Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10843 del 23/04/2021

Cassazione civile sez. I, 23/04/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 23/04/2021), n.10843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9552/2017 proposto da:

Centro Servizi S.n.c. di R.A. (già Centro Servizi S.n.c. di

T.M.), in persona del liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis n. 34-b,

presso lo studio dell’avvocato Cecconi Maurizio, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Bufalini Maurizio, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Caposile n. 2, presso lo studio dell’avvocato Anzaldi Antonina,

rappresentata e difesa dall’avvocato Nannotti Fabio, giusta procura

in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Centro Servizi S.n.c. di R.A. (già Centro Servizi S.n.c. di

T.M.), in persona del liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis n. 34-b,

presso lo studio dell’avvocato Cecconi Maurizio, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Bufalini Maurizio, giusta procura

a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

V.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 545/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

pubblicata il 08/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2021 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Fides Vigilance Services Center Pistoia di P.E. e c. s.n.c. (poi divenuta Centro Servizi s.n.c. di T.M. e poi ancora Centro Servizi s.n.c. di R.A.) convenne dinanzi al tribunale di Firenze la Banca Toscana, con azione di accertamento della non debenza della somma di Euro 222.472,95 che la banca aveva reclamato con lettera del 23-3-2006; chiese altresì la condanna della convenuta alla restituzione delle somme addebitate nel contesto del rapporto di conto corrente n. (OMISSIS) a titolo di interessi ultralegali, commissioni di massimo scoperto e capitalizzazione trimestrale;

radicatosi il contraddittorio il tribunale accolse la domanda in esito a una c.t.u. contabile, che aveva determinato il saldo finale del conto a credito della correntista per Euro 171.612,55; cosicchè condannò la banca a restituire all’attrice la detta somma maggiorata di interessi;

propose appello la banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (incorporante Banca Toscana);

in appello si costituirono la Centro Servizi e V.F., cessionaria del credito litigioso intervenuta in primo grado, quest’ultima con appello incidentale condizionato;

la corte d’appello di Firenze ha rideterminato la somma a credito della Centro Servizi in Euro 53.526,46, confermando nel resto la sentenza del tribunale, con le afferenti statuizioni in punto di spese processuali;

contro la sentenza d’appello, depositata l’8-4-2016 e non notificata, la Centro Servizi ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria;

la banca ha resistito con controricorso e ha proposto un motivo di ricorso incidentale, esso pure illustrato da memoria, al quale la ricorrente principale ha replicato a sua volta con controricorso;

la V. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – la ricorrente principale denunzia:

(i) col primo mezzo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 1242 c.c., per avere la corte d’appello detratto dal credito della società un controcredito della banca (di Euro 118.086,09) derivato da distinto rapporto contrattuale, e segnatamente da un rapporto di finanziamento autonomo dal rapporto di conto corrente; in tal modo la corte territoriale avrebbe infranto il noto principio per cui la compensazione cd. propria richiede sempre, per poter operare, la proposizione di una domanda o di un’eccezione di parte;

(ii) col secondo mezzo, la nullità della sentenza per extrapetizione in quanto, con la comparsa di costituzione dinanzi al tribunale di Firenze, la banca non aveva per l’appunto sollevato alcuna eccezione di compensazione, nè proposto alcuna domanda di pagamento; essa con la prima memoria ex art. 183 c.p.c., nel definire il tema decisionale, aveva (solo) ribadito che la società, per ragioni autonome rispetto al rapporto di conto, era debitrice della somma sopra detta, risultante da ricevute bancarie cedute salvo buon fine e rimaste insolute, e così aveva manifestato che i controcrediti per restituzione di anticipi sulle ricevute bancarie avrebbero dovuto restare fuori dal dibattito processuale;

II. – il ricorso principale, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, è infondato;

non ha alcuna rilevanza insistere sulla distinzione tra compensazione propria, supponente sempre l’iniziativa di parte, e compensazione impropria, di contro rilevabile d’ufficio;

naturalmente – fermo il comune requisito di certezza delle situazioni sottostanti – la differenza non è in discussione, essendo relativa all’operare dell’effetto estintivo delle obbligazioni – che nel primo caso postula l’autonomia dei rapporti e l’eccezione di parte e nel secondo, invece, la reciprocità di debiti e crediti nascenti da un unico rapporto, il cui accertamento contabile (quanto al saldo finale delle contrapposte partite) può essere compiuto dal giudice anche d’ufficio (cfr. Cass. n. 747417, Cass. n. 12302-16 e molte altre);

la differenza non rileva, però, nel caso concreto;

difatti sia (in parte) la sentenza, sia (in termini più specifici) il controricorso (in prospettiva di autosufficienza) hanno messo in evidenza che l’iniziativa tesa a ottenere il vaglio delle contrapposte pretese da assumere in compensazione era stata presa direttamente dall’attrice, la cui azione di accertamento negativo aveva sì avuto come base la rideterminazione del saldo del conto, ma in riferimento alla pari specificata necessità di compensare la partita creditoria col controcredito reclamato dalla banca stragiudizialmente, mediante lettera del 23-3-2006;

