Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10873 del 08/06/2020

Cassazione civile sez. I, 08/06/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 08/06/2020), n.10873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16482/2017 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Palumbo, 3,

presso lo studio dell’avvocato Maria Visentin, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato ex

lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale

dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3578/2017 della Corte di appello di Roma

pubblicata il 29/05/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 04/11/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.M. ricorre in cassazione con quattro motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Roma ha rigettato l’impugnazione dal primo proposta avverso l’ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., del Tribunale di Roma che aveva, a sua volta, respinto il ricorso contro il provvedimento con cui la Commissione territoriale di Roma aveva rigettato le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella diversità delle rationes decidendi poste a base dei provvedimenti di merito adottati in primo e secondo grado.

Nel racconto reso alla competente Commissione territoriale, il ricorrente, originario del Senegal, dichiarava di aver raggiunto l’Italia attraverso la Libia, nel cui soggiorno era stato in prigione e torturato, riferendo di essersi dovuto allontanare dal Paese di origine dopo aver intrapreso, lui di religione musulmana, una relazione con una ragazza di religione cristiana che rimaneva incinta e tanto per sfuggire alla denuncia sporta alle Autorità dalla famiglia della donna per la necessità di salvaguardare l'”onore” violato ed in cui si adombrava che vi fosse stata una violenza sessuale ai danni della congiunta.

Il richiedente sarebbe stato nella impossibilità di contrarre matrimonio in ragione della invincibile opposizione dei propri familiari che erano giunti a torturarlo nella diffusa contrarietà, comune in Senegal, ai matrimoni misti.

A fronte delle indicate evidenze la motivazione della sentenza impugnata avrebbe travisato i contenuti del racconto là dove aveva attribuito al richiedente di non aver chiarito l’ipotesi di reato a lui addebitata, nel carattere consenziente della relazione con una ragazza maggiore di età.

Una lettura completa e congiunta del verbale delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione ed al Tribunale il 29.12.2016 e delle precisazioni compiute nell’atto di appello avrebbe consentito ai giudici di secondo grado di verificare l’esposizione del ricorrente al rischio di essere penalmente perseguito, portando quindi i primi ad entrare nel merito sullo stato di detenzione carceraria in Senegal in un diretto scrutinio del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Vi sarebbe stato travisamento anche alla base dell’affermazione della Corte di appello che il pericolo di essere arrestato sarebbe stato “un mero timore soggettivo” del richiedente non avendo egli neppure riferito di essere stato cercato dalle autorità di polizia.

D. aveva invece raccontato che quando era scappato lo “cercavano da tutte le parti” e, in ogni caso, la Corte di merito avrebbe dovuto confrontarsi circa la ragionevole possibilità che il richiedente potesse essere ricercato, essendo egli fuggito dal Senegal all’indomani dagli eventi.

Con ulteriore travisamento la Corte di appello avrebbe poi escluso che D. non avesse mai riferito di temere l’uccisione da parte dei propri genitori.

Il motivo proposto è inammissibile per un duplice profilo.

Come chiarito da questa Corte, in tema di giudizio di cassazione, ove il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica, non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. 25/05/2015 n. 10749); con l’ulteriore effetto che là dove si verta in ipotesi di cd. doppia conforme quanto all’accertamento dei fatti, resta precluso il ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, giusta l’art. 348-ter c.p.c., u.c. (in termini, sull’ultima parte: Cass. 05/11/2018 n. 28174).

In applicazione degli indicati principi le dedotte reazioni dei familiari coinvolti nei fatti narrati e gli effetti della denuncia alle Autorità di polizia, ascritti i fatti nella ipotesi del cd. matrimonio misto, non integrano snodi decisivi della prova.

Comunque integrata la cd. doppia conforme, nei rapporti tra i provvedimenti di merito di primo e secondo grado, resta ferma la non deducibilità del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la nullità dell’impugnata sentenza nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per contrasto irriducibile tra affermazioni.

Poichè la Corte di merito non aveva creduto alla storia della denuncia, il successivo argomento, pure utilizzato in sentenza, in cui si richiamava il venir meno del disvalore sociale dei fatti narrati nel maturato decorso del tempo, avendo il richiedente lasciato il Senegal nel (OMISSIS) ed avendo la ragazza partorito un maschietto, sarebbe rimasto senza spiegazione e le due proposizioni sarebbero state tra loro inconciliabili. Del pari la circostanza che (OMISSIS), luogo di provenienza del ricorrente, fosse una grande città e non un villaggio sito in area rurale sarebbe stata evidenza non chiarita, nella sua rilevanza rispetto ai racconto, in sentenza.

Il motivo è manifestamente infondato.

