Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1084 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. II, 20/01/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 20/01/2020), n.1084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22652-2015 proposto da:

C.P., CA.PI., C.A.,

quest’ultimo anche quale difensore di se stesso, domiciliati in ROMA

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e

difesi dall’avvocato ANDREA CASTELLUCCI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.G., domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO

PIOCHI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1247/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 1/7/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/10/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. L.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze C.P., A. e Pi., quali eredi di C.L., al fine di ottenere la ripetizione della somma di Euro 2.077,31, quale importo a saldo versato dall’attore per la concessione edilizia in sanatoria relativa al condono edilizio concernente l’immobile acquistato dal L. ed in precedenza di proprietà di C.L., che nel 1986 aveva avanzato la relativa domanda, prima della vendita all’istante.

Chiedeva altresì la ripetizione della somma di Euro 701,89 versata quale condomino, a titolo di quota parte dell’importo dovuto per il condono edilizio dell’intero fabbricato condominiale.

Il Tribunale con la sentenza n. 2414 del 2014 accoglieva la domanda relativa alla ripetizione della somma versata quale saldo del condono per l’unità immobiliare in proprietà esclusiva, rigettando invece la domanda concernente il condono dello stabile condominiale.

Avverso tale sentenza proponevano appello i convenuti nonchè appello incidentale il L., che insisteva per l’accoglimento della domanda anche per le somme versate quale condomino. La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1247 del 1 luglio 2015 dichiarava la nullità degli atti del giudizio di primo grado nonchè della sentenza impugnata, e decidendo nel merito accoglieva integralmente la domanda attorea.

Effettivamente rilevava che l’attore si era costituito tardivamente in giudizio dinanzi al Tribunale, atteso che il termine di dieci giorni decorreva sempre dalla prima notifica effettuata nei confronti dei convenuti, e non anche dall’ultima come invece sostenuto dall’appellante incidentale.

Ciò comportava quindi la nullità di tutti gli atti del giudizio di primo grado successivi alla notifica della citazione, ivi inclusa la sentenza impugnata.

Tuttavia, non rientrando tale nullità fra quelle che impongono la rimessione della causa al giudice di primo grado, i giudici di appello ritenevano doverosa una nuova decisione nel merito.

In tal senso disattesa l’eccezione di incompetenza sollevata dai convenuti, reputava che fosse fondata la richiesta di ripetizione delle somme versate a saldo delle somme dovute a titolo di oblazione per il condono dell’appartamento venduto all’attore dal dante causa dei convenuti.

Infatti, se nel contratto all’art. 6 la parte venditrice aveva esplicitato l’esistenza della domanda di condono ed il versamento di una somma a titolo di oblazione, è altrettanto vero che all’art. 4 si prevedeva che il venditore garantiva l’assoluta libertà del bene da oneri di ogni genere, espressione questa che assumeva il valore di una garanzia del venditore per ogni eventuale successivo pagamento, posto che il riferimento all’esistenza della domanda di condono mirava ad escludere la possibilità per il compratore di poter invocare la previsione di cui all’art. 1489 c.c..

Altrettanto fondata era la richiesta di ripetizione delle somme per il condono dello stabile condominiale e ciò perchè si trattava di un debito preesistente alla vendita (e quindi a sua volta garantito dalla previsione di cui all’art. 4), occorrendo avere riguardo, al fine di stabilire chi fosse il soggetto tenuto al versamento della somma, alla data della delibera assembleare che aveva approvato la spesa, delibera anteriore alla vendita, a nulla rilevando che poi la somma fosse stata in concreto versata dall’acquirente.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso C.P., Pi. ed A. sulla base di due motivi. L.G. ha resistito con controricorso.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1489,1362,1363 e 1366 c.c., con riferimento alla condanna dei ricorrenti al rimborso della somma di Euro 2.077,31 pagata dal L. in relazione ad una domanda di condono proposta dal dante causa dei ricorrenti in epoca anteriore all’avvenuta vendita del bene in favore dello stesso attore.

A tal fine si richiama quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 3464/2012 che ha escluso che il pagamento di una somma richiesta dal Comune con riferimento ad una pratica di condono edilizio, di cui sia stata fatta menzione nel contratto di vendita, possa integrare un onere non apparente idoneo a diminuire il libero godimento del bene oggetto della vendita, reputandosi quindi che non rientra tra le obbligazioni del venditore anche quella di sopportare l’onere economico conseguente a procedimenti di regolarizzazione urbanistica, una volta che siano stati assolti in modo completo gli obblighi di informazione della parte acquirente.

