Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10845 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. I, 23/04/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 23/04/2021), n.10845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10521/2017 proposto da:

Agricola Summano di L.G. & C. S.s., in Liquidazione,

in persona del liquidatore pro tempore, nonchè C.A.,

L.G., Lu.An., elettivamente domiciliati in Roma,

Via dei Gracchi n. 187, presso lo studio dell’avvocato Antonelli

Andrea, che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Veneto Banca S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n.

15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Laghi Aldo, Mesirca

Corinna, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3000/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 28/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2021 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

su istanza di Veneto Banca s.p.a. il giudice designato del tribunale di Treviso, sez. di Montebelluna, ingiunse alla s.s. Agricola Summano di L.G. & c. e ai signori L.G., C.A. e Lu.An.Ma. il pagamento, in solido, della somma di Euro 529.887,16, per uno scoperto di conto corrente e due debiti residui da finanziamento agrario;

gli ingiunti proposero opposizione deducendo (a) la nullità del contratto di conto corrente, per mancanza di sottoscrizione da parte della banca, (b) l’illegittima applicazione del tasso di interesse passivo, che quanto al conto corrente, cumulato alla commissione di massimo scoperto, aveva condotto a un valore superiore al tasso usurario, (c) l’estinzione dell’obbligo fideiussiorio ai sensi dell’art. 1956 c.c., avendo la banca accordato ulteriore credito alla società nonostante le già gravi sue condizioni economiche, senza autorizzazione dei fideiussori; radicatosi il contraddittorio il tribunale respinse l’opposizione e la sentenza è stata confermata dalla corte d’appello di Venezia, la quale, in sintesi, ha ritenuto:

(aa) inammissibile la mera riproposizione da parte degli appellanti della domanda tesa a far dichiarare la nullità del contratto di conto corrente per difetto di sottoscrizione della banca, poichè nessuna censura era stata sollevata a proposito della pronuncia di rigetto, dal tribunale ampiamente motivata; cosicchè sul punto s’era formato un giudicato interno, ostativo anche all’eventuale rilievo della nullità d’ufficio;

(bb) infondata la doglianza relativa al carattere usurario dei tassi praticati dalla banca e all’indeterminatezza della pattuizione relativa alla commissione di massimo scoperto, avuto riguardo all’esito della c.t.u. eseguita in appello;

(cc) infondata la censura relativa all’art. 1956 c.c., poichè il peggioramento delle condizioni economiche della società non era necessariamente correlato alla domanda di finanziamento e poichè i fideiussori erano stati comunque anch’essi a conoscenza del suddetto deterioramento, in quanto soci (e L. finanche legale rappresentante e liquidatore);

i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi;

la banca ha replicato con controricorso e memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 329,346 c.p.c. e art. 1421 c.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto non proposto il gravame contro il capo della sentenza di primo grado relativo alla nullità del contratto di conto corrente per carenza di sottoscrizione della banca, e per avere inoltre motivato la decisione adducendo l’impossibilità di rilevare d’ufficio la nullità suddetta;

II. – il motivo è inammissibile;

in apicibus deve osservarsi che questa Corte, in linea con quanto ritenuto dalle Sezioni unite a proposito dei requisiti di forma dei contratti di intermediazione finanziaria (Cass. Sez. U. n. 898-18), ha stabilito che i contratti bancari soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117 (cd. T.u.b.), così come i contratti di intermediazione finanziaria, non esigono ai fini della valida stipula del contratto la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, giacchè il relativo consenso si può desumere “alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili”; in tal senso la conclusione del negozio “non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa, potendo la certezza della data desumersi da uno dei fatti espressamente previsti dall’art. 2704 c.c., o da altro fatto che il giudice reputi significativo a tale fine, nulla impedendo che il negozio venga validamente ad esistenza prima della produzione in giudizio della relativa scrittura ed indipendentemente da tale evenienza” (v. Cass. n. 14243-18);

tale principio, condiviso dal collegio, ha come conseguenza che la doglianza di parte ricorrente è priva di base giuridica, atteso che non determina la nullità del contratto di conto corrente bancario la circostanza che esso non risulti firmato che dal correntista, poichè la firma del correntista sul modulo predisposto dalla banca basta a integrare la redazione per iscritto richiesta dall’art. 117 del T.u.b.;

dopodichè il motivo è inammissibile pure per difetto di autosufficienza, non essendo riportata nei suoi concreti termini la corrispondente parte dell’atto d’appello nella quale si sarebbe dovuta individuare la censura alla sentenza di primo grado – censura che la corte d’appello ha escluso affermando l’esistenza del giudicato interno;

è vero che, ove si discuta di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione o meno di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado la Cassazione non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello; ed è vero che essa ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello oppure no;

non è men vero però che ciò può esser fatto a condizione che il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la statuizione, ma – per il principio di autosufficienza – indichi anche gli elementi e i riferimenti idonei all’individuazione degli esatti termini contenutistici dell’atto di appello, allo specifico fine di consentire alla Corte la verifica demandatale (v. Cass. n. 749919, Cass. n. 19918-08, Cass. n. 11322-03);

questa cosa, nel concreto, non è stata fatta;

III. – col secondo motivo i ricorrenti denunziano l’errata applicazione dell’art. 644 c.p. e del D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis, convertito con modificazioni in L. n. 2 del 2009, avendo l’impugnata sentenza erroneamente affermato che, al fine di ritenere un tasso usurario, nel periodo successivo all’entrata in vigore della suddetta normativa, non si potesse prendere in considerazione la commissione di massimo scoperto, per la natura innovativa, anzichè interpretativa, dell’art. 2-bis citato;

