Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10855 del 04/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/05/2017, (ud. 05/10/2016, dep.04/05/2017),  n. 10855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano President – –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16272-2015 proposto da:

M.G., M.B., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato FABRIZIO TRIFILO’ giusto mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, emesso

il 12/02/2015 e depositato il 16/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI MILENA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato il 20 giugno 2011, alla Corte di appello di Reggio Calabria, G. e M.B., eredi di M.A. proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio, introdotto dal medesimo de cuius nei confronti di L.A., dinanzi al Tribunale di Patti, per ottenere in via monitoria il pagamento delle prestazioni professionali, con ricorso depositato il 23.10.1989, decreto ingiuntivo che veniva opposto dal debitore con atto di citazione notificato il 27.11.1989, definito con sentenza depositata il 28 dicembre 2010.

La Corte d’appello, con decreto depositato il 16 febbraio 2015, ha accolto la domanda, liquidando l’indennizzo solo per il diritto vantato iure hereditatis, escluso il danno sofferto iure proprio per non essersi gli eredi costituiti in giudizio personalmente a seguito del decesso del loro dante causa.

Avverso tale decreto è stato proposto ricorso a questa Corte dagli originari ricorrenti, articolato su due motivi, cui ha replicato l’Amministrazione intimata con controricorso.

In prossimità della pubblica udienza i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

I ricorrenti censurano con il primo ed il secondo motivo la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli art. 6, par. 1, e 13 CEDU, per avere la corte di merito escluso la esistenza del danno non patrimoniale presumendo la insussistenza del paterna d’animo per il tempo successivo al decesso del loro dante causa, sul presupposto che gli eredi non erano costituiti, assumendo quale presupposto per il riconoscimento del diritto iure proprio la partecipazione attiva al giudizio.

Il ricorso è infondato.

Rileva il Collegio che in tema di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure successionis, pro quota, per la parte eccedente la ragionevole durata del giudizio presupposto per il periodo decorrente dalla data della domanda fino a quella del decesso dell’attore originario, nonchè iure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass. n. 23416 del 2009; Cass. n. 2983 del 2008). In altri termini, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio del proprio dante causa” (in termini, Cass. n. 21646 del 2011; nello stesso senso: Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del 2012; Cass. n. 1309 del 2011; Cass. n. 13803 del 2011).

In proposito, giova ricordare che di recente (Cass. n. 4004 del 2014) questa Corte, nel ribadire il principio di cui sopra, ha chiarito che a diverse conclusioni in merito alla computabilità del periodo tra il decesso dell’originaria parte nel giudizio presupposto e la costituzione dei suoi eredi non può neanche pervenirsi, traendo spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 585 del 2014, che, dirimendo un contrasto tra sezioni semplici in merito alla possibilità che il contumace nel processo presupposto possa far valere il diritto all’equa riparazione per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la equiparazione – ai fini della possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno non patrimoniale – tra parti costituite e parti chiamate a partecipare a quel giudizio, ma in esso non intervenute, proprio alla luce dei postulati predetti.

Non può neanche sottacersi che nella recente sentenza – di irricevibilità – della Seconda Sezione della CEDU del 18 giugno 2013, in causa Fazio e altri c. Italia, si è affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto non conferisce, di per sè, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente maturata, durata eccessiva del medesimo e che l’interesse dell’erede alla conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la sua mancata costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel procedimento l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire sull’esito dello stesso.

Nella specie risulta, quindi, logica e coerente la espunzione dal computo della durata complessiva del processo il tempo successivo al decesso del de cuius atteso che gli odierni ricorrenti non hanno negato di non avere agito in proprio. L’ulteriore questione relativa al quantum – peraltro precisata solo nella memoria illustrativa – risulta superata dalle considerazioni che precedono.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo. Risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore del Ministero della giustizia delle spese processuali del giudizio di Cassazione, che liquida in complessi Euro 800,00, oltre ad eventuali spese prenotate o prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2^ Sezione Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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