Sussiste il vizio di assenza della motivazione, di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, allorchè la sentenza sia nulla per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili e ragioni poste a base della decisione e non consentono alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. 25/06/2018 n. 16611; Cass. 17/05/2018 n. 12096).

Le affermazioni che si vorrebbero tra loro, secondo deduzione difensiva, in un rapporto di irriducibile contrasto non sono capaci di sostenere la dedotta nullità non segnalando nessuna inconciliabilità.

L’argomento che il passaggio gel tempo avrebbe inciso sui fatti narrati, escludendone il rilievo, non vale infatti a sostenere di questi ultimi la credibilità, ma segna una ulteriore ragione, destinata ad operare su di un distinto e più generale piano, rispetto a quello della diretta verosimiglianza di quanto narrato, che vuole, secondo comune esperienza, che ogni avvenimento, anche grave, resti superato al mero decorso del tempo.

Nè si segnala dal ricorrente alcuna rilevante omissione là dove la Corte di appello, richiesta in quel grado di contestualizzare il racconto per apprezzarne la credibilità ha debitamente sottolineato che il ricorrente proveniva da una grande città e non da un’area rurale.

3. Con il terzo motivo si deduce dal ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3 e quanto alle condizioni carcerarie del Senegal nei termini di cui all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, ancora, quanto alla protezione umanitaria lamentando vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di merito dopo aver svolto inconferenti ed errate valutazioni sulla ricostruzione dei fatti di causa avrebbe ritenuto superflua la disamina delle condizioni delle carceri in Senegal.

Nella valutazione degli estremi per il riconoscimento della protezione umanitaria la Corte di appello, travisando il certificato medico prodotto, avrebbe attribuito le cicatrici riportate dal richiedente al periodo successivo al suo allontanamento dal Senegal e non alle violenze subite da parte dei genitori.

Anche ove le torture fossero state poste in essere in Libia, tanto non avrebbe escluso la sussistenza di quei gravi motivi di carattere umanitario richiamati dall’art. 5, comma 6, cit..

3.1. Il primo profilo del motivo di ricorso è inammissibile perchè, generico, non si confronta con l’impugnata sentenza nella parte in cui, esclusa la credibilità del racconto, la Corte di merito, correttamente, ritiene non rilevante ai fini della decisione di verificare D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), le condizioni carcerarie del Senegal.

3.2. Del pari quanto alle torture sofferte dal richiedente, esclusa, con ragionamento che non viene attinto con il proposto ricorso, la riconducibilità degli esiti cicatriziali riportati sul corpo alla condotta dei genitori – che avrebbero legato il ricorrente per impedirgli gli incontri con la ragazza cristiana -, l’ulteriore ragionamento sviluppato dai giudici di appello che ascrivono quelle cicatrici alle condotte violente subite dal primo nel paese di transito, la Libia, per poi dedurne la non rilevanza al fine di ritenere una condizione di vulnerabilità che avrebbe pregiudicato la possibilità per D. di far rientro nel proprio Paese e di esercitarvi i propri diritti fondamentali, resta del pari non puntualmente censurato.

Il motivo di ricorso non segnala, innanzitutto, con carattere di autosufficienza di aver sottoposto identica questione alla Corte di merito, mancando di allegare di aver tempestivamente dedotto in quel grado l’indicata circostanza al fine dell’ottenimento della protezione umanitaria.

La deduzione portata dinanzi a questa Corte è in poi in ogni caso incompleta là dove manca di valorizzare la vulnerabilità che da quelle condotte sarebbe derivata al richiedente protezione.

Ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo sono potenzialmente idonee ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona in quanto eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, circostanza che, come tale, deve essere pienamente dedotta dal richiedente ad integrazione della indicata condizione (arg. ex Cass. n. 13096 del 15/05/2019).

4. Con il quarto motivo il ricorrente fa valere la nullità della sentenza impugnata per violazione del potere ufficioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8 e della direttiva 2004/83/CE in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte di appello non avrebbe motivato il rigetto della istanza di ammissione, in secondo grado, dell’interrogatorio del ricorrente nonostante la necessità da questi rappresentata ed avrebbe fatto illegittima applicazione del principio dispositivo omettendo di attivarsi ufficiosamente.

Il motivo è inammissibile.

Come da questa Corte affermato, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass. 07/02/2018 n. 3003; Cass. 21/11/2011 n. 24544).

La Corte di appello in applicazione dell’indicato principio, in cui il carattere ufficioso dell’accertamento rimesso al giudice del merito in materia di protezione internazionale si compone con il carattere dispositivo del processo civile, ha rilevato la natura generica della sollecitata nuova audizione non ancorata, come tale, a specifiche circostanze ed il ricorso reiterando l’originaria censura propone una critica non ammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (ex multis: Cass. 24/09/2018 n. 22478).

5. Il ricorso, in via conclusiva, è inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2020

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