Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10858 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 23/04/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 23/04/2021), n.10858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16643 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui

uffici in Roma, via dei Portghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Confezioni 3M s.n.c. di R.M. e Co., in persona del

legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

e nei confronti di:

Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Basilicata n. 88/3/2013, depositata in data 8 maggio

2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 14 ottobre

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Confezioni 3M s.n.c. di R.M. e Co., a seguito di controllo automatizzato, una cartella di pagamento dei tributi dovuti per il periodo di imposta 2004; la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Basilicata ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che: nella fattispecie l’amministrazione finanziaria era tenuta a notificare alla società l’avviso di liquidazione previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis; la mancata notifica alla società dell’avviso di liquidazione non aveva consentito alla stessa di individuare con certezza l’esigibilità del credito azionato per la mancata indicazione nella cartella di pagamento del prospetto di calcolo delle imposte/ritenute e degli oneri accessori nonchè i crediti relativi ad anni precedenti da utilizzare in compensazione;

avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura;

la società e Equitalia Sud s.p.a. sono rimaste intimate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, per avere ritenuto che, nella fattispecie, in cui, a seguito di controllo formale, sia accertata la non corrispondenza, per errore materiale del contribuente, della imposta dichiarata rispetto a quella accertata, è obbligatoria la notifica dell’avviso di irregolarità, non emergendo, invece, incertezze sui dati rilevanti della dichiarazione;

in particolare, la ricorrente evidenzia che, in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi, la società aveva riportato un credito maggiore rispetto a quello disponibile dalla precedente dichiarazione, sicchè la cartella di pagamento era stata emessa per recuperare le imposte dovute senza riconoscere il suddetto maggiore credito;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia, consistente nella circostanza idonea ad accertare se la sussistenza di errori materiali di riporto di eccedenza di imposta in misura superiore a quelle effettive, riprese a tassazione con la notifica della cartella di pagamento, richiedesse o meno la preventiva comunicazione dell’avviso di irregolarità;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla questione se, nella fattispecie, era necessaria la comunicazione preventiva di irregolarità, sono fondati;

la pronuncia del giudice del gravame ha ritenuto che l’obbligo dell’invio della comunicazione preventiva di irregolarità costituisca un principio generale applicabile ad ogni ipotesi di controllo formale svolto dall’amministrazione finanziaria, sicchè la violazione del suddetto obbligo ha incidenza anche sull’obbligo di motivazione della cartella di pagamento, non potendo la contribuente avere piena contezza dell'”esigibilità del credito azionato”;

va quindi precisato che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, comma 3, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, se non “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione” (Cass. civ. 9 gennaio 2019, n. 376);

nel primo caso, peraltro, di comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, “quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un’imposta o una maggiore imposta”, il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tanto si giustifica in considerazione del maggiore grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, cui non può che corrispondere una conseguente irrilevanza della violazione di tale disciplina partecipativa ai fini della validità del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo. Nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta una fase indispensabile del procedimento, essendo sempre possibile per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo (ex multis, Cass. n. 19893 del 2016);

con riferimento poi al contraddittorio endoprocedimentale imposto dalla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, obbligo bensì sanzionato, a differenza del primo, con la nullità in caso di inadempimento, va ribadito che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, esso non è imposto in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Cass. civ., 25 maggio 2012, n. 8342; Cass. civ., 8 luglio 2014, n. 15584; Cass. civ., 10 giugno 2015, n. 12023);

in questo ambito, tuttavia, relativo all’obbligo dell’invio della comunicazione di irregolarità ed alle conseguenze nel caso in cui lo stesso non sia stato eseguito, occorre fare una precisazione che attiene, invece, alla eventuale richiesta di pagamento anche delle sanzioni;

risulta, invero, dalla sentenza, che alla contribuente era stata irrogata la sanzione per violazione della procedura di compensazione di crediti di imposta;

