Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10865 del 25/05/2016

Civile Sent. Sez. 2 Num. 10865 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: SCARPA ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 17156-2011 proposto da:
A.A.

– ricorrente contro
CONDOMINIO LA TERRAZZA DI VIA DOMENICO
CIMAROSA 36, 38, 40, SAN SISTO, PERUGIA, 94038980549, in
persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato

in

ROMA, VIA LUODO VISI 35, presso lo studio dell’in , volato

Data pubblicazione: 25/05/2016

MASSIMO LAURO, rappresentato e difeso unitamente all’avvocato
RICCARDO ROSSI;
– contraricortente avverso la sentenza n. 211/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito l’Avvocato Corbyrons per delega del’Avvocato Rampini;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
IGNAZIO PATRONE, che ha concluso per l’accoglimento del primo
motivo di ricorso ed il rigetto degli altri

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 12-7-2006 Rosa Pia Searingella conveniva
in giudizio davanti al Tribunale di Perugia il Condominio La
Terrazza di Via Cimarosa, nn. 36/38/40 di Perugia – S. Sisto, del
quale era condomina. La ricorrente chiedeva l’annullamento di
alcune delle delibere adottate dall’assemblea straordinaria
condominiale alla riunione del 29-6-2006.
In particolare, si deduceva l’invalidità:
a) della delibera con cui l’assemblea, in relazione alla questione
degli interventi eseguiti dai condomini di propria iniziativa sui beni
comuni, aveva deliberato che “nessun condomino si debba più
sentire autorizzato, a partire da questa assemblea, ad intervenire
direttamente sulle questioni condominiali in nome proprio
sostituendosi all’amministratore”: tale delibera era illegittima sia
perché la materia non era ricompresa nell’ordine del giorno, e su di
essa due condomini, fra i quali la stessa ricorrente, non avevano

Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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PERUGIA, depositata il 30/03/2011;

accettato il contraddittorio; sia perche

“abrogava”,

cioè

“disapplicava”, gli artt. 1110 e 1134 c.c.; aggiungendo che
nell’occasione essa era stata fatta oggetto di “gravi e reiterate
ingiurie” da parte di uno dei condomini e dell’ amministratore;

chiarimenti dell’amministratore”), con la quale l’assemblea, atteso
che alcuni condomini chiedevano di sapere quali lavori fossero stati
eseguiti perche l’ingegnere B.B. potesse chiedere parcelle cosi
elevate, aveva deliberato “di nominare i signori Magara, Gionangeli
e Cadoni affinché verifichino l’operato dell’ingegnere e cerchino un
accordo sulla parcella da pagare con uno sconto non inferiore a
1.000, 00 euro “: questa delibera era in contraddizione irreparabile
con la delibera adottata dall’assemblea alla riunione del 2-5-2006,
che aveva approvato il rendiconto consuntivo 2005, nel quale
figuravano tutte le somme vantate dall’ingegner B.B. per i
lavori eseguiti all’ interno del Condominio, che però, come dedotto
dalla medesima ricorrente A.A. nell’impugnativa proposta in
separato giudizio contro detta delibera, non erano stati fatti oggetto
di alcuna rituale approvazione né ratifica, ratifica che non poteva
ritenersi intervenuta neppure con la delibera oggetto del!’ attuale
impugnativa;
c) delle delibere adottate relativamente ai punti 5 (“Aree verdi:
comunicazioni dell’amministratore e delibere consequenziali, e 6
(“Disinfestazione e derattizzazione: delibere consequenziali,
dell’o.d.g.: ciò perché nel verbale non erano indicati “distintamente
… i soggetti votanti (a favore, contro e/o astenuti)” in violazione.
dell’art. 1136 c.c.; e le delibere erano poi “generiche, dato che i
condomini – di fatto – delegano ogni potestà decisionale (anche
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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b) della delibera, relativa al punto 2 dell’o.d.g. (“Pratica ing. B.B.:

relativamente alle non irrisorie – conseguenti – spese)
all’amministratore”, laddove, quanto in particolare alle aree verdi,
le stesse risultavano acquisite al Comune, sicché nessuna spesa
doveva essere posta a carco del Condominio.
II Condominio La Terrazza si costituiva in giudizio chiedendo il