nel controricorso (pag. 30) è per l’appunto trascritta la corrispondente parte della citazione, nella quale l’attrice aveva premesso che la banca, con la lettera raccomandata, aveva intimato il pagamento della somma di Euro 222.472,95 “per saldo debitore, per ricevute bancarie scadute e non pagate e rate insolute”, a fronte della quale complessiva pretesa l’attrice risulta che aveva chiesto, a sua volta, di accertare che la somma non era dovuta, “perchè estinta per compensazione con il maggior credito della società attrice”;

poco importa la precisazione – che ancora si legge nel medesimo atto – che non di compensazione tecnicamente avrebbe dovuto discorrersi ma di accertamento contabile di dare e avere: sia che le poste fossero derivate da un medesimo rapporto (come allora l’attrice aveva affermato), sia che avessero avuto invece genesi in rapporti distinti (come alquanto contraddittoriamente si trova oggi a sostenere), quel che unicamente interessa è che l’indagine sull’effettività dei crediti contrapposti, ai fini della determinazione dell’afferente saldo, era stata sottoposta al giudizio poichè legittimata dalla domanda principale, strumentalmente all’assunto di essere l’attrice titolare di un credito (finale) restitutorio;

III. – con l’unico motivo del ricorso incidentale la banca denunzia la violazione dell’art. 2033 c.c., per avere la corte d’appello errato sia nella rideterminazione dell’importo finale, rideterminazione che sarebbe incoerente e non sorretta da un pur sollecitato vaglio di attendibilità, sia nella condanna di essa banca alle restituzioni in conseguenza al ricalcolo del saldo del conto, in contrasto con la pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte n. 24418 del 2020;

il motivo è per un verso inammissibile e per altro infondato;

IV. – invero è inammissibile nella prima parte, poichè si risolve in un sindacato di fatto a proposito della quantificazione ritenuta dal c.t.u.; oltre tutto è anche generico, visto che niente è puntualizzato col fine di sorreggere l’affermazione di inattendibilità del computo finale;

V. – la questione posta, invece, con la seconda critica si basa su una forzatura dialettica, costituita dall’affermazione che la sollecitazione a rideterminare il saldo di un conto corrente richiede solo l’afferente accertamento contabile, ma non legittima di per sè anche la statuizione di condanna alle restituzioni;

ora va detto che tale assunto non ha nella specie una significativa rilevanza, poichè è vero che la corte d’appello di Firenze ha affermato che all’accertamento del saldo attivo a favore della società doveva conseguire in ogni caso il diritto alla restituzione della somma, non ostandovi – ha aggiunto “l’asserita insussistenza o mancata prova di uno spostamento patrimoniale suscettibile di ripetizione, giacchè la natura attiva del saldo non può che presupporre un siffatto spostamento patrimoniale”; ed è altrettanto vero che una simile (risoluta) risposta, se considerata astrattamente, può generare equivoci, poichè questa Corte ha precisato che l’azione di ripetizione di indebito va ancorata non necessariamente alla rideterminazione del saldo del conto, sebbene (e proprio) alla configurazione dei versamenti in conto in termini di effettivi “pagamenti”; il che rileva per la considerazione che – d’ordinario – è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra di loro, e che per far sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito è necessario innanzi tutto individuare il pagamento come tale, in base all’esecuzione di una prestazione di un soggetto (il solvens) che abbia comportato il conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’altro (l’accipiens); sì che un tale pagamento si possa dire poi indebito (art. 2033 c.c.) quando difetti di una idonea causa giustificativa (v. Cass. Sez. U. n. 24418-10, cui adde Cass. n. 24051-19);

resta però che l’equivocità della frase, alla quale la corte territoriale ha (per questa parte) affidato la motivazione, è destinata a dipanarsi in ragione dei fatti accertati;

si comprende dal riferimento dell’impugnata sentenza al “saldo finale”, e si evince poi esplicitamente dal controricorso della ricorrente principale (in risposta al ricorso incidentale) e dalla stessa memoria della banca (nel riferimento a quanto già dedotto in appello), che la famosa lettera raccomandata del 23-3-2006 era stata inviata dalla banca medesima a seguito della chiusura del conto corrente; cosicchè è da ritenere pacifico che il dare e l’avere, computati a fronte dell’avvenuta chiusura del conto, non avrebbero potuto che correlarsi alla definitiva determinazione della posta creditoria conseguente (il saldo finale, appunto), della quale dunque ben legittimamente la società poteva pretendere (e concretamente ha preteso) la restituzione;

VI. – in conclusione vanno rigettati entrambi i ricorsi;

l’esito del giudizio conduce alla compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi dei ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso di ciascuno, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2021

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