IV. – il motivo è inammissibile;

è bene ricordare che questa Corte, a sezioni unite, ha reso il principio per cui “In tema di contratti bancari, del D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 2 del 2009, in forza del quale, a partire dal 1 gennaio 2010, la commissione di massimo scoperto (CMS) entra nel calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) rilevato dai decreti ministeriali emanati ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644 c.p., comma 4, ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa normativa, anche regolamentare, tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari, come si evince sia dall’espressa previsione, del detto art. 2 bis, comma 2, di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa (in attesa della quale i criteri di determinazione del tasso soglia restano regolati dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della ridetta disposizione), sia dalla norma contenuta del ridetto art. 2 bis, comma 3 (poi abrogato dal D.L. n. 1 del 2012, art. 27, conv. con modif. dalla L. n. 27 del 2012), a tenore della quale “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data” (Cass. Sez. U. n. 16303-18);

ciò induce a negare la validità della tesi contraria, che i ricorrenti perseverano nel sostenere in base al rinvio alla giurisprudenza (anteriore) delle sezioni penali di questa medesima Corte;

V. – sempre in base all’insegnamento delle Sezioni unite, deve aggiungersi che per i rapporti come quello in esame, svoltisi in tutto o in parte nel periodo anteriore all’entrata in vigore (il 1 gennaio 2010) delle disposizioni di cui al D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il “tasso soglia” – ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1 – e con la “CMS soglia” – calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali -, compensandosi, poi, l’importo dell’eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l’eventuale “margine” residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati;

nella concreta fattispecie la corte d’appello, sebbene richiamando il principio (parzialmente diverso) reso da una decisione anteriore di questa sezione (Cass. n. 12965-16, cui adde Cass. n. 22270-16), ha in effetti mostrato di attenersi al modello accertativo poi validato dalle Sezioni unite, avendo stabilito che, secondo i conteggi del c.t.u., fatti in base alle istruzioni della vigilanza, era da escludere che “per tutto il periodo” vi fosse stata l’applicazione al conto di interessi usurari e che neppure v’era stato “il superamento della c.m.s. rispetto a quella soglia”; e ancora che era da escludere anche “l’indeterminatezza della pattuizione della c.m.s.”, essendo stato chiaramente infine applicato il riferimento al “per cento” (e non al “per mille”), quale indice dell’interpretazione della volontà delle parti;

codesta specifica serie di affermazioni non risulta idoneamente censurata dai ricorrenti, i quali si sono limitati a sindacare peraltro erroneamente – l’affermazione preliminare della corte medesima circa il carattere innovativo delle disposizioni richiamate, e a sostenere quindi che la commissione di massimo scoperto, in quanto collegata all’erogazione del credito, avrebbe dovuto esser ritenuta sempre “rilevante per la determinazione del tasso usurario anche per il periodo posteriore all’emanazione della richiamata normativa in virtù della definizione datane dalle Legge del 1996”;

la tesi non appare tuttavia calibrata sulla specifica ratio decidendi, giacchè nei fatti la corte d’appello non ha negato che, astrattamente, la c.m.s. potesse entrare a far parte del calcolo del tasso usurario: essa ha invece negato che in concreto ciò fosse avvenuto in base all’esito del computo comparativo con la cd. commissione “soglia”;

in tal modo il giudice a quo ha opposto alla tesi degli impugnanti un accertamento di fatto, il quale non è stato sindacato sul versante della motivazione, nei limiti di cui all’attuale art. 360 c.p.c., n. 5;

VI. – col terzo mezzo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione dell’art. 1956 c.c., per avere la corte d’appello mancato di ritenere che fosse avvenuta la liberazione dei fideiussori dalla garanzia prestata in favore della banca;

il motivo è infondato;

la tesi dei ricorrente presuppone che Veneto Banca fosse venuta meno ai propri obblighi di correttezza e buona fede concedendo il credito alla società, per l’intera durata del rapporto, nonostante le sue palesi difficoltà economiche; a tal riguardo essi sostengono che non poteva rilevare la circostanza che i fideiussori fossero soci, nè che uno di essi fosse altresì il legale rappresentante della debitrice, poichè “in questo rapporto il soggetto più forte è e resta sempre la banca”;

in contrario va richiamato il principio secondo il quale, in tema di liberazione del fideiussiore, l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c., non è configurabile come accordo a latere del contratto bancario cui la garanzia accede; ne consegue che essa, non essendo soggetta a requisito di forma, può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito (v. Cass. n. 4112-16);

la decisione della corte d’appello è aderente al principio, poichè, con accertamento in fatto ancora una volta non censurato sul versante della motivazione, ha dedotto dalla posizione assunta dai garanti nell’ambito della organizzazione societaria giustappunto la prova dell’avvenuta conoscenza e dell’implicita accettazione delle richieste di finanziamento;

VII. – col quarto motivo infine i ricorrenti denunziano la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nella parte relativa all’avvenuta condanna alle spese processuali, avendo la c.t.u. accertato la presenza di interessi usurari nel rapporto inter partes; il che avrebbe dovuto comportare, a loro dire, almeno la compensazione delle spese, mentre la corte d’appello le avrebbe poste a carico degli appellanti “senza alcuna motivazione sul punto”;

il motivo è inammissibile;

diversamente da quanto sostenuto nella parte finale della censura, è di solare evidenza che la corte d’appello ha statuito sulle spese applicando il principio di soccombenza, giacchè l’impugnazione avverso il rigetto dell’opposizione è stata a sua volta respinta;

in ciò è da ravvisare la motivazione bastevole alla pronuncia;

deve ribadirsi che esula dal potere di sindacato della Corte di cassazione, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare le spese in tutto o in parte (Cass. n. 8421-17, Cass. n. 24502-17 e altre);

VIII. – il ricorso, conclusivamente, è rigettato;

le spese processuali seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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