Con sentenza 16-5-2008 il Tribunale di Perugia rigettava
l’impugnativa, condannando la ricorrente al rimborso delle spese
processuali sostenute da controparte.
A.A. proponeva appello e la Corte d’Appello di
Perugia, con sentenza n. 211/2011 del 30 marzo 2011, rigettava il
gravame. In sintesi, la Corte del merito negava l’eccezione di nullità
della procura rilasciata al proprio difensore dall’amministratore del
condominio appellato, stante la legittimazione processuale di questo
ex art. 1131, comma 2, c.c. Quanto poi alla delibera prima riportata
sub a), la Corte di Perugia affermava che si trattasse di decisione
assembleare priva di ogni effetto giuridico. Circa la delibera sub b),
si esponeva dai giudici dell’appello che nulla impediva
all’assemblea di tentare di avere uno sconto dal creditore, pur dopo
aver ratificato il relativo impegno di spesa. Per la delibera sub c), la
Corte d’appello dichiarava l’inammissibilità dell’appello per la sua
genericità e, valutata parimenti l’inammissibilità di altre censure,
affermava che i contratti ivi menzionati rientrassero nell’ordinaria
amministrazione, e quindi nelle attribuzioni dell’amministratore.
Non era infine provato che le aree verdi fossero passate in proprietà
al Comune.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia A.A. propone ricorso articolato in sette motivi, cui resiste con
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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rigetto dell’ impugnativa.

controricorso il Condominio La Terrazza. La ricorrente ha
presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso di A.A. deduce la
violazione o errata applicazione, degli artt. 1131, comma 2 e 3,

temporis), in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. Si insiste sulla nullità
della procura alle liti rilasciata dall’amministratore del Condominio
La Terrazza al proprio difensore, per la mancanza di preventiva
deliberazione assembleare di costituzione in giudizio dell’ente, con
la quale si doveva anche scegliere l’avvocato, e ciò al fine
dell’eventuale espressione di dissenso alla lite da parte dei
condomini. Questione, quella posta, che si precisa essere cosa
diversa da quella della legittimazione passiva dell’amministratore.
Il secondo motivo censura la violazione o errata applicazione, degli
artt. 1136, 1134, 1110 c.c. e 66 disp. att. c.c. Ci si riferisce alla
deliberazione che impediva ai condomini di intervenire direttamente
sulle questioni condominiali, manifestazione di volontà assembleare
lesiva dei poteri di iniziativa di ciascun partecipante di provvedere
alla cura dei beni comuni e non preventivata nell’ordine del giorno
comunicato.
Il terzo motivo censura la violazione o errata applicazione, degli
artt. 1136 e 1135 c.c., con riguardo alla pratica antincendio curata
dall’Ingegner B.B.. Si afferma che l’incarico all’ingegnere
era stato dato dall’amministrator in difetto di vaglio assembleare, e
che la deliberazione del 2-5-2006, impugnata in altro giudizio, non
valesse quale ratifica dell’operato dell’amministratore, e tanto meno
valesse come ratifica la delibera del 29-6-2006, oggetto di questo
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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1136, comma 2 e 4, c.c. (nella formulazione applicabile ratione

giudizio, con la quale i condomini avevano, piuttosto, chiesto lumi
al professionista in merito ai lavori espletati.
Il quarto motivo di ricorso sostiene la violazione o errata
applicazione dell’art. 1136 c.c., in quanto il verbale dell’assemblea

specificare le singole manifestazioni di voto e il relativo valore
inillesimale.
Il quinto motivo allega la violazione o errata applicazione dell’art.
1136 c.c., in quanto l’appalto dei servizi di manutenzione del verde
condominiale, e di derattizzazione e disinfestazione delle aree
comuni, involgono contratti rientranti nella straordinaria
amministrazione, in relazione al loro impegno economico
“importante e continuativo”, e perciò esorbitanti rispetto alle
attribuzioni dell’amministratore. Illegittima sarebbe quindi la
deliberazione del 29 giugno 2006 che, sul punto, dava generico
mandato all’amministratore di provvedere all’occorrenza.
Il sesto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. Si
afferma dalla ricorrente che la Corte d’appello avrebbe riconosciuto
che il Tribunale era incorso in un vizio di omessa pronuncia, ma vi
avrebbe posto rimedio mediante diretta delibazione sul punto,
violando il principio del doppio grado di giudizio.
Il settimo motivo di ricorso censura la violazione o errata
applicazione degli artt. 287 e ss. c.p.c. Si contesta che controparte
abbia posto in esecuzione la sentenza di secondo grado recante un
errore in dispositivo circa la data della pronuncia di primo grado
(indicata come “16-05-06” in luogo di “16-05-08”), senza aver
provveduto alla necessaria correzione, con conseguente nullità per
contrasto tra dispositivo e motivazione.
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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del 29 giugno 2006 indicava il numero dei votanti a favore senza