Poichè l’art. 6 del contratto intervenuto tra le parti specificava la presentazione della domanda di condono da parte del venditore, doveva escludersi che potesse esigersi la ripetizione delle somme pagate facendo leva sulla dichiarazione, pur contenuta in contratto, circa la libertà dell’appartamento alienato da oneri di qualsiasi genere.

Ne deriva che non poteva essere posto a carico degli aventi causa del venditore un onere economico che non è ricompreso nella garanzia legale offerta al compratore dall’art. 1489 c.c..

Inoltre, risultano violate anche le regole di interpretazione del contratto, in quanto occorreva procedere ad una lettura combinata delle previsioni di cui agli artt. 4 e 6 del contratto, con la conseguente violazione anche dell’art. 1366 c.c. atteso che parte venditrice faceva legittimo affidamento sulla circostanza che era stata resa nota alla controparte la pratica di condono edilizio, senza che fosse stato anche previsto l’accollo da parte del venditore degli ulteriori oneri conseguenti alla detta pratica.

Il secondo motivo denuncia l’illogicità, contraddittorietà ed incomprensibilità della motivazione circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, laddove alla clausola di cui all’art. 4 del contratto, è stata attribuita una latitudine estesa anche all’obbligo di manlevare il compratore dagli ulteriori oneri collegati al condono, trascurando invece il contenuto della clausola di cui all’art. 6.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

La sentenza impugnata, nel reputare fondata la pretesa dell’attore alla ripetizione delle somme versate a titolo di saldo del condono dell’appartamento acquistato dal dante causa dei ricorrenti, lungi dal giustificare l’accoglimento della domanda sulla previsione di cui all’art. 1489 c.c., ha in realtà fatto leva sul tenore della clausola contrattuale di cui all’art. 4, il cui contenuto è stato ritenuto compatibile con la diversa previsione contrattuale contenente l’informativa circa l’avvenuta presentazione della domanda di condono.

Come si rileva anche dal contenuto del ricorso, la previsione di cui all’art. 4 nell’assicurare l’assoluta libertà del bene venduto “da oneri di qualsiasi genere”, specificava altresì che la garanzia concerneva “l’assoluta libertà da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, arretrati di imposte, tasse ed oneri di qualsiasi genere”, dizione questa che i giudici di appello hanno ritenuta idonea a ricomprendere anche la somma di cui in questo giudizio viene chiesta la ripetizione.

Si è quindi reputato che anche le somme pretese per la chiusura della pratica di condono, ancorchè erogate in epoca successiva alla vendita, rientrassero tra quelle per le quali il Castellucci aveva assunto specifica garanzia, senza che tale previsione risultasse in contrasto con la diversa pattuizione di cui all’art. 6 che, nel fare menzione dell’avvenuta presentazione della pratica di condono e del versamento della somma di L. 648.000 a titolo di oblazione, mirava esclusivamente ad impedire che successivamente l’acquirente potesse invocare la previsione di cui all’art. 1489 c.c., quanto alla necessità di regolarizzare la condizione urbanistica del bene venduto.

Risulta evidente alla luce della lettura delle motivazioni del giudice di appello come la presente fattispecie non risulti sovrapponibile a quella decisa da questa Corte nella sentenza n. 3464/2012 invocata da parte ricorrente, che effettivamente ha escluso la possibilità per il compratore di ripetere le somme versate a titolo di oneri di oblazione, laddove in contratto sia stata fatta menzione della pendenza della procedura di condono, attesa l’impossibilità di estendere la garanzia di cui all’art. 1489 c.c. anche alla pretesa del Comune di esigere tali oneri, atteso che nel caso in esame il diritto dell’acquirente è stato fondato, non già sulla previsione di cui all’art. 1489 c.c. (come nel caso deciso dal precedente richiamato), ma sulla diversa efficacia di una clausola contrattuale interpretata nel senso che vi fosse stata un’espressa assunzione di garanzia, estesa anche al versamento di oneri di qualsiasi genere, ancorchè ne fosse stata resa nota la genesi per effetto della diversa previsione di cui all’art. 6.

Il fondamento contrattuale dell’obbligo di rimborso, slegato quindi dall’applicazione della sola garanzia legale di cui all’art. 1489 c.c., esclude la dedotta violazione della norma de qua, ed impone quindi di dover valutare la fondatezza delle censure unicamente sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.

