Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10850 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. I, 23/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 23/04/2021), n.10850

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10124/2015 proposto da:

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del

Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.E., nella qualità di socio assegnatario di tutti i

rapporti della Adriatica Costruzione s.r.l., e di socio unico

successore a titolo universale della stessa Adriatica Costruzioni

s.r.l., in liquidazione, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza

dei Caprettari n. 70, presso lo studio dell’avvocato Masoni Giuseppe

Matteo, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Clarizia Angelo, Scordino Domenico Luca, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7484/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 7484/2014 emessa ex art. 281 sexies c.p.c., il 3/12/2014 la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’impugnazione principale per nullità proposta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nei confronti di L.E. contro il lodo arbitrale non definitivo reso tra le parti su domanda di arbitrato del L. notificata il 26 gennaio 2007, giusta clausola compromissoria contenuta nel disciplinare n. 640 del 25-7-1986, relativo all’appalto per la realizzazione del piano di ricostruzione adottato dal Comune di Ariano Irpino, e accettata da Adriatica Costruzioni con atto del 26-7-1986.

2. Avverso questa sentenza il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti propone ricorso, affidato a sei motivi, nei confronti di L.E., che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Il controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27,artt. 3,24 e 102 Cost.; art. 11 preleggi; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4”. Il Ministero censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito, dichiarando inammissibile il primo motivo di impugnazione, ha fatto applicazione dell’art. 829 c.p.c., nella formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e non nella formulazione previgente, ritenendo non consentita l’impugnazione del lodo arbitrale per violazione di regole di diritto.

2. Con il secondo motivo denuncia la “Violazione e falsa applicazione art. 829 c.p.c., con riferimento alla L. n. 363 del 1984, art. 13 noviesdecies, comma 14; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4”. Il Ministero deduce che il primo motivo di impugnazione del lodo, concernente l’interpretazione dell’art. 13 noviesdecies citato, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non era stato formulato in modo generico, per avere il ricorrente, nel precedente giudizio di merito, adeguatamente confutato il convincimento del collegio arbitrale. Rileva di aver riportato nell’atto di impugnazione il tenore della norma citata e il relativo passaggio motivazionale espresso nel lodo, secondo il quale, una volta approvati i relativi progetti da parte dei Comuni e conseguito il positivo parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, l’operato amministrativo non si era tradotto nell’emanazione dei decreti di affidamento dei lavori pubblici e l’Amministrazione non aveva dato prova delle iniziative eventualmente applicate. Il Ministero evidenzia di aver prospettato una diversa opzione ermeneutica della norma, anche in considerazione del tenore letterale della stessa, rimarcando che il legislatore aveva esclusivamente stabilito di far fronte ai lavori più urgenti, stanziando la relativa spesa per gli anni 1984 e 1986, senza previsione di nessun’altra declaratoria di urgenza e senza ulteriore copertura finanziaria, in conformità all’esigenza ineludibile che ogni intervento strutturale fosse corredato dalle corrispondenti poste finanziarie, nella specie limitate solo agli anni 1984-1986, mentre gli altri lavori, ossia quelli non coperti finanziariamente dalla norma, avevano trovato stanziamenti sulla base di decreti ministeriali via via emessi in relazione a ragioni di urgenza. Ad avviso del ricorrente, non rileva la sentenza n. 60/2003 di questa Corte, richiamata dalla Corte di merito, in quanto concernente una distinta fattispecie.

3. I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente perchè riguardano entrambi il primo motivo di impugnazione del lodo.

3.1. Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto la questione dell’ammissibilità dell’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto applicabili al caso concreto, risolta con la sentenza impugnata prestando adesione ad orientamento difforme da quello adottato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9284/2016, al quale il Collegio intende dare continuità e secondo cui “In tema di impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all’art. 27 dello stesso Decreto, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore della novella (2 marzo 2006); tuttavia, per stabilire se sia ammissibile tale impugnazione, la legge, cui l’art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, deve essere identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicchè, in caso di procedimento arbitrale attivato dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina – ma in forza di convenzione stipulata anteriormente – nel silenzio delle parti è applicabile l’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente, che ammette l’impugnazione del lodo per violazione delle norme inerenti al merito, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile”.

