Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10875 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 08/06/2020), n.10875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34175/2018 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in Roma, Corso Trieste 37

presso lo studio dell’avvocato Ferdinando Paone che lo rappresenta e

difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex

lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale

dello Stato;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 1652/2018 della Corte di appello dell’Aquila

pubblicata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 04/11/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. K.S. ricorre in cassazione con tre motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello dell’Aquila ha rigettato l’impugnazione dal primo proposta avverso l’ordinanza ex art. 702-bis c.p.c. pronunciata dal locale Tribunale che aveva, a sua volta, respinto il ricorso contro il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale rigettava le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato “Atto di costituzione” fuori termine con cui ha dichiarato di costituirsi al fine “dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, cittadino (OMISSIS), nel racconto reso alla Commissione territoriale competente ha affermato di essersi allontanato dal Paese di origine per il timore di essere ucciso dai (OMISSIS) che lo cercavano per avere egli fatto la spia al Governo.

Il richiedente aveva venduto cinque CD di contenuto pornografico, condotta vietata dalla legge e dalla religione, a dei ragazzi ed il custode del mercato, dove egli svolgeva attività commerciale, si era presentato presso la sua abitazione dicendogli che alcuni giovani lo cercavano, portandogli, il giorno successivo, un biglietto con cui “i (OMISSIS)” lo convocano per avere spiegazioni sulla vendita dei CD.

Ricevuto un avviso di arresto dal Governo il richiedente si era trasferito a Quetta e, appreso dalla madre che i (OMISSIS) lo cercavano, convintosi che la sua vita era in pericolo “per un grande equivoco”, in ragione del quale la polizia lo riteneva colluso con i (OMISSIS) e questi ultimi che egli avesse fatto, invece, il delatore con la polizia, decideva di fuggire.

2. Ciò posto, con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 115 cd. proc. civ. in cui sarebbe incorsa la Corte di appello per non aver posto a fondamento della propria decisione le prove documentali versate in atti e la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su uno dei motivi di appello.

Il ricorrente aveva infatti prodotto in primo grado copia del mandato di arresto emesso a suo carico in cui egli risultava indagato per atti di terrorismo, ipotesi di accusa per la quale in Pakistan è prevista la pena di morte.

La Corte di merito aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello non considerando quindi che ove il ricorrente avesse fatto ritorno in (OMISSIS) egli sarebbe stato sottoposto ad un processo ingiusto con il pericolo di soffrire una condanna alla pena di morte, ipotesi integrativa del pregiudizio alle ragioni della difesa e, ancora, delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Il motivo si apprezza nella sua lettura inammissibile per plurime ragioni.

La censura, al di là della titolazione riservatale in ricorso, e che richiama l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 115 c.p.c., non è ascrivibile a violazione di legge.

Si ha violazione di legge soltanto allorchè si alleghi nel giudizio di legittimità che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o che abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (nei termini, ex multis: Cass. n. 1229 del 17/01/2019).

Tanto premesso, qualora in sede di legittimità si denunci l’omessa valutazione di prove documentali, la critica in tal modo portata al provvedimento impugnato di questo contesta il vizio di motivazione ed il ricorrente, per il principio di autosufficienza, ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentirne il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della produzione.

La sola produzione documentale non assicura il contraddittorio e non comporta per il giudice alcun onere di esame e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. 21/05/2019 n. 13625; Cass. 25/08/2006 n. 18506).

Nella specie in esame, il ricorrente ha dedotto di avere denunciato alla Corte di appello che il Tribunale “non avesse posto a fondamento della propria valutazione i documenti prodotti in giudizio mediante allegazione al fascicolo di parte” (p. 5 ricorso), provvedendo poi ad indicare in quella sede, per richiamo a lettere e numeri, la posizione dei documenti nel fascicolo di parte e, quindi, per identiche modalità, anche il mandato di arresto emesso a suo carico dalla “(OMISSIS) in forza del quale è stato indagato per presunti atti di terrorismo” (p. 5 ricorso).

Il tutto nel dedotto rilievo che l’elencata documentazione, comprensiva dell’invito a presentarsi dei (OMISSIS)”, dell'”avviso di arresto” e della “lettera di minacce dei (OMISSIS)” avrebbe connotato il quadro emergente dalle dichiarazioni rese in sede di audizione in Commissione “da un sufficiente grado di coerenza, ragionevolezza, attendibilità e corrispondenza alla situazione del Paese di origine, integrando un livello probatorio sufficiente” per i criteri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

La deduzione difensiva, come sopra indicata, non risponde a principio di autosufficienza non accompagnandosi alla produzione documentale la trascrizione dei contenuti del documento per consentire degli stessi il vaglio di decisività ai fini della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Segnatamente, quanto difetta nella deduzione difensiva ai fini della sua decisività è che il documento, mancato all’esame dei giudici di merito, e cioè il mandato di arresto versato in atti, rinvenga le proprie motivazioni nella condotte di vendita dei CD a contenuto pornografico che, nel racconto reso, avrebbero ingenerato l’equivoco dinanzi alle Autorità circa l’esistenza di un rapporto del richiedente con i (OMISSIS).