Va in proposito osservato come costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e ss., e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.

D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

Tale conclusione, che risponde alla pacifica giurisprudenza di questa Corte risulta ancor più avvalorata alla luce della riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che ha fortemente limitato la possibilità di critica alla motivazione del giudice di merito, essendo esclusa la deduzione, come avvenuto nella fattispecie, della illogicità o contraddittorietà della motivazione (salvo che non si traduca in un’anomalia della stessa che però si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, anomalia che però non si rinviene nel caso in esame), essendo quindi necessario denunciare l’omessa disamina di un fatto decisivo per la controversia.

Nel caso in esame il secondo motivo di ricorso, lungi dal denunciare tale omissione, si limita semplicemente a contestare la logicità e comprensibilità della motivazione resa dal giudice di appello in merito alla corretta interpretazione sistematica delle due clausole contrattuali, il che denota con evidenza l’inammissibilità della censura così come formulata. Quanto invece alla dedotta violazione delle regole legali di ermeneutica negoziale, la disamina del motivo di gravame rende palese come quella suggerita dai ricorrenti, volta a negare che l’art. 4 possa far rientrare nella garanzia ivi assunta dal venditore anche quella di rimborso delle somme versate a titolo di condono dal compratore, per una pratica presentata dal venditore in epoca anteriore alla vendita, sia solo una delle possibili alternative ricostruzioni della volontà delle parti, senza che però quella sposata dal giudice di appello possa essere tacciata di assoluta implausibilità o insostenibilità.

L’esame delle espressioni letterali di cui si compone la previsione dell’art. 4 consente di affermare che le medesime ben si prestano, attesa l’ampiezza delle stesse, a ricomprendere anche il rimborso della somma oggetto di causa, nè risulta violata la diversa regola che impone l’interpretazione complessiva delle clausola ex art. 1363 c.c., atteso che nell’esegesi offerta dalla sentenza gravata le due previsioni contrattuali sono destinate a conservare una loro autonoma portata applicativa, senza peraltro invadere il reciproco campo di efficacia.

In tal senso, i giudici di merito hanno reputato che la previsione di cui all’art. 6 fosse volta, mediante l’informazione dell’acquirente circa la presentazione della domanda di condono, a precludere la possibilità di invocare la previsione di cui all’art. 1489 c.c. (impedendo quindi la possibilità di invocare i rimedi ivi previsti, tra cui anche quello della risoluzione del contratto), laddove la clausola di cui all’art. 4 mirava comunque a porre l’acquirente al riparo da ogni eventuale richiesta di pagamento correlata ad “arretrati di imposte, tasse ed oneri di qualsiasi genere”, restando quindi vincolato al contratto, ma liberato da tali esborsi economici (il che denota come si riveli anche infondata la denuncia di violazione della regole di interpretazione secondo buona fede, non potendosi necessariamente estendere l’affidamento della parte venditrice sulla dichiarazione resa ai fini dell’esclusione dei rimedi di cui all’art. 1489 c.c., anche alla diversa pretesa dell’acquirente di essere tenuto indenne da richieste di pagamento successive ma eziologicamente legate a vicende intervenute prime dell’alienazione).

Inoltre, la lettura che dell’art. 4 è stata offerta dal giudice di merito risulta anche conforme al canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., posto che quella proposta dai ricorrenti verrebbe di fatto a privare di efficacia la clausola, trasformandola in una sorta di clausola di stile, quanto meno per le vicende concernenti la pratica di condono, in contrasto con i principi affermati da questa Corte secondo cui (Cass. n. 13839/2013) il giudice di merito, anche a fronte di una clausola estremamente generica ed indeterminata, deve comunque presumere che sia stata oggetto della volontà negoziale, sicchè deve interpretarla in relazione al contesto (art. 1363 c.c.) per consentire alla stessa di avere qualche effetto (art. 1367 c.c.) e, solo se la vaghezza e la genericità siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa un qualsivoglia rilievo nell’ambito dell’indagine volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto (art. 1325 c.c.), ovvero siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volontà dei contraenti, può negare ad essa efficacia qualificandola come clausola di “stile” (conf. Cass. n. 1950/2009; Cass. n. 19104/2009, relativa proprio ad una clausola con la quale l’alienante garantiva la libertà del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processali per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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