Il primo motivo di ricorso è del tutto infondato.
L’art. 1131, comma 2, c.c. afferma che l’amministratore può essere
convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti
comuni dell’edificio.

Nel ricostruire la portata di questa

sez. un. 6 agosto 2010, n. 18331, circa la regola della necessità
dell’autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in
giudizio dell’amministratore, ha precisato come tale autorizzazione
o ratifica occorra soltanto per le cause che esorbitano dalle
attribuzioni dell’amministratore, ai sensi dell’art. 1131, commi 2 e 3,
c.c., sicchè essa non necessita, sussistendo al riguardo autonoma ed
incondizionata legittimazione dell’amministratore, per i giudizi che
abbiano ad oggetto l’esecuzione di una deliberazione assembleare o,
come nel caso in esame, la resistenza all’impugnazione di una
delibera proposta da un condomino (vedi anche Cass., 25 ottobre
2010, n. 21841). L’amministratore di condominio è, in sostanza,
legittimato passivo nel giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c., in
quanto, nel compito di eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei
condomini, affidato all’amministratore dall’art. 1130, n.1, c.c. – per il
cui espletamento nel successivo art. 1131 gli è riconosciuta la
rappresentanza in giudizio del condominio -, è implicitamente
ricompreso quello di difendere la validità delle delibere in relazione
alla regolarità delle assemblee in cui le stesse furono adottate. Ciò
significa che per questo giudizio non occorre che l’amministratore si
munisca di autorizzazione dell’assemblea per resistere nella lite, né
che l’assemblea dia mandato all’amministratore per conferire la
procura “ad litem” al difensore, che, quindi, lo stesso amministratore
ha il potere di nominare. La questione della legittimazione passiva
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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disposizione, Cass. 23 gennaio 2014, n. 1451, richiamandosi a Cass.

dell’amministratore, dunque, a differenza di quanto sostenga la
ricorrente, è logicamente connessa a quella della necessità
dell’approvazione assembleare della nomina dell’avvocato cui dare
mandato per la costituzione del condominio. Sicché deve

l’amministratore di un condominio, per conferire procura al
difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che non
esorbitano dalle sue attribuzioni, agli effetti dell’art. 1131, comma 2
e 3 c.c. (quale, nella specie, la resistenza all’impugnazione di una
delibera proposta da un condomino), non ha bisogno
dell’autorizzazione dell’assemblea dei condomini, ed un’ eventuale
delibera sul punto avrebbe il significato di mero assenso alla scelta
già validamente effettuata dall’amministratore (cfr. Cass. 3 dicembre
1999, n. 13504; Cass. 26 novembre 2004, n. 22294).
Anche il secondo motivo non è fondato. La deliberazione adottata,
riportata in sentenza nel senso che stabilisse che “nessun condomino
si debba più sentire autorizzato, a partire da questa assemblea, ad
intervenire direttamente sulle questioni condominiali in nome
proprio sostituendosi all’amministratore”, non risulta in modo
alcuno espressione di una volontà assembleare contraria alla legge
o al regolamento, agli effetti dell’art. 1137 c.c. Al riguardo, la Corte
d’Appello di Perugia ha sottolineato che a suo dire si tratta di
delibera “priva di ogni effetto giuridico. L’assemblea dei condomini,
essendo meramente esemplificativo l’elenco delle attribuzioni ad
essa riconosciute dall’art. 1135 c.c., può certamente deliberare,
quale organo destinato ad esprimere la volontà collettiva dei
partecipanti, qualunque provvedimento, anche non previsto dalla
legge o dal regolamento di condominio, sempreché non si tratti,
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016

