Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10880 del 04/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 04/05/2017, (ud. 08/09/2016, dep.04/05/2017),  n. 10880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17791-2012 proposto da:

S.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

C.SO VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO

VACCARELLA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

PAOLO CRETA, ANNALISA LANZARINI;

– ricorrente –

contro

B.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI N. 114/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PUCCI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENOTTO ZAULI;

– controricorrente –

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CONTALDI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentali –

contro

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI N. 114/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PUCCI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENOTTO ZAULI;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1366/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 26/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato VACCARELLA Romano, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato FABBRI Roberto con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PUCCI Giuseppe, difensore del resistente che si

riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso notificato il 12 luglio 2012 S.M. impugna la sentenza resa il 17 novembre 2011 dalla Corte di appello di Bologna nelle cause riunite in appello n. 1522 e 1427 del ruolo generale del 2004.

La sentenza concerne la compravendita di un appartamento sito in (OMISSIS), che l’odierno ricorrente ha acquistato da A.N. attraverso l’opera del di lei procuratore speciale, B.G., odierno resistente.

La vendita era stata effettuata negli anni ‘90 per il prezzo di 191 milioni di Lire, di cui 91 versati e acquisiti dalla venditrice, la quale aveva rilasciato a B. procura a vendere per importo non inferiore a 90 milioni di Lire.

Il residuo di cento milioni di Lire avrebbe dovuto essere versato entro il 31 dicembre 1999, ma la A. era premorta nell'(OMISSIS).

Le due cause riunite sono state promosse rispettivamente:

la prima, dall’acquirente S., contro la figlia della venditrice, G.L., unica erede della A., per ottenere il rilascio del bene.

La seconda dall’avv. B., il quale ha chiesto che fosse accertato che la venditrice aveva sottoscritto una dichiarazione con la quale stabiliva che la somma eccedente i 90 milioni doveva essere da lui utilizzata per spese di assistenza e funerarie della A., per pagare il compenso dell’avv. Z., effettuare offerte in beneficenza, dovendo restare il residuo in favore del B. a titolo di compenso e liberalità.

La G. ha chiesto la declaratoria di nullità della procura e della vendita perchè frutto di circonvenzione di incapace, domanda respinta anche dalla Corte di appello.

Il tribunale ha ritenuto inammissibile la domanda B. di condanna della G. al pagamento di compenso ex art. 1720 c.c..

Ha rigettato le altre domande proposte da B. contro le altre due parti.

Ha rigettato la domanda G. di nullità della procura a vendere A. e del rogito (OMISSIS) tra B. e S..

Ha rigettato la domanda G. di annullamento della procura e del rogito stessi ex artt. 428 e 1394 c.c.

Ha riconosciuto la proprietà dell’acquirente S. sull’immobile conteso e affermato il suo obbligo di pagare alla figlia della venditrice la somma di 52.162 Euro.

La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande di tutela possessoria proposte da S.; ha dichiarato che il residuo prezzo deve essere versato da S. a B.; ha rigettato gli appelli B. e S..

La Corte di appello ha ritenuto che fosse configurabile il negozio mixtum cum donatione già ravvisato dal tribunale; ha poi affermato che non era necessaria la forma pubblica, perchè era sufficiente la forma scritta, non pubblica, per l’atto – mandato a vendere – prescelto per dar luogo allo schema negoziale effettivamente adottato dalle parti.

Ha quindi accertato il diritto del B. a ricevere dallo S. il residuo prezzo dell’appartamento, senza condannarlo, in mancanza di domanda di condanna al pagamento.

S., che in ricorso asserisce che nelle more ha provveduto a saldare a favore di G. quanto dovuto in forza della compravendita, ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi.

La G. ha notificato controricorso con ricorso incidentale.

B. ha resistito con specifico controricorso a ciascuno dei due ricorsi.

In difesa del ricorrente, essendo deceduti gli avv. Costa e Gualtieri, sono stati nominati due nuovi difensori con procura in calce alla “comparsa di costituzione”.

Memorie ex art. 378 c.p.c. dei signori S. e B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Preliminarmente va rilevato che è irregolare la sostituzione dei defunti difensori del ricorrente, avvenuta con “comparsa di costituzione” corredata da procura in calce. Nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2 (Cass. 18323/14; 7241/10).

Sempre preliminarmente è da respingere l’eccezione B. di inammissibilità del ricorso per mancata indicazione dei codici fiscali delle parti, prescrizione formale che non è sanzionata processualmente, o per la lacunosità dello svolgimento del processo, che rileva ex art. 366 c.p.c solo quando – e non è questo il caso – manchi una sommaria esposizione dei fatti.

