Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1085 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 21/01/2021), n.1085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10778/2020 R.G. proposto da

O.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Rita Labbro

Francia, con domicilio eletto in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1164/19

depositata il 24 ottobre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre

2020 dal Consigliere Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che E.O., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, avverso la sentenza del 24 ottobre 2019, con cui la Corte d’appello di Lecce ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 21 giugno 2018, con cui il Tribunale di Lecce aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Considerato che è inammissibile l’atto con cui il Ministero, non avendo tempestivamente proceduto al deposito del controricorso, si è costituito in giudizio ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non essendo previsto, nel procedimento camerale dinanzi a questa Corte, l’intervento delle parti all’adunanza camerale, e non essendo consentita la presentazione di memorie, in mancanza della rituale costituzione in giudizio (cfr. Cass., Sez. I, 25/10/2018, n. 27124; 15/11/2017, n. 27140);

che con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, commi 2 e 3, e art. 35-bis, comma 9, sostenendo che, nel rigettare la domanda, la sentenza impugnata ha proceduto ad una valutazione superficiale delle dichiarazioni da lui rese e della situazione di pericolo cui egli resterebbe esposto in caso di rimpatrio, avendo motivato soltanto de relato il giudizio d’inattendibilità dei fatti narrati, avendo richiamato fonti datate e risalenti ed avendo escluso la sussistenza di una condizione di vulnerabilità personale, senza tener conto del timore, da lui prospettato, di essere perseguitato dai membri di una setta alla quale ha rifiutato di aderire senza poter ottenere protezione dalle autorità locali;

che la Corte si è inoltre sottratta all’adempimento del proprio dovere di cooperazione istruttoria officiosa, avendo escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato ed il pericolo di un danno alla salute derivante dall’emergenza sanitaria collegata alla diffusione della c.d. febbre di Lassa sulla base d’informazioni desunte da fonti non aggiornate al momento della decisione;

che il motivo è infondato;

che il mero richiamo alla valutazione compiuta dalla Commissione territoriale e dal Tribunale in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente non comporta la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione, avendo la Corte d’appello esplicitato le ragioni della propria adesione all’apprezzamento risultante dalla decisione amministrativa e dall’ordinanza di primo grado, mediante l’individuazione dei principali profili di contraddittorietà ed inverosimiglianza della vicenda narrata;

che la sentenza pronunziata in sede di gravame deve infatti considerarsi legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo tale da consentire di ricavare, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, un percorso argomentativo adeguato e corretto (cfr. Cass., Sez. I, 19/07/2016, n. 14786; Cass., Sez. V, 11/05/2012, n. 7347; Cass., Sez. III, 11/06/2008, n. 15483);

che nell’escludere la fondatezza dei timori manifestati dal ricorrente, in relazione alla situazione in atto nel Paese di origine, la sentenza impugnata ha richiamato informazioni risultanti dai rapporti dell’EASO, di Human Rights Watch e di Amnesty International relativi agli anni 2016 e 2017, dalle quali ha desunto che, nonostante la portata tutt’altro che tranquillizzante dei dati relativi alle condizioni di sicurezza esistenti in Nigeria, nella regione di provenienza del ricorrente (Edo State) non si registra una situazione di violenza generalizzata derivante da un conflitto armato, tale da esporre a rischio la vita o l’incolumità personale di chiunque vi risieda, rimanendo tale minaccia circoscritta alla parte nordoccidentale del Paese, segnata dallo sconvolgimento sociale determinato dagli attacchi del gruppo terroristico di matrice islamica Boko Haram;

che nel censurare il predetto apprezzamento il ricorrente si limita a lamentare l’insufficiente aggiornamento delle informazioni utilizzate, omettendo tuttavia di segnalare l’eventuale esistenza di rapporti più recenti, dai quali risulti l’aggravamento della situazione socio-politica del Paese di origine, e di riportarne le parti salienti nel ricorso, in modo tale da consentire a questa Corte di valutarne la pertinenza, con la conseguenza che le censure proposte risultano, per tale aspetto, prive di specificità;

che in tema di protezione internazionale la giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che il motivo di ricorso per cassazione volto a contrastare l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito in ordine alle c.d. fonti privilegiate, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del c.d. dovere di collaborazione istruttoria, sono state superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (cfr. Cass., Sez. I, 18/02/2020, n. 4037);

che, ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata ha correttamente escluso la possibilità di conferire rilievo alla diffusione in Nigeria della c.d. febbre di Lassa, osservando che l’epidemia è in fase di contenimento e richiamando le rassicurazioni fornite dalle autorità nigeriane in ordine alla portata circoscritta del fenomeno ed alla capacità del sistema sanitario nigeriano di contrastare e limitare i contagi;

che tali rilievi appaiono coerenti con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, richiamato dalla Corte d’appello, secondo cui l’applicazione di tale misura richiede una valutazione individuale, da condursi caso per caso, del livello di integrazione sociale e lavorativa raggiunto dal richiedente in Italia, comparato alla situazione personale in cui versava prima dell’abbandono del Paese di origine ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in conseguenza del rimpatrio, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare una privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, in misura tale da comprimerne il contenuto oltre il limite rappresentato dal nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. Cass., Sez. Un. 13/11/2019, n. 29459; Cass., Sez. I, 30/03/2020, n. 7599; 23/02/ 2018, n. 4455);

che, nell’ambito della predetta valutazione, la situazione generale del Paese di origine può assumere infatti rilievo esclusivamente in relazione alla sua incidenza sulla vita privata e familiare del richiedente, quale riflesso di una condizione di vulnerabilità personale da lui vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe nuovamente esposto in caso di rimpatrio, prendendosi altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. I, 3/04/2019, n. 9304; Cass., Sez. VI, 7/02/2019, n. 3681);

che non può dunque attribuirsi una portata decisiva alle più aggiornate informazioni fornite dalle fonti indicate dal ricorrente, che segnalano un incremento della diffusione dell’epidemia, trattandosi di un fenomeno che, ancorchè idoneo ad esporre a rischio la salute del ricorrente, non incide specificamente sulla sua situazione personale, riguardando l’intera popolazione del Paese di origine, e non dà pertanto luogo ad una condizione di vulnerabilità, nel senso inteso dalla giurisprudenza interna e da quella comunitaria;

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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