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conclusivamente affermarsi, quanto al primo motivo di ricorso, che

però, di provvedimenti volti a perseguire una “finalità
condominiale”. L’interesse all’impugnazione di una deliberazione
dell’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1137 c.c., postula,
peraltro, che la stessa delibera appaia idonea a determinare un

gestione, suscettibile di eventuale pregiudizio. Nel caso in esame,
l’espressione adoperata dall’assemblea risulta meramente
ricognitiva del sistema ripartito di attribuzioni tra singoli
partecipanti, assemblea ed amministratore nella disciplina
condominiale. Nel senso che né l’assemblea, né tanto meno i singoli
condomini possono espropriare l’amministratore delle sue essenziali
mansioni gestorie e rappresentative stabilite dall’art. 1130 c.c., e ciò
in ragione innanzitutto della tutela dei terzi che entrano in contatto
col condominio. Né ai singoli condomini, a differenza di quanto
avviene in tema di mandato, è dato di compiere direttamente l’affare
di competenza dell’amministratore, come invece generalmente si
prevede negli artt. 1722, n. 2), e 1724 c.c. Proprio l’art. 1134 c.c.
(nella formulazione qui applicabile ratione temporis), invocato dalla
ricorrente, conferma quello che il senso della dichiarazione
verbalizzata dall’assemblea 29 giugno 2006 del Condominio La
Terrazza. I limiti posti dall’art. 1134 c.c. alla facoltà del condomino
di affrontare spese per le cose comuni (ovvero di assumerne la
gestione, come dice il testo riformato dalla legge n. 220/2012),
senza alcuna autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea,
trovano la loro spiegazione proprio nell’esigenza di evitare dannose
interferenze del singolo condomino in forma di amministrazione
parcellizzata delle cose comuni, dovendosi esprimere il concorso dei
distinti proprietari alla gestione delle cose comuni essenzialmente in
Rtc. 2011 n. 17156 sez, 52 – ud. 20-04-2016
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mutamento della posizione dei condomini nei confronti dell’ente di

forma assembleare. Nella parte qui in considerazione, la delibera
rivelava, quindi, un contenuto non decisionale, quanto meramente
programmatico, cadendo su un argomento così generico che neppure
può ritenersi andava indicato nell’ordine del giorno dell’adunanza:
per la presenza informata dei condomini ad un’assemblea

adottata (artt. 1139 e 1105, comma 3, c.c.; ora art. 66, comma 3,
disp. att., c.c.), è sufficiente che nell’avviso di convocazione della
medesima gli argomenti da trattare siano indicati nell’ordine del
giorno, seppur specificamente, ma nei termini essenziali per esser
comprensibili, così da consentire una partecipazione consapevole
alla relativa deliberazione (tra le tante, Cass. 19 ottobre 2010, n.
21449).
Pertanto, l’eventuale adozione da parte dell’assemblea dei
condomini di una deliberazione su contenuti generici e
programmatici, come nella specie quella meramente ricognitiva del
riparto normativo di attribuzioni tra singoli partecipanti,
amministratore ed assemblea, seppur non rientrante tra gli argomenti
posti all’ordine del giorno inserito nell’avviso di convocazione, non
comporta l’annullabilità della stessa delibera, trattandosi di
contenuti non suscettibili di una preventiva specifica informativa dei
destinatari della convocazione e comunque costituenti possibile
sviluppo della discussione e dell’esame di ogni altro punto all’ordine
del giorno.
E’ infondato anche il terzo motivo. Va premesso, ai fini
dell’osservanza del disposto di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c.
il quale richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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condominiale al fine della conseguente validità della delibera

posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa
delimitazione del “thema decidendum”, come il contenuto della cd.
“pratica antincendio” curata dall’ingegnere B.B. e del relativo
deliberato dell’assemblea 29.6.2006, impugnato in questo giudizio,

