione vertente sulla rituale acquisizione al giudizio della richiesta all’Agenzia delle entrate: ciò perchè gli istanti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, omettono di dar conto del preciso contenuto di tale documento. La doglianza sollevata al riguardo è dunque inammissibile.

Tale rilievo investe anche l’altro tema sollevato dai ricorrenti, e attinente al lamentato mancato uso dei poteri istruttori d’ufficio: rileva, anche a tale proposito, l’omessa esplicazione del contenuto dello scritto (contenuto che dovrebbe assumere rilievo ai fini della precisa individuazione, quanto all’oggetto, dell’esercizio dei poteri ufficiosi di cui trattasi). Peraltro, in proposito, la sentenza impugnata non risulterebbe comunque censurabile, tenuto conto del principio, richiamato dalla Corte di merito, per cui la natura officiosa del procedimento prefallimentare non implica che il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova, tanto meno quando l’imprenditore non si sia costituito in giudizio e non abbia, quindi, depositato i bilanci dell’ultimo triennio, rilevanti ai fini in esame (Cass. 15 gennaio 2016, n. 625).

In particolare, il mancato deposito dei bilanci da parte dell’imprenditore non vale ad esimere lo stesso dalla prova che gli incombe: difatti, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 4, costituiscono mezzo di prova privilegiato, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere tuttavia a prova legale, sicchè in mancanza dei detti bilanci il debitore può dimostrare la sua non fallibilità con strumenti probatori alternativi (Cass. 27 settembre 2019, n. 24138; cfr. pure Cass. 26 novembre 2018, n. 30541).

4. – Il ricorso è respinto.

5. – Non vi sono spese da regolare, posto che gli intimati non hanno svolto difese.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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