La mancata indicazione della sede di produzione dei documenti non è causa di per sè di inammissibilità del ricorso, ma rileva solo qualora essi siano funzionali indispensabilmente all’esame di uno o più motivi e la produzione sia di difficile identificazione nel fascicolo di parte dei gradi di merito. Non se ne può certo lamentare la omessa numerazione e l’omessa indicazione temporale di produzione qualora si discuta sin dall’inizio della causa di un solo contratto scrutinato in ogni dettaglio già dalle sentenze di merito.

3) Il primo motivo del ricorso principale S. denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c..

Il ricorrente sostiene che B. avrebbe chiesto soltanto in appello di ricevere in proprio il residuo pagamento del prezzo dell’appartamento. In primo grado la sua domanda sarebbe stata invece di pagamento in esecuzione del contratto e quindi in favore della venditrice – “ovvero dell’erede di questa” -, salvo il diritto di trattenere la somma per dare esecuzione al proprio mandato.

La censura è infondata.

Già la sentenza forlivese di primo grado ha interpretato (pag. 9 in fine) la domanda nel senso inequivocabile fatto palese dal tenore delle parole con cui sono state rassegnate le conclusioni: la pretesa di parte B., rivolta all’acquirente, di dichiarare che questi doveva versare la residua somma di cento milioni di Lire e di dichiarare che l’attore aveva diritto di “trattenere” per sè la somma residuata, dopo l’adempimento delle volontà della venditrice A..

Anche la Corte di appello ha dato tale interpretazione, poichè ha discusso (pag. 19) della pretesa del “riconoscimento del diritto di B. di ottenere il pagamento del saldo”.

Occorre evidenziare che la specificazione della richiesta B. di pagamento a sè costituiva una precisazione che ben poteva essere considerata implicita proprio nella richiesta di affermare il diritto di “trattenere” la somma, attività che implica una precedente acquisizione diretta e personale.

Dunque non è configurabile alcuna violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione a domanda nuova relativa alla richiesta di versamento al B.; in ipotesi S. avrebbe potuto dolersi, già in appello, di un’errata interpretazione della domanda da parte del giudice di merito.

4) Il secondo motivo del ricorso S. denuncia assenza di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha accertato il diritto di credito di B.G. nei confronti di S.M..

Quest’ultimo, dopo aver eseguito il pagamento in favore della erede G., deduce di aver chiesto espressamente la conferma della sentenza parziale del tribunale e conseguentemente darsi atto della legittimità di tale pagamento, con esclusione di ogni debenza in favore di B.. Si duole dell’assenza completa di motivazione sul punto.

Prima ancora, nell’esordio del motivo, espone che la Corte di appello, dopo aver qualificato il contratto A.- B. quale negozio misto con donazione, ha individuato immotivatamente lo S. quale soggetto gravato dell’obbligo di adempiere in favore di B. la obbligazione portata dalla prevista elargizione liberale. Osserva che il negozio misto non coinvolge parte S., il cui obbligo non può discendere dalla ritenuta validità del negozio de quo.

Connesso e da analizzare congiuntamente è il terzo motivo di ricorso, con il quale sono denunciati vizi di motivazione e violazione dell’art. 769 c.c., dell’art. 1703 e dell’art. 1372 c.c.. Sempre muovendo dall’estraneità di S. al negozio A.- B., che stabiliva il compenso di quest’ultimo, parte ricorrente nega che si possa desumerne la individuazione dell’attore come soggetto passivo dei diritti di credito nascenti da quel contratto.

La Corte di appello sarebbe incorsa in violazione delle norme citate perchè avrebbe indebitamente esteso gli effetti del negozio, con la conseguenza che obbligata verso B. sarebbe la G., erede della de cuius.

Su questo punto parte S. lamenta che la Corte di appello abbia eluso uno specifico interpello che egli le aveva posto, chiedendo che fosse dato atto del pagamento legittimamente eseguito in favore di parte G..

4.1) Le censure, al contrario di quanto dedotto in controricorso, sono specifiche e sufficientemente puntuali: consentono alla Corte di comprendere quali siano i profili relativi a vizi di motivazione e quelli che espongono una violazione di legge (estensione soggettiva degli effetti del contratto).

La ripetitività o ridondanza non rende di per sè inammissibili i motivi; nè può essere condivisa, o applicata nella specie, la teoria secondo cui la denuncia contemporanea di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sarebbe fonte di inammissibilità del motivo. Trattasi di ipotesi di superfetazione che può rendere evidente il rigetto del profilo che sia ritenuto privo di fondamento, ma non esime dall’esame di quello adeguatamente argomentato.

4.2) Le censure sono fondate.