relativo motivo, oppure dalla sentenza impugnata. L’infondatezza di
tale terza censura discende innanzitutto dal preambolo noto secondo
cui il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere delle
assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del
merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea
esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve
limitarsi al riscontro della legittimità. Non è allora suscettibile di
controllo da parte del giudice, attraverso l’impugnativa di cui all’art.
1137 c.c., la decisione dell’assemblea condominiale che – atteso il
carattere meramente esemplificativo delle attribuzioni riconosciutele
dall’art. 1135 c.c. — proceda alla nomina di una commissione
ristretta di condomini con l’incarico di verificare l’operato di un
tecnico già nominato dal condominio, ovvero dall’amministratore
dello stesso, e di proporre una definizione transattiva sull’importo
della parcella pretesa dallo stesso per la sua prestazione, ben
potendo l’assemblea esprimere la volontà collettiva dei partecipanti
mediante qualsiasi tipo di provvedimento, seppur non previsto dalla
legge o dal regolamento di condominio, purchè non volto a
perseguire una finalità extracondominiale (cfr. Cass. 6 marzo 2007,
n. 5130). E ciò, come ha opportunamente osservato la Corte
d’Appello di Perugia, indipendentemente dal fatto che questa
delibera valesse o comunque presupponesse una ratifica assembleare
dell’operato dell’amministratore, il quale aveva conferito l’incarico
Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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possa trarsi soltanto della narrativa che precede la formulazione del

al tecnico. Deve solo qui ulteriormente ribadirsi il principio,
affermato da questa Corte, secondo cui, pure con riguardo alle spese
di manutenzione ordinaria o straordinaria delle cose comuni, che
l’amministratore del condominio abbia effettuato senza preventiva

all’assemblea di approvare successivamente le spese medesime,
disponendone il rimborso, trattandosi di delibera comune
riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall’art. 1135 c.c. (Cass.
4 giugno 1992, n. 6896); di tal che vieppiù va ritenuto consentito
all’assemblea, in presenza di spese di manutenzione derivanti da un
incarico conferito dall’amministratore ad un professionista,
l’adozione di una delibera in cui si chieda conto dell’operato del
tecnico e si richieda una riduzione del compenso da questo stesso
preteso.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile. La ricorrente
A.A., con esso, censura la violazione o falsa applicazione
dell’art. 1136 c.c., ritenendo meritevole di annullamento la
pronuncia della Corte territoriale circa l’omessa indicazione nella
delibera del 29.6.2006 del numero, dei nominativi e delle quote
millesimale dei votanti a favore. La Corte d’Appello, però, quanto
alla censura della pronuncia di primo grado sulla “questione dei
millesimi e dei nominativi dei votanti”, ha dichiarato inammissibile
il gravame per la sua genericità, essendosi sul punto limitato
l’appellante all’impiego dell’avverbio “infondatamente”. Avendo,
allora, il giudice d’appello dichiarato inammissibile il relativo
motivo di gravame, ritenendolo privo di specificità, la A.A.,
al fine di impedire il passaggio in giudicato della relativa

Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
-12-

approvazione del relativo progetto, deve sempre ritenersi consentito

statuizione, aveva l’onere di denunziare l’errore in cui fosse incorsa
la sentenza gravata e di dimostrare che il motivo d’appello, ritenuto
non specifico, aveva invece i requisiti prescritti dell’art. 342 c.p.c.
La ricorrente non ha proposto censura sulla dichiarazione di
inammissibilità del motivo d’appello, ma ha denunziato per

primo grado ed ignorata dal secondo giudice per genericità del
motivo d’appello, rimanendo così inammissibile la censura pretesa
in sede di legittimità a fronte del giudicato determinatosi.
Il quinto motivo di ricorso è infondato. Vi si allega che l’appalto dei
servizi di manutenzione del verde condominiale, nonché di
derattizzazione e disinfestazione delle aree comuni, involgono
contratti rientranti nella straordinaria amministrazione, e perciò
sarebbe illegittima la deliberazione che dava generico mandato
all’amministratore al riguardo. La Corte d’Appello ha ritenuto che si
trattasse di contratti che “rientrano chiaramente nell’ordinaria
amministrazione, in quanto tendono alla conservazione delle cose
comuni, e quindi nella competenza dell’amministratore”, sicché la
delibera sarebbe valsa soltanto come “sollecitazione” a quest’ultimo
a provvedere ad atti di sua competenza. E’ noto che i contratti
conclusi dall’amministratore nell’esercizio delle sue funzioni ed
inerenti alla manutenzione ordinaria dell’edificio ed ai servizi
comuni essenziali, ovvero all’uso normale delle cose comuni, sono
vincolanti per tutti i condomini in forza dell’art. 1131 c.c., nel senso
che giustificano il loro obbligo di contribuire alle spese, senza
necessità di alcuna preventiva approvazione assembleare delle
stesse, intervenendo poi tale approvazione utilmente in sede di

