Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10859 del 04/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/05/2017, (ud. 05/10/2016, dep.04/05/2017),  n. 10859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano President – –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19225-2015 proposto da:

R.D.T.G., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA, emesso il

21/05/2014 e depositato il 04/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI MILENA;

udito l’Avvocato Riccardo Grossi, per i ricorrenti, che si riporta

agli scritti.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto reso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 – ter la Corte d’appello di Ancona respingeva l’opposizione proposta da G., + ALTRI OMESSI

Per la cassazione di tale decreto ricorrono gli opponenti, sulla base di tre motivi, cui ha replicato l’Amministrazione intimata con controricorso, contenente anche ricorso incidentale affidato a due motivi.

In prossimità della pubblica udienza l’Amministrazione ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorrenti censurano con il primo ed il secondo motivo la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3, nonchè degli art. 6 par. 1 CEDU e art. 640 c.p.c., commi 1 e 2, per avere la corte di merito scomposto la durata dell’unico processo presupposto in “segmenti” di pertinenza, rispettivamente, del de cuius e degli eredi, militando per la unitarietà del processo presupposto anche la recente modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012, della L. n. 89 del 2001, art. 4.

I ricorrenti insistono nella doglianza richiamando una recente pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite, la n. 19977 del 23.09.2014, che ha ritenuto che l’erede di un soggetto costituitosi parte civile in un processo penale abbia diritto alla equa riparazione anche in mancanza di una sua formale costituzione in giudizio.

Il ricorso principale è infondato.

Rileva il Collegio che in tema di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, questa Corte ha avuto modo di affermare che, in linea di principio, “in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo presupposto, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio dovuto al superamento del predetto termine, soltanto a decorrere dalla sua costituzione in giudizio. Ne consegue che qualora l’erede agisca sia iure haereditatis che iure proprio, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa” (Cass. n. 21646 del 2011).

E’ certo, quindi, che “qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta nel corso di un processo avente una durata irragionevole, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte; non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione” (Cass. n. 13083 del 2011; Cass. n. 23416 del 2009).

Una volta escluso che la sofferenza derivante dalla irragionevole protrazione del processo presupposto possa trasferirsi in capo all’erede puramente e semplicemente ai sensi dell’art. 110 c.p.c., non vi è ragione di ipotizzare che l’erede che non abbia in alcun modo manifestato nel giudizio presupposto la propria posizione, debba comunque soffrire in sostituzione del de cuius, in assenza di ogni prova in ordine alla stessa consapevolezza dell’erede della esistenza della posizione creditoria in capo al de cuius (Cass. n. 716 del 2014).

Non giova all’assunto dei ricorrenti la recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 585 del 2014, la quale, dirimendo un contrasto tra sezioni semplici in merito alla possibilità che il contumace nel processo presupposto possa far valere il diritto all’equa riparazione per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione ai fini della possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale tra parti costitute e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute. Infatti, si è osservato (Cass. n. 4004 del 2014; Cass. n. 1537 del 2015) che, al di là di una mera analogia ricavabile dall’assenza nel processo presupposto sia del contumace sia del chiamato all’eredità della parte originaria, le situazioni siano sostanzialmente differenti in quanto, il ribadito principio che presupposto ineliminabile per la legittimazione a far valere l’equa riparazione è l’incidenza che la non congrua durata del giudizio abbia su chi di quel giudizio sia chiamato a far parte, non può trovare applicazione sin tanto che il chiamato all’eredità non sia, quanto meno, evocato in riassunzione, atteso che fino a quel momento può mancare addirittura la prova dell’assunzione – per accettazione espressa o per facta concludentia -della stessa qualità di erede. Del resto, anche la citata decisione n. 585 del 2014 pone l’accento più sulla legittimazione del contumace alla proposizione del ricorso ex L. n. 89 del 2001 che sull’applicabilità allo stesso di quella che costituisce la caratteristica qualificante del diritto all’equo indennizzo – vale a dire l’automatismo probatorio relativo alla presunzione della sussistenza del danno per indebita durata del processo – allorquando riconosce che la mancata costituzione in giudizio del contumace possa influire anche sull’an debeatur.

Nello stesso solco si colloca la decisione n. 19977 del 2014, invocata dai ricorrenti, che ha affermato il principio secondo cui “il termine di durata dell’equo processo inizia a decorrere per gli eredi della parte deceduta costituitasi parte civile nel giudizio penale nel momento in cui gli stessi hanno avuto conoscenza del processo. In mancanza di prova di tale circostanza il termine di durata decorre dalla data del loro intervento in giudizio”, giacchè anche detta pronuncia, pur tenendo conto delle peculiarità del processo penale (c.d. principio di immanenza della parte civile costituita), attribuisce particolare rilievo al momento in cui gli eredi hanno avuto conoscenza dell’esistenza del processo per poter iniziare il paterna e l’interesse ad une rapida soluzione della controversia, che va in ogni caso allegato e documentato.

Infine, non può neanche sottacersi che nella recente sentenza – di irricevibilità – della Seconda Sezione della CEDU del 18 giugno 2013, in causa Fazio e altri c. Italia, si è affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto non conferisce, di per sè, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente maturata, durata eccessiva del medesimo e che l’interesse dell’erede alla conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire sull’esito dello stesso.

Nella specie risulta, quindi, logica e coerente la espunzione dal computo della durata complessiva del processo del tempo successivo al decesso del de cuius in cui gli odierni ricorrenti non hanno agito, in proprio.

Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, per avere la corte di merito ritenuto di fare applicazione in materia di equa riparazione della sospensione dei termini per il periodo feriale al termine decadenziale ivi previsto per la proposizione della domanda, trattandosi di termine sostanziale e non già processuale.

La censura è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affermare e di ribadire che poichè fra i termini per i quali la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, e ciò in applicazione dei dicta della Corte delle leggi (sentenze n. 40 del 1985, n. 255 del 1987, n. 49 del 1990 e n. 380 del 1992), detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (Cass. n. 5895 del 2009; conforme, Cass. n. 2153 del 2010; di recente, Cass. n. 5423 del 2016).

Nè giova sul punto la decisione delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 16783 del 2012, invocata dall’Amministrazione ricorrente, la quale ha affrontato la diversa questione della soggezione del diritto all’equo indennizzo per la durata irragionevole di un processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, alla prescrizione ordinaria ex art. 2946 c.c..

Con il secondo mezzo, formulato “in via alternativa e subordinata”, l’Amministrazione deduce la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non avere la Corte d’appello tenuto conto che il giudizio monitorio male si concilia con la “proroga dei termini” rappresentata dalla sospensione dei termini per il periodo feriale per le sue caratteristiche di speditezza ed urgenza.

Anche detta doglianza non può trovare accoglimento sol che si consideri che il principio sopra richiamato è stato da questa Corte affermato proprio in una controversia soggetta, ratione temporis, all’applicazione della L. n. 89 del 2001, come modificata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012.

In conclusione, deve essere rigettato sia il ricorso principale sia quello incidentale.

In considerazione della reciproca soccombenza, le spese del giudizio di legittimità vanno interamente compensate fra le parti.

Risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte, rigetta entrambi i ricorsi;

dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, della 6 – 2^ Sezione Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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