Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10873 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 23/04/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 23/04/2021), n.10873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8864/2020 proposto da:

A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO N.

2, presso lo studio dell’avvocato SABRINA ROSSI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO preso i cui Uffici domicilia in

ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 2470/2020 del TRIBUNALE di ROMA,

depositato il 03/01/2020 R.G.N. 41723/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Roma, con provvedimento depositato il 3.1.2020, ha rigettato il ricorso proposto da A.D., cittadino del (OMISSIS), avverso il diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e della protezione umanitaria.

2. Il richiedente (di etnia pular, di religione musulmana e della regione della Casamance), in sintesi, aveva dichiarato di essere arrivato in Italia nel (OMISSIS), dopo avere lasciato il paese di origine nel (OMISSIS) alla ricerca di migliori condizioni di vita e per contrasti sorti con i fratellastri a seguito della morte del padre, non potendo contare sul mantenimento dei nonni anche per se stesso; di essere rimasto in Libia un anno e sei mesi, periodo nel quale era stato due volte prigioniero, e di avere raggiunto l’Italia stante l’insicurezza del territorio libico; di temere, in caso di rientro in Senegal, di non sapere cosa fare nè dove e come vivere.

3. A fondamento della decisione il Tribunale, premessa la credibilità del racconto, ha rilevato che non erano stati addotti o allegati fattori di persecuzione riconducibili al novero dei motivi persecutori elencati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, nè era stato mai paventato il rischio di subire, in caso di rientro in Senegal, una delle forme di danno grave alla persona tipizzate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per il riconoscimento della protezione sussidiaria; ha sottolineato, inoltre, che in Senegal non era ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato o internazionale tale da porre in pericolo la incolumità della popolazione civile per il solo fatto di soggiornarvi, nè che erano emersi peculiari profili di vulnerabilità individuale del richiedente nè un sufficiente livello di integrazione in Italia.

4. Avverso il provvedimento del Tribunale A.D. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo.

5. Il Ministero dell’Interno si è costituito al solo fine dell’eventuale

partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico articolato motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, per essere stato omesso un adeguato ed approfondito esame in ordine all’accertamento delle esigenze di carattere umanitario. In particolare, per non essere stata attribuita, dai giudici del merito, nessuna rilevanza alla circostanza per la quale egli non aveva più alcun riferimento parentale nel paese di origine; per essere stato totalmente ignorato il lungo periodo di permanenza in Libia dallo stesso trascorso prima dell’approdo in Italia e, infine, per non essere stato valutato l’alto grado di integrazione nel nuovo contesto di riferimento in considerazione della frequentazione con ottimi risultati dei corsi di lingua italiana, con regolare iscrizione nelle liste dei centri per l’impiego della Provincia di Roma.

2. Il ricorso è inammissibile.

3. I punti denunciati sono stati presi in considerazione dal provvedimento impugnato che ha affermato, proprio con riguardo alla protezione umanitaria, dopo avere analizzato la situazione familiare vissuta in Senegal e quella attuale di non sufficiente integrazione in Italia, che il rimpatrio non sarebbe stato idoneo a violare i diritti fondamentali del richiedente e a imporre a quest’ultimo una regressione ad una condizione nella quale non gli sarebbe stata consentito il godimento del nucleo essenziale dei diritti fondamentali, laddove la sua condizione sul territorio italiano non gli consentiva di vivere da solo (il richiedente, infatti, viveva presso un centro).

4. Ne consegue che le censure – anche con riferimento alla dedotta superficialità della valutazione del profilo della conseguita integrazione in Italia del richiedente – sono generiche: con il ricorso per cassazione, infatti, l’impugnante non può limitarsi a dissentire dalle ragioni offerte dai giudici di merito o a riproporre le tesi difensive già articolate nei precedenti gradi e motivatamente disattese, ma ha l’obbligo di articolare, a pena di inammissibilità, una critica effettiva, cioè puntuale ed argomentata, alle singole rationes decidendi che sostengono la decisione, risolvendosi, altrimenti, la doglianza nella proposizione di un “non motivo” (Cass. n. 22478 del 2018; Cass. n. 17330 del 2018).

5. Quanto, infine, alle dedotte violenza subite nei paesi di transito (nella fattispecie Libia), va osservato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza ei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, con la conseguenza che è onere del richiedente allegare e provare come e perchè le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani: e ciò non è ravvisabile nella censura dell’odierno ricorrente.

6. Alla stregua di quanto esposto deve essere, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

7. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’Amministrazione resistente svolto attività difensiva.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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