Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10864 del 05/05/2010
Cassazione civile sez. II, 05/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 05/05/2010), n.10864
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27872/2004 proposto da:
C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZALE DELLE PROVINCE 11, presso lo studio dell’avvocato
D’URGOLO Filipo, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in
ROMA, LARGO R. LANCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DI MACCO
Giuseppe, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2144/2003 del TRIBUNALE di LATINA, depositata
il 11/12/2003;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
13/04/2010 dal Consigliere Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;
udito l’Avvocato D’URGOLO Filippo, difensore della ricorrente che ha
chiesto di riportarsi al ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il riGetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Per quello che ancora interessa in questa sede, con atto di citazione notificato in data 10 novembre 1984 S.R. conveniva C.M. davanti al Pretore di Latina, al fine di sentirlo condannare all’abbattimento del balcone dallo stesso realizzato a distanza non legale da una veduta esercitata da essa attrice.
Il convenuto contestava la fondatezza della domanda, che veniva accolta dal Pretore di Latina con sentenza in data 24 marzo 1996.
C.M. proponeva appello, che veniva rigettato dal Tribunale di Latina, con sentenza in data 11 dicembre 2003, in base alla seguente motivazione:
Dalla consulenza tecnica di ufficio espletata nel giudizio di primo grado è emerso che la distanza minima tra la finestra del bagno di proprietà della S. ed il balcone realizzato dal C. (in epoca successiva alla costruzione) è pari a mt. 2,10 …
Dalla documentazione non vi è alcuna prova che i fabbricati in questione costituiscano un condominio comune e comunque l’art. 907 c.c., in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute è applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio, non derogando l’art. 1102 c.c., al disposto del citato art. 907 c.c. (vedi in tal senso Cass. Civ. sez. 2^, 2.10.2000 n. 13012).
Il balcone de quo è stato realizzato dal C. in violazione della distanza minima legale di mt. 3 prevista dall’art. 907 c.c..
Il primo motivo dell’appello principale è pertanto infondato.
Per quanto riguarda il secondo motivo questo collegio osserva che rimane assorbito dal rigetto del primo.
Contro tale decisione C.M. ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi.
Resiste con controricorso S.R..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata in quanto del collegio decidente ha fatto parte un giudice onorario, il che, secondo quanto previsto dalle circolari del Consiglio Superiore della Magistratura P. 25138/03 e P. 892/04, non sarebbe consentito.
Il motivo è infondato, in quanto questa S.C. ha avuto occasione di affermare che è legittimamente composto il collegio giudicante del tribunale che sia integrato dalla partecipazione di un giudice onorario di tribunale (cfr. sent. 7 novembre 2008 n. 26812).
Con il secondo motivo del ricorso si. deduce che nella specie entrambi gli appartamenti delle parti in causa facevano parte dello stesso edificio condominiale, per cui, secondo la giurisprudenza di questa S.C., contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non trovavano applicazione le distanze legali di cui all’art. 907 cod. civ..
Il motivo è infondato, in quanto non vengono indicati gli elementi, acquisiti agli atti e trascurati dai giudici di merito, dai quali risultava che gli appartamenti di proprietà dei contendenti in causa avessero delle parti comuni ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., e non fossero semplicemente inseriti in edifici adiacenti.
Viene in tal modo superata la questione se nell’ambito degli edifici in condominio trovino o meno applicazione le distanze di cui all’art. 907 cod. civ..
Con il terzo motivo si deduce che quand’anche si volesse ritenere che nella specie le unità immobiliari di proprietà delle parti in causa sono ubicate in due distinti edifici, il Tribunale di Latina avrebbe omesso di considerare che a carico della proprietà dell’attrice si era venuta a determinare una servitù di veduta per destinazione del padre di famiglia, in quanto tutte le vedute … che esistono sul prospetto dell’edificio sono state realizzate dal costruttore, originario proprietario dell’intero edificio, per cui la trasformazione in balcone delle due finestre, non può considerarsi come aggravamento di servitù di veduta e, quindi, non incorre nel divieto di cui all’art. 1067 cod. civ..
Il motivo è inammissibile, in considerazione della novità della questione che ne costituisce l’oggetto, come risulta implicitamente dalla sentenza impugnata e dalla stessa esposizione del “fatto” contenuta nel ricorso.
In definitiva il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
PQM
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, ed oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2010