Alla stregua del suesposto principio, il lodo era impugnabile per violazione delle norme inerenti al merito, e non risulta che le parti avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile, sicchè il profilo di inammissibilità di cui si è appena detto non sussiste, in ciò dovendosi emendare, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione in diritto della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme al diritto, stante il decisum di inammissibilità emesso dalla Corte di merito anche per altra autonoma ragione, come di seguito si andrà ad illustrare.

Occorre aggiungere che non ricorre l’ulteriore, e consequenziale, profilo di inammissibilità prospettato dal controricorrente, il quale sostiene che, ove si ritenga, come nella specie, applicabile la normativa processuale in vigore al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, luglio 1986, debba allora applicarsi la disciplina in allora vigente, e segnatamente l’art. 827 c.p.c., prima della modificazione introdotta nella disciplina dell’arbitrato dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25. Ad avviso del controricorrente, poichè il lodo impugnato è parziale, in base a quella disciplina processuale non era immediatamente impugnabile, ed inoltre il Ministero aveva impugnato tardivamente il lodo definitivo, come da sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3726/2014 prodotta dal controricorrente e passata in giudicato (pag. n. 11 controricorso). Assume, pertanto, il controricorrente che il giudizio di cassazione sia improcedibile o inammissibile perchè il gravame contro il lodo parziale, non impugnabile, sarebbe, in ogni caso e per diversa ragione rispetto a quella oggetto di censura, improcedibile o inammissibile, una volta affermata l’applicabilità della disciplina in allora vigente.

Le argomentazioni svolte dal controricorrente non hanno fondamento, atteso che l’interpretazione di cui alla citata sentenza delle Sezioni Unite del 2016 si fonda sul richiamo alla legge vigente all’epoca della convenzione d’arbitrato di cui dell’art. 829 c.p.c., comma 3 e l’opzione ermeneutica è limitata all’esegesi di quella norma, che concerne l’impugnazione del lodo per violazione di regole di diritto, senza alcun collegamento con l’art. 827 c.p.c.. Peraltro, dell’art. 827, comma 3, è stato introdotto dalla L. n. 25 del 1994 e non è stato modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e questa Corte ha chiarito che il lodo parziale non è immediatamente impugnabile nel caso di pronunzia emessa prima dell’entrata in vigore delle modifiche all’art. 827 c.p.c., introdotte dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25 (Cass. Sez. U. n. 3829/1997), essendo, invece, immediatamente impugnabile la pronunzia arbitrale di lodo parziale emessa, come nel caso di specie, dopo l’entrata in vigore delle suddette modifiche.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, ribadita la correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata nei termini precisati, il primo motivo di ricorso è infondato.

3.2. In ordine al primo motivo di impugnazione del lodo, la Corte d’appello ha aggiunto, quale autonoma ratio decidendi, un ulteriore profilo di inammissibilità, ritenendo in ogni caso detto motivo generico, e la seconda ratio decidendi è censurata con il secondo motivo di ricorso per cassazione.

Il ricorrente ripropone la propria tesi interpretativa, sostenendo la specificità del motivo, ma non si confronta con il percorso argomentativo di cui alla sentenza impugnata, che ha richiamato il tenore letterale e la ratio della norma, secondo la quale i decreti di affidamento dovevano essere integralmente ed immediatamente emessi, essendo la stessa legge l’unica fonte del diritto che l’impresa appaltatrice assume leso, e che ha argomentato in ordine alla ritenuta mancanza di specificità della censura sulla motivazione del lodo nella parte che qui interessa, in particolare per non avere il Ministero indicato i criteri ermeneutici violati e per avere l’Amministrazione solo genericamente richiamato un’interpretazione costituzionalmente orientata ai sensi dell’art. 81 Cost.. Ne consegue l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso.

4. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 12; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4”. Il Ministero si duole della pronuncia di inammissibilità del secondo motivo di impugnazione del lodo, per avere la Corte di merito ritenuto che l’eccezione di prescrizione e quella di tardività delle riserve fossero state sollevate dal Ministero per la prima volta in sede di gravame. Deduce di aver depositato nel giudizio arbitrale la memoria di data 4-2-2008 con la quale richiamava la memoria del proprio C.T.P. e riporta in ricorso le parti di detta ultima memoria in cui era denunciata l’intempestività delle riserve esplicitate il 3/4/2003, ossia dopo quasi 10 anni dalla missiva del 9-8-1993, rimarcando che i lavori ad (OMISSIS) erano stati sospesi da novembre 1990 e la contabilità era già stata predisposta a tutto il 24-11-1990. Riporta, altresì, le parti della memoria del C.T.P. con cui era stata eccepita la tardività della riserva n. 2 iscritta nel registro di contabilità, con la quale si evidenzia che le doglianze dell’impresa erano ben note fin dal momento dell’accettazione della concessione di cui alla lettera del 26-7-1986. Ad avviso del Ministero, non è richiesto il rispetto del principio di autosufficienza nel giudizio di impugnazione del lodo arbitrale, nè doveva rigorosamente richiedersi la puntuale indicazione di come e dove le eccezioni erano state proposte, delle riserve assunte come tardive e dei relativi termini per la rituale proposizione, non essendo significativa la circostanza che nel lodo arbitrale non fossero menzionate le eccezioni di tardività e di prescrizione, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata.

5. La censura, che concerne il secondo motivo di impugnazione del lodo, è inammissibile.

5.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale per cui l’impugnazione del lodo è soggetta alla disciplina e ai principi che regolano il giudizio di appello, in quanto compatibili (cfr. Cass. n. 13898/2014; Cass. n. 13927/2019, Cass. n. 26008/2018) e la Corte di merito, affermando che il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale è assimilabile all’appello ai fini della applicazione dell’art. 345 c.p.c., ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, ritenendo inammissibile per difetto di specificità il secondo motivo di impugnazione del lodo.

5.2. Il ricorrente svolge una critica generica al decisum sul punto, non riporta nel ricorso il tenore del secondo motivo di impugnazione del lodo e si limita a sostenere che in una memoria difensiva depositata nel giudizio arbitrale avrebbe richiamato una memoria del C.T.P., nulla precisando in dettaglio circa l’individuazione delle riserve contestate, nonchè per inosservanza di quali termini, a confutazione degli assunti di cui alla sentenza impugnata.

6. Con il quarto motivo denuncia la “Violazione e falsa applicazione art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27,artt. 3,24 e 102 Cost.; art. 11 preleggi; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4”. Il Ministero, richiamando le argomentazioni svolte con il primo motivo di ricorso, si duole, sotto un primo profilo, della declaratoria di inammissibilità del terzo motivo di impugnazione del lodo arbitrale, per avere la Corte d’appello fatto applicazione dell’art. 829 c.p.c., nella formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e non nella formulazione previgente, così ritenendo non consentita l’impugnazione del lodo arbitrale per violazione di regole di diritto. Inoltre censura anche l’altro profilo di inammissibilità del terzo motivo ritenuto sussistente dalla Corte di merito, che ha affermato essere una rivalutazione di merito non consentita quella richiesta dal Ministero con il gravame in ordine alla sussistenza “di ragioni di urgenza tali da legittimare l’affidamento delle opere in assenza di una copertura finanziaria adeguata”. Ad avviso del Ministero la censura riguardava l’individuazione dell’esatta portata delle previsioni della L. n. 363 del 1984, art. 13 noviesdecies, per non avere il Collegio arbitrale considerato l’impraticabilità di procedere ad affidamenti senza copertura finanziaria e comunque nella carenza di un contesto caratterizzato da specifiche ragioni di urgenza. Assume che l’apprezzamento di un siffatto contesto si configuri come del tutto indifferente, poichè il motivo di gravame riguardava la corretta esegesi della citata norma.