Va subito chiarito che contrariamente a quanto sostenuto in controricorso (v. per esempio pag. 35 in principio) non si tratta di questioni nuove o su cui si è formato il giudicato.

La lettura della sentenza di primo grado (imposta anche dalla natura processuale dell’eccezione), peraltro confermata dai richiami negli atti successivi, dimostra (si veda per esempio pag. 14) che la tesi della scrittura doc. 3 quale fondamento per vantare il diritto sulla somma residua era stata oggetto di primaria attenzione da parte del tribunale.

Il primo giudice ha negato il diritto del B. perchè ha qualificato il negozio come contratto misto con donazione e lo ha – sia pur “solo incidentalmente” ritenuto nullo perchè soggetto a forma pubblica solenne, mancante nella specie (cfr. sentenza del 2002 pag. 16).

Il tribunale ha poi escluso che fosse fondata anche la tesi, che ha tacciato peraltro di contraddittorietà, del mandato in rem propriam rilasciato all’avvocato B. per incassare; ha ravvisato un mandato stipulato nell’interesse della mandante.

Contro queste determinazioni, S., interessato solo ad accertare chi tra gli altri due litiganti avesse titolo all’incasso, non aveva motivo per ricorrere. Lo ha fatto il B. e contro la decisione d’appello a lui favorevole è proponibile la censura dell’odierno ricorrente, non preclusa da mancata precedente impugnazione di una decisione che non gli era sfavorevole e che ha portato al suo adempimento in favore di G. e ora al rischio di duplice pagamento.

4.3) La Corte di appello ha desunto dalla validità del contratto mixtum cum donatione – affermata perchè esso potrebbe avere la forma di scrittura privata in quanto volto a realizzare un mandato a vendere – che S. è tenuto a versare al B. la somma residua.

E’ qui che questa Corte ravvisa il primo punto debole della sentenza impugnata. La conseguenza che viene tratta dalla validità del contratto misto è infatti frutto di un’affermazione apodittica, non spiegata, e quindi che si manifesta con un salto logico.

Non si vede infatti alcun nesso giuridico necessario tra la validità del contratto e la circostanza che il pagamento dovesse essere fatto in favore del mandatario e non della venditrice mandante, la quale pure intendeva conseguire sicuramente il prezzo, giacchè almeno una parte, quella che condizionava la vendita a un importo minimo (che teoricamente avrebbe potuto essere anche quasi l’intero prezzo) era sicuramente voluta per sè dalla A..

Coglie quindi nel segno il ricorso nel dolersi della mancanza di motivazione sul punto, mancando una esplicazione della costruzione giuridica prescelta e prima ancora della ricostruzione in fatto, cioè della interpretazione delle scritture poste a fondamento delle decisione come portatrici del diritto del B..

Opportunamente il ricorso nel terzo motivo rileva che lo S. era soggetto estraneo al contratto A.- B., che non lo menziona. S. inoltre evidenzia che è stato lo stesso ricorrente (viene indicato veridicamente l’atto di appello del settembre 2002, ma lo si legge anche in controricorso a pag. 3) a riferire che il diritto a trattenere il proprio compenso sull’ulteriore somma ricavata dalla vendita gli era stato accordato in una separata scrittura privata redatta il giorno stesso del rilascio della procura speciale notarile a vendere. Ciò rileva per far comprendere che il diritto all’incasso preteso non derivava dall’atto (la procura) rivolto al compratore, ma da una scrittura cui non era stata data forma pubblica.

Il ricorso coglie quindi nel segno laddove rileva che non è configurabile automaticamente un’estensione del contratto A.- B. sotto il profilo soggettivo a S., quale obbligato a pagare a un terzo ( B.) e non alla venditrice il prezzo residuo.

Il controricorso invano postula che l’obbligo derivi dal fatto che la dichiarazione A. fosse “ben nota allo S.” o che secondo la Corte di appello la legittimazione del B. poggiava sull’intendimento di impedire che la figlia potesse beneficiare del ricavato della vendita.

La prima circostanza non risulta accertata in sentenza e nessuna delle due viene comunque utilizzata dalla Corte di appello quale fondamento del diritto del ricorrente a pretendere la somma da S..

4.4) Erra quindi il B. nel pretendere che vi siano rationes della sentenza d’appello che non siano coinvolte dall’impugnazione.

Il controricorso è infatti costretto a sviluppare la tesi secondo cui a B. era stato conferito un mandato in rem propriam, non soggetto ex art. 1723 c.c. ad estinzione per morte del mandante.

Questo accertamento è mancato nella decisione della Corte di appello.

