Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10848 del 04/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 04/05/2017, (ud. 01/02/2017, dep.04/05/2017),  n. 10848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10157-2014 proposto da:

A.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato VALERIA

COSENTINO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIORGIO TREGLIA, FRANCESCA MARIA VALLE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CAIRO EDITORE S.P.A. QUALE INCORPORANTE DELLA EDITORIALE GIORGIO

MONDADORI S.P.A.) P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

TRIFIRO’, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANNA

MARIA CORNA, PAOLO ZUCCHINALI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 353/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/04/2013 R.G.N. 664/10;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. DE MARINIS NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rgetto del ricorso;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO;

udito l’Avvocato MARIO CAMMARATA per delega verbale Avvocato

SALVATORE TRIFIRO’.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 16 aprile 2013, la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Milano, riduceva ad Euro 26.114,85 la condanna da questo pronunciata in esito al rigetto dell’opposizione proposta da A.G. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto a suo carico dalla Editoriale Giorgio Mondadori Editore S.p.A. (ora Cairo Editore S.p.A), per la restituzione delle somme versate all’ A., dirigente di detta Società, in ottemperanza alla condanna risarcitoria recata dalla pronunzia dichiarativa dell’ingilistificatezza del licenziamento allo stesso intimato, emessa dal Tribunale di Milano e poi riformata, in sede di giudizio rescissorio seguito alla cassazione della sentenza resa in grado di appello, dalla Corte,d’Appello di Brescia con riduzione della condanna.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto in rito, il disposto dell’art. 336 c.p.c., legittimare lo svolgersi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo di un ordinario giudizio di cognizione volto ad una valutazione di tutti gli elementi fondanti la pretesa creditoria ed idonei a contrastarli e conseguentemente ammissibile la richiesta riformulazione in quella sede dei conteggi e delle relative conclusioni; nel merito dovuta la richiesta restituzione risultando infondata la pretesa dell’ A. di veder aumentata la somma dovutagli degli interessi maturati fino al gennaio 2013, per aver gli acconti versati superato la somma capitale dovuta ed essersi pertanto raggiunto quel “saldo” cui la Corte d’Appello di Brescia aveva, nella pronunzia rescissoria, collegato la maturazione di interessi e rivalutazione.

Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ A., affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la Cairo Editore S.p.A. Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c., lamenta la non conformità a diritto della decisione della Corte territoriale di ammettere le parti, a seguito della revoca del decreto ingiuntivo, a procedere nel giudizio rideterminando il credito ed adeguando le relative conclusioni.

La violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., è predicata nel secondo motivo con riferimento al vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel pronunciare, una volta revocato il decreto ingiuntivo, sulla pretesa creditoria con esso azionata opportunamente adeguata alla pronunzia della Corte d’Appello di Brescia.

Con il terzo motivo, posto sotto la rubrica “Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.”, il ricorrente lamenta l’incongruità del convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’intervenuto “saldo” del dovuto dalla Società all’ A., potendosi considerare il “saldo” intervenuto solo all’atto dell’integrale soddisfo del credito, comprensivo del dovuto a titolo di interessi e rivalutazione, circostanza nella specie non verificatasi, implicante l’ulteriore decorso degli accessori sul residuo, ancorchè a sua volta costituito da somma dovuta a titolo di accessori, in favore dell’ A. ed, in relazione a ciò, il venir meno del credito per restituzione azionato dalla Società.

I primi due motivi, che, in quanto strettamente connessi, per essere entrambi volti a contestare la legittimità del modus procedendi del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, per non essersi questo limitato, una volta verificata la non corrispondenza del credito azionato con quello risultante dal titolo sottostante, alla revoca del decreto ingiuntivo ed aver proceduto all’autonomo accertamento del credito risultante dal predetto titolo, possono esser qui trattati congiuntamente, risultano infondati alla stregua del principio di diritto sancito da questa Corte (cfr. Cass. 3649/2012 e Cass. 20613 2011 richiamate in motivazione) che il Collegio intende qui ribadire per cui in sede di opposizione a decreto ingiuntivo “si instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi ad esaminare se l’ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti gli elementi offerti dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia dell’opponente per contrastarla”.

Di contro il terzo motivo va dichiarato inammissibile, deducendosi nella specie, come del resto riconosce lo stesso ricorrente, non tanto un vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, secondo quanto oggi consente la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), bensì un vizio di incongruità logica della motivazione resa dalla Corte territoriale con riguardo all’interpretazione del dictum della pronunzia rescissoria della Corte d’Appello di Brescia, motivazione che non può certo dirsi perplessa o meramente apparente, sostanziandosi nel respingere l’assunto del ricorrente per il quale si avrebbe il “saldo” solo nel momento in cui il creditore riconosca di non aver più nulla a pretendere dal debitore ed opporvi, in termini congrui sul piano logico e giuridico, la diversa nozione secondo cui per “saldo” deve intendersi l’integrale pagamento della somma dovuta per estinguere il credito, dimostrando altresì l’essere questo effettivamente intervenuto.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2017

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