L'”equivoco” invocato negli atti difensivi a sostegno delle ragioni dell’atto di polizia non resta integrato, come ritenuto dalla Corte di merito con motivazione qui non censurabile, dalla vicenda dei CD, e la difesa non deduce sul punto non provvedendo a prospettare una connessione tra i due eventi o comunque le ragioni di quanto viene ad essere apprezzato dal giudice del merito come non sciolto equivoco, passaggio con cui il motivo proposto non si confronta.

Se l’elencazione di quegli atti non vale neppure a porre gli stessi in sequenza temporale non serve poi e di certo ad integrarne una connessione eziologica sicchè possa apprezzarsi della denunciata omissione il carattere decisivo, inteso come capacità di orientare diversamente il “decisum” del giudice di appello.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione alla mancata indicazione delle ragioni di diritto a sostegno della decisione, per avere la Corte di appello richiamato esclusivamente, e per relazione, l’ordinanza del giudice di primo grado.

La mera adesione formulata dai giudici di appello alle ragioni della decisione di primo grado non avrebbe consentito di ritenere che il giudizio di secondo grado sia giunto alla indicata condivisione attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di Impugnazione.

Il pregiudizio per il ricorrente sarebbe integrato dall’esistenza di fondati motivi per ritenere che una volta tornato in patria egli sarebbe rimasto assoggettato a processo non conforme al principio del giusto processo e quindi alla morte.

Il motivo è manifestamente infondato.

La Corte di appello ha ripercorso il racconto del richiedente per apprezzarne il carattere contraddittorio là dove, a fronte del dedotto equivoco che si vorrebbe dal primo ragione della valutazione effettuata dalle forze di polizia della sua condotta, ha valorizzato la mancanza di iniziative del richiedente dirette a dissipare l’equivoco stesso.

Solo all’esito di siffatte valutazioni l’giudici di appello hanno dato conferma al giudizio espresso dal Tribunale.

Come da questa Corte rilevato, la sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 05/08/2019 n. 20883; Cass. 05/11/2018 n. 28139).

La Corte territoriale in ragione della sopra riportata motivazione dà conto di un proprio autonomo percorso di disamina dei contenuti del racconto per un giudizio di inattendibilità che sostiene il successivo rigetto delle domande di protezione in adesione alla decisione del giudice di primo grado (pp. 13 e 14 sentenza) e, come tale, nella piena osservanza del riportato principio, sfugge a critica in sede di legittimità.

4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in ordine alla omessa statuizione sulla domanda di protezione umanitaria rispetto agli artt. 2 e 32 Cost. sia in relazione agli obblighi internazionali di cui agli artt. 2, 3, 5 e 6 CEDU e dell’art. 1 prot. 6 della CEDU e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra e, ancora, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6 e art. 29, comma 2.

Il ricorrente deduce che il decreto n. 113/2018, entrato in vigore il 5 ottobre 2018, abrogando la seconda parte dell’art. 5, comma 6 D.Lgs. cit., che prevedeva il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari in caso di seri motivi, non contenendo una norma transitoria, nella irretroattività prevista dall’art. 11 disp. att. c.c., rispetto al quale la deroga deve essere espressa o desumibile in modo inequivoco in difetto di specifica disposizione, non si applicherebbe alla ipotesi di specie.

Inoltre gli sforzi compiuti dal richiedente per integrarsi nel nostro Paese sarebbero attestati dalla documentazione versata in atti, comprensiva di una certificazione di frequenza di scuola di lingua e di un certificato di volontariato, nell’attività lavorativa in corso, e siffatte evidenze avrebbero contrassegnato una condizione di vulnerabilità del primo.

Quanto alla condizione di cui avrebbe sofferto il richiedente nel Paese di origine, ove ivi rimpatriato, in ricorso si deduce l’esposizione a pericolo di subire un processo ingiusto e di essere condannato a morte per il reato di terrorismo e la situazione di instabilità del Paese stesso.

La Corte di appello avrebbe mancato di svolgere il giudizio comparativo tra i due contesti di vita rispetto al godimento dei diritti fondamentali e non avrebbe valutato l’esistenza nello Stato di rimpatrio di sistematiche e gravi violazioni dei diritti umani.

Il motivo è inammissibile nella parte in cui per lo stesso si vorrebbe porre ancora in discussione la situazione di vulnerabilità segnata dall’assoggettabilità del ricorrente a processo ingiusto ed al rischio di pena capitale nel Paese di provenienza per fatti di terrorismo.

La Corte di appello, con motivazione non censurabile in questa sede, aveva escluso di quel rischio la sussistenza nel carattere inattendibile del racconto nella parte in cui lo stesso si vorrebbe dal ricorrente integrativo di condotte penalmente rilevanti ed esposte a pericolo di pena capitale ed ogni altro profilo del motivo resta nel suo rilievo assorbito.

5. Il ricorso, in via conclusiva, è pertanto inammissibile.

Nulla sulla spese nella tardiva costituzione dell’Amministrazione intimata che ha altresì formulato richieste inconferenti e prive di ogni scrutinabile contenuto.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, salvo revoca.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, salvo revoca.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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