Rie. 2011 n. 17156 sez, 52 ud. 20-04-2016
-13-

violazione di legge la questione di merito affrontata dal giudice di

consuntivo (Cass. 18 agosto 1986, n. 5068). L’elemento distintivo
dell’ordinaria amministrazione dell’obbligazione assunta, come tale
sottratta al presupposto autorizzativo dell’assemblea, risiede,
pertanto, al pari di quanto si sostiene per le amministrazioni

rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni
comuni. Mentre, solo laddove si verta in ipotesi di spese che,
seppure dirette alla migliore utilizzazione di cose comuni o imposte
da sopravvenienze normative, comportino per la loro particolarità e
consistenza un onere economico rilevante, superiore a quello
normalmente inerente alla gestione, l’iniziativa contrattuale dello
stesso amministratore, senza la preventiva deliberazione
dell’assemblea, non è sufficiente a fondare l’obbligo dei singoli
condomini, salvo che non ricorra il presupposto dell’urgenza
contemplato nella fattispecie di cui all’art. 1135, comma 2, c.c. La
ricorrente A.A. sostiene che si fosse in presenza di “onerosi
contratti”, comportanti un “importante e continuativo impego
economico”, ma nulla di più specifico indica circa il contenuto
concreto di tali contratti, come impostole dall’art. 366, comma 1, n.
6), c.p.c., quanto meno al fine di contrastare l’accertamento di
ordinarietà della spesa, operato in senso opposto dalla Corte di
merito.
Il sesto motivo di ricorso è del tutto infondato. La ricorrente si
lamenta che la Corte d’appello, dopo aver preso atto che il Tribunale
era incorso in un vizio di omessa pronuncia, abbia poi provveduto al
riguardo, violando il principio del doppio grado di giudizio. Questa
censura trascura l’orientamento assolutamente consolidato di questa

Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
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commerciali, nella normalità dell’atto di gestione condominiale

Corte in ordine alla tassatività delle ipotesi previste dall’art. 354
c.p.c., sicchè il giudice di appello non può certo rimettere la causa al
giudice di primo grado che abbia omesso di provvedere su una
domanda o su un’eccezione, e deve, piuttosto, pronunciare sulla

2005, n. 13892).
Pure l’ultimo motivo del ricorso di A.A. non
presenta alcun elemento di fondatezza. Si ipotizza una violazione o
errata applicazione degli artt. 287 e ss. c.p.c., perché la sentenza
impugnata resa dalla Corte d’Appello recava un errore in dispositivo
circa la data della pronuncia di primo grado (indicata come “16-0506” in luogo di “16-05-08”), errore non corretto ai sensi degli artt.
287 e ss. c.p.c., sicchè ora la sentenza sarebbe nulla per contrasto tra
dispositivo e motivazione. Certamente la Corte di cassazione non
può correggere errori materiali contenuti nella sentenza d’appello
resa dal giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta l’istanza di
correzione, anche dopo la presentazione del ricorso per cassazione
(cfr. Cass. 27 luglio 2001, n. 10289). E’ poi evidente che sussiste
contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, che determina la
nullità della sentenza, solo quando il provvedimento risulti inidoneo
a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e,
conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto, il che certamente
non avviene quando nel dispositivo della sentenza d’appello sia
indicato erroneamente l’anno della sentenza di primo grado
confermata, anno correttamente, invece, indicato in motivazione.
Consegue il rigetto del ricorso.

Ric. 2011 n. 17156 sez. 52 – ud. 20-04-2016
-15-

medesima (cfr. Cass. 1 dicembre 2000, n. 15373; Cass. 28 giugno

Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo
soccombenza e liquidate in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al
controricorrente le spese sostenute in questo giudizio, che liquida in
complessivi E 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre a spese
generali e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 aprile 2016.

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