Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10865 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 23/04/2021, (ud. 17/12/2019, dep. 23/04/2021), n.10865

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 640/2016 proposto da:

K.Z., domiciliata ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato FABRIZIO

ZARONE;

– ricorrente –

contro

CASKE DI C. F. & C S.A.S., IN LIQUIDAZIONE, in persona del

liquidatore e legale rappresentante M.A.V.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 11, presso

lo studio dell’avvocato MASSIMO TIRONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAURIZIO CARUGNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 161/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 23/12/2014 R.G.N. 426/2012.

 

Fatto

RILEVATO

che il Tribunale di Isernia, con la sentenza n. 234/2011 depositata 23.11.2011, ha rigettato il ricorso proposto da K.Z., nei confronti di Caske di C.P. & C. S.a.s. in liquidazione, diretto ad ottenere, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 14.6.2002 ed il 10.12.2003, il pagamento della complessiva somma di Euro 26.453,87 a titolo di retribuzioni, lavoro straordinario, tredicesima e quattordicesima mensilità e T.F.R., oltre interessi legali e rivalutazione monetaria; che la Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 23.12.2014, ha respinto il gravame interposto dalla lavoratrice avverso la pronunzia del primo giudice;

che per la cassazione della sentenza ricorre K.Z. articolando due motivi;

che la Caske di C.P. & C. S.a.s. in liquidazione resiste con controricorso;

che sono state comunicate memorie nell’interesse della K.;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dei principi sulle prove e dell’art. 116 c.p.c., circa la prova della mancata corresponsione della retribuzione, della durata della prestazione lavorativa e dell’effettivo impegno lavorativo in termini di giorni ed ore, ed in particolare, si lamenta che, al riguardo, la motivazione della Corte di merito sia del tutto apparente, avendo operato esclusivamente un richiamo acritico alla motivazione di primo grado, senza fornire alcuna risposta concreta alle articolate censure mosse dalla parte appellante alla pronunzia del primo giudice, sia in ordine al valore probatorio delle buste paga non sottoscritte dalla lavoratrice, sia circa la non attendibilità dei testi escussi; 2) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c.; artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non provata la sussistenza del rapporto di lavoro nei termini descritti dalla K., nonchè la mancata retribuzione da parte della datrice di lavoro;

che il primo motivo è fondato, poichè la motivazione della sentenza oggetto del presente giudizio è del tutto apparente, secondo quanto di seguito specificato. Al riguardo, è da premettere che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 23.12.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

che, nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale indica (v., in particolare, pagg. 5 e 6 del ricorso) il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che è stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello ha omesso di esaminare; ed inoltre fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. Ed invero, la motivazione della sentenza impugnata, che consta di poche righe, si limita a “fare proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice, ritenute tutte condivisibili” e ad affermare che “non è fondato l’assunto di parte appellante relativamente, in particolare, alla sussistenza della prova dei propri assunti”, senza prendere in esame alcuno dei motivi di gravame e senza dare conto delle ragioni della conferma della pronunzia di prima istanza (v., tra le altre, Cass. n. 28139/2018); pertanto, la stessa risulta obiettivamente incomprensibile e presenta, altresì, le evidenti lacune argomentative denunziate dalla ricorrente, in particolare, in ordine agli elementi delibatori (testimonianze assunte; valore delle buste paga prive della sottoscrizione della lavoratrice);

che, dunque, nelle scarne affermazioni della Corte di Appello mancano, all’evidenza, l’esistenza e la coerenza del percorso motivazionale (cfr., tra le molte, Cass. nn. 2220/2019; 25229/2015) – profili, questi, ancora sottoponibili al vaglio di legittimità -, al punto tale da rendere del tutto incomprensibile l’iter logico che ha condotto i giudici alla decisione oggetto del presente giudizio, posto che la sentenza di secondo grado presenta una motivazione del tutto apparente, come condivisibimente dedotto dalla ricorrente nell’articolazione del primo motivo;

che il secondo motivo risulta, all’evidenza, assorbito dalle considerazioni che precedono;

che per tutto quanto esposto, la sentenza va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Campobasso, in diversa composizione, che provvederà al riesame del merito, statuendo, altresì, sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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