Va in proposito ricordato che la Corte di appello (pag. 19 e ss) ha considerato superfluo esaminare le doglianze sollevate contro la decisione di primo grado la quale aveva negato la configurabilità di un mandato in rem propriam. Per i giudici di appello la questione (e le altre relative alla validità dell’atto, pag. 20), rilevava solo per la conferma del diritto-dovere di B. di adempiere alle obbligazioni (spese, beneficienza) impostegli dalla mandante; sarebbe pertanto rimasta assorbita dalla prima statuizione.

Se così è, tutti i rilievi che il controricorrente deduce sulla base del mandato in rem propriam per resistere all’odierno ricorso, non possono essere qui esaminati.

Essi devono infatti trovare esame, unitamente agli altri tralasciati, da parte del giudice di rinvio, che li ha considerati assorbiti.

La Corte di Cassazione non può infatti sostituirsi al giudice di merito nella ricostruzione dei fatti e negli apprezzamenti di merito che scaturiranno e saranno oggetto di necessario approfondimento in conseguenza della cassazione della sentenza per il vizio logico-giuridico da cui è affetta.

Vizio che consiste nell’aver fatto derivare direttamente dalla esistenza di un negozio mixtum cum donatione il diritto del procuratore speciale incaricato della vendita, azionabile nei confronti dall’acquirente, a incassare e trattenere per sè il residuo prezzo, a causa della morte della venditrice nelle more tra contratto definitivo e data di scadenza dell’ultima parte del prezzo.

5) Il ricorso incidentale G. risulta inammissibile.

Esso espone quattro motivi.

Il primo denuncia violazione e falsa applicazione di norme nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe giudicato tardive le domande proposte da G. circa la nullità della scrittura privata (OMISSIS).

Il motivo è criptico e privo di specificità.

Allude a una giustificazione nel produrre tardivamente la scrittura, ma non evidenzia nè lo svolgersi del procedimento (v’è un labile traccia pag. 17 della sentenza) nè quale sia l’interesse a ricorrere contro la tardività. La nullità venne infatti comunque dichiarata dal tribunale ma è stata poi oggetto di gravame vittorioso del B..

Il secondo espone violazione e falsa applicazione di norme relativamente alla non necessità di atto pubblico per il negozio di cui alla scrittura privata suddetta.

La critica risulta non esaminabile, perchè oscilla tra la censura per violazione di legge, priva però di un’analisi normativa e perfino di riferimenti a quali siano le disposizioni che si assumono violate e la censura motivazionale generica. Per la parte in diritto menziona criticamente un precedente che ha trovato però più recenti conferme (cfr Cass. 23297/10) circa la forma del negozio mixtum. A conclusione del motivo si lamenta infatti la contraddittorietà della motivazione della sentenza perchè non avrebbe “saputo valutare le risultanze istruttorie date per acquisite”.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme (sempre senza precisarle) relativamente alla parte in cui la sentenza non ravvisa il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato.

La censura si basa sul presupposto della nullità per difetto di forma che è stata esclusa dalla Corte di appello e dunque muovendo da un presupposto insussistente risulta inammissibile.

Il motivo rivolge poi attenzione alla posizione di S. ma non identifica quale sia l’affermazione della Corte di appello che sarebbe pregiudizievole alla G., nè a quale sua censura rispetto alla sentenza di primo grado si riferisca.

Anche il quarto motivo, come il precedente risulta inammissibile.

Espone omessa motivazione circa la mancata rilevazione della “nullità e/o tardività di tutte le domande e dell’appello incidentale di S.”.

Dopo aver narrato la tempistica della costituzione in giudizio dello S., il motivo si chiude senza illustrare quali domande sarebbero state introdotte tardivamente in primo grado, quali in appello, quali censure siano state indebitamente esaminate dalla Corte felsinea, etc. Nè indica la decisività del profilo denunciato rispetto ai capi della decisione.

In sostanza i con tale tecnica redazionale parte G. lascia alla Corte di cassazione il compito di ricercare officiosamente eventuali errori dei giudici di merito, chiedendole inammissibilmente di sostituirsi alla parte.

Ed invero anche laddove la Corte ha il potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, è indispensabile che la censura sia stata ritualmente formulata, rispettando, in particolare, il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito di specificità dei motivi di impugnazione, in quanto l’esame diretto degli atti e dei documenti è circoscritto a quelli che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (Cass. 896/14). Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata (tra le tante Cass. 4293/16; 25332/14; 19959/14; 7931/13).

6) Discende da quanto esposto la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai due motivi accolti. La cognizione va rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per il conseguente riesame degli atti di appello e la liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale S.. Accoglie il secondo e terzo motivo.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale G..

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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