7. La censura, che verte sul terzo motivo di impugnazione del lodo, è inammissibile.

7.1. Quanto al primo profilo, vanno richiamate le considerazioni espresse al p.3.1..

Anche il secondo profilo è inammissibile, atteso che, a fronte della piana affermazione della Corte d’appello secondo cui, con il terzo motivo di impugnazione del lodo, era stata chiesta la rivalutazione del merito sulla sussistenza di ragioni di urgenza, il Ministero, nel sostenere che si tratta di interpretazione dell’art. 13 noviesdecies citato, omette di riportare in ricorso il tenore del terzo motivo di impugnazione del lodo, così non consentendo il rilievo della denunciata discrepanza, e in ogni caso, anche ove fosse come sostiene il ricorrente, la doglianza si risolverebbe in una riproposizione delle deduzioni espresse con il secondo motivo di ricorso per cassazione.

8. Con il quinto motivo denuncia la “Violazione e falsa applicazione artt. 1224,1697 c.c., art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27; art. 11 preleggi; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4”. Il Ministero richiama le argomentazioni svolte con il primo motivo di ricorso, quanto all’applicazione dell’art. 829 c.p.c., nella formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, e non nella formulazione previgente. Inoltre censura anche l’altro profilo di inammissibilità del settimo motivo di impugnazione del lodo arbitrale ritenuto sussistente dalla Corte di merito, che ha affermato essere una rivalutazione di merito non consentita quella richiesta dal Ministero con il gravame in ordine ai criteri da applicare ai fini della liquidazione del danno derivante da ritardo nell’erogazione dell’anticipazione contrattuale. Ad avviso del ricorrente la doglianza concerne l’individuazione e applicazione delle specifiche disposizioni di legge che regolano la fattispecie e il Collegio arbitrale ha violato l’art. 1224 c.c., applicando l’aggiornamento dei prezzi pari a 10,20 alla data del 28-2-1987, derogando alle norme codicistiche e sostanzialmente riconoscendo il danno in re ipsa.

9. Con il sesto motivo il Ministero denuncia la “Violazione e falsa applicazione artt. 1224,2697 c.c., art. 829 c.p.c., D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27; art. 11 preleggi; art. 360 c.p.c., nn. 3, 4”. Il ricorrente si duole della declaratoria di inammissibilità del dodicesimo motivo di impugnazione del lodo arbitrale, sia per le stesse argomentazioni svolte con il primo motivo di ricorso, in ordine alla svolta impugnazione per violazione di regole di diritto applicabili al caso concreto, sia per avere ritenuto la Corte d’appello che il suddetto motivo, concernente l’avvenuto riconoscimento del ristoro del maggior danno da svalutazione al L. stante la sua qualità di imprenditore, involgesse una valutazione del fatto, denunciata come errata. Deduce il Ministero che la Corte territoriale ha travisato il contesto processuale e che erano state svolte precise doglianze in diritto, lamentando la violazione da parte del Collegio arbitrale degli artt. 2697 e 1224 c.c., essendo stati assegnati al L. “ristori estranei al pertinente contesto normativo del tutto non provati”, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama, secondo la quale il creditore imprenditore commerciale ha l’onere di provare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi o comprovare attraverso la produzione di bilanci quale fosse la produttività della propria impresa, ai fini del riconoscimento del maggior danno ex art. 1224 c.c..

10. Anche i motivi quinto, che verte sul settimo motivo di impugnazione del lodo, e sesto, che riguarda il dodicesimo motivo di impugnazione del lodo, sono inammissibili.

10.1. Richiamate, in ordine al primo profilo (violazione di regole di diritto sostanziale) le considerazioni svolte sul primo motivo di ricorso al p.3.1., in ordine al secondo profilo prospettato le censure difettano di autosufficienza. La Corte d’appello ha ritenuto che fosse chiesta dal Ministero la rivalutazione del merito sui criteri di liquidazione del danno derivante da ritardo nell’erogazione dell’anticipazione contrattuale (settimo motivo di impugnazione del lodo) e del danno da svalutazione per la qualifica di imprenditore di commerciale dell’impresa appaltatrice (dodicesimo motivo di impugnazione del lodo). Il Ministero assume, invece, che i motivi denunciavano violazione di legge e doglianze in diritto, ma non li riporta nel testo del ricorso, sì da non rendere possibile la verifica della critica svolta nei termini precisati.

11. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

12. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Deve escludersi la sussistenza dei presupposti di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, atteso che nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versamento del doppio del contributo unificato, ai sensi del citato art. 13, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. n. 1778/2016).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 22.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

 

 

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