con riferimento a tale specifico profilo, tuttavia, va precisato che questa Corte (Cass. civ., 10 giugno 2015, n. 12023), ha affermato il seguente principio di diritto: “In caso di liquidazione delle imposte in esito a controllo di dichiarazioni secondo procedure automatizzate, in generale occorre l’instaurazione del contraddittorio prima dell’iscrizione a ruolo, soltanto qualora emergano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione; in particolare, al cospetto della tardività del versamento di quanto dovuto, va esclusa la sussistenza dell’obbligo dell’amministrazione d’inviare comunicazione d’irregolarità al contribuente, con la conseguente esclusione dei presupposti per ritenere la riduzione ad un terzo delle sanzioni amministrative”;

l’arresto giurisprudenziale in esame muove dalla considerazione che il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2, ove prevede che l’iscrizione a ruolo non sia eseguita, in tutto o in parte, “se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione prevista dai commi 3 dei predetti artt. 36 bis e 54 bis…”, si riferisce, in primis, secondo quanto si evince dal comma 1 della norma, alle “…somme che, a seguito dei controlli automatici effettuati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 54 bis, risultano dovute a titolo d’imposta, ritenute, contributi e premi o di minori crediti già utilizzati…”; in tal caso, l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto ad un terzo;

sicchè, si è precisato che la sua applicazione richiede, in conseguenza, che: a) ci si trovi al cospetto di controllo automatizzato di dichiarazione; b) sussistano i presupposti per la comunicazione d’irregolarità; c) vi sia un pagamento entro trenta giorni dalla comunicazione delle somme che risultino dovute;

orbene, la fattispecie in esame è riconducibile nell’ambito di applicazione della previsione normativa sopra indicata, posto che, essendo emerso un errore nella compilazione della dichiarazione (avendo la contribuente riportato un maggior credito di imposta rispetto a quello risultante dalle precedenti annualità), era necessario l’invio della comunicazione di irregolarità cui fa richiamo, come visto, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma, 2, sopra citato;

tenuto conto delle considerazioni espresse, va quindi considerato che la sentenza censurata ha non correttamente ritenuto, come rilevato, che il principio dell’obbligatorietà del contraddittorio preventivo in conseguenza del controllo formale abbia una valenza generalizzata, applicabile anche al caso in esame in cui, invero, erano emersi errori nella dichiarazione dei redditi per avere la società contribuente riportato, per errore, un maggior credito di imposta rispetto a quello risultante dalle precedenti annualità;

in questo ambito, la stessa ha omesso di valutare la circostanza che la ripresa a tassazione delle imposte derivavano da errori materiali di riporto di eccedenze d’imposta in misura superiore a quelle effettive, e, sotto questo profilo, non ha tenuto conto di tale fatto decisivo ai fini della controversia, sia ai fini della legittimità della pretesa consistente nel recupero delle imposte illegittimamente compensate che ai fini dell’applicazione della sanzione;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25, nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 7, commi 1 e 3, non riportando l’atto impugnato le ragioni del recupero delle maggiori imposte derivanti da eccedenze d’imposta erroneamente riportate dalla società nella dichiarazione annuale;

il motivo è fondato;

il giudice del gravame ha fatto discendere il vizio di motivazione della cartella di pagamento dalla circostanza che l’amministrazione finanziaria non aveva attivato il contraddittorio preventivo con la comunicazione di irregolarità;

va quindi precisato che, secondo questa Corte, in tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicchè, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perchè, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa” (Cass. civ., 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass. civ., 20 settembre 2017, n. 21804);

il giudice del gravame ha fatto discendere dal mancato invio della comunicazione di irregolarità la considerazione conclusiva del difetto di motivazione della cartella di pagamento, senza, tuttavia, provvedere alla necessaria distinzione circa i presupposti fondanti la ripresa, secondo i principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte;

in conclusione, i motivi sono fondati, con conseguente accoglimento del ricorso e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

 

 

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