Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10878 del 05/05/2010

Cassazione civile sez. I, 05/05/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 05/05/2010), n.10878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.G., P.M.R., R.A.M.,

M.C., D.A., A.G., P.

L., B.L. e N.A., elettivamente

domiciliati in Roma, viale Pinturicchio 21, presso l’avv. Abbate

Ferdinando Emilio, che li rappresenta e difende giusta procura in

atti;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, cron. n. 6039, in

data 19 luglio 2006, nella causa riunite iscritte ai nn. 52894/05,

52895/05 e 52896/05 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20 gennaio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

udito per i ricorrenti l’avv. Roda Ranieri per delega;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. APICE Umberto che ha dichiarato di

aderire alla relazione in atti.

La Corte:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) considerato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato dei ricorrenti, con la quale – rilevato che ” M.G., P.M.R., R.A.M., M.C., D.A., A. G., P.L., B.L. e N.A. hanno proposto ricorso per cassazione il 18 ottobre 2007 sulla base di quattro motivi avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, depositato il 19 luglio 2006, con cui la Presidenza del Consiglio dei ministri veniva condannata ex lege n. 89 del 2001 al pagamento, in favore dei medesimi, di un indennizzo di Euro 8.000 per ciascuno, oltre interessi legali dal decreto della Corte d’appello al saldo e spese (per complessivi Euro 750), per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi in primo grado innanzi al Tar Lazio ed avente ad oggetto l’accertamento del diritto all’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria. La Presidenza del Consiglio non ha resistito con controricorso” – si è altresì osservato che: “Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata fisiologica del processo di primo grado di cinque anni e una procrastinazione irragionevole di otto anni.

Manifestamente fondati, per quanto di ragione, sono i primi due motivi, attinenti alla fissazione in cinque anni del periodo di ragionevole durata del processo presupposto dinanzi al TAR. Difatti, il giudice di merito si è allontanato dagli standard elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in punto di determinazione della durata ragionevole del processo, in base ai quali deve ritenersi che la durata fisiologica di un giudizio di primo grado dinanzi al giudice amministrativo è di tre anni. In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudizio di irragionevolezza della durata del processo espresso nel decreto della corte territoriale richiede il sostegno di una adeguata motivazione – nella specie mancante – ove le conclusioni raggiunte si discostino dalle linee fondamentali della giurisprudenza Europea in ordine allo standard medio di durata ragionevole del processo, che costituiscono la guida per il giudice nazionale. Il terzo motivo relativo alla decorrenza degli interessi legali – appare manifestamente fondato, giacchè, per costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, 17 febbraio 2003, n. 2382; Sez. 1, 27 gennaio 2004, n. 1405), gli interessi sulla somma liquidata a titolo di equa riparazione per superamento della ragionevole durata del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, vanno riconosciuti dal momento della domanda azionata dinanzi alla corte d’appello, non già a decorrere dal decreto della corte d’appello.

Il quarto motivo, concernente l’entità delle spese liquidate dalla Corte territoriale, resta assorbito, dovendosi procedere ad una nuova liquidazione per effetto dell’accoglimento del ricorso.

In conclusione, ove si condividano i testè formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione;

B1) ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, devono essere accolti i primi tre motivi, assorbito il quarto, e che il decreto impugnato deve essere annullato con riferimento alle censure accolte; osservato altresì che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1; che, in particolare, determinata dal giudice di merito in tredici anni la durata complessiva del giudizio, durata non contestata dalle parti, e stimato in tre anni, secondo i parametri cronologici elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (cfr. Cass. 2008/14), il periodo di ragionevole durata del processo di primo grado, va stabilito in 10 anni il periodo di durata non ragionevole;

B2) considerato che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno;

B3) osservato altresì che gli interessi legali da applicare sull’indennizzo liquidato ai ricorrenti devono essere conteggiati a decorrere dalla data della domanda e non da quella del decreto di condanna, come ritenuto dalla Corte di merito; che di conseguenza si deve riconoscere al ricorrente l’indennizzo di Euro 9.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri soccombente;

B4) ritenuto altresì che le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore dei difensori dei ricorrenti, dichiaratisi antistatali.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi, assorbito il quarto. Cassa il decreto impugnato in ordine alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 9.250,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 2.126,00, di cui Euro 1.376,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.000,00 di cui Euro 900,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge con distrazione, per le spese del giudizio di merito, in favore dei procuratori dei ricorrenti, avv.ti Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratisi antistatali, e per le spese del giudizio di cassazione in favore del difensore dei ricorrenti, avv. Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010

 

 

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