Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1084 del 18/01/2011

Cassazione civile sez. III, 18/01/2011, (ud. 10/11/2010, dep. 18/01/2011), n.1084

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1829/2006 proposto da:

G.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato

ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato MASCI Loreto, con studio in 35100 PADOVA, VIA BERCHET

17, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato DAMADEI

MICHELA, rappresentato e difeso dagli avvocati GIANTIN Mario, GREGGIO

FABIO, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

T.F., A.A.;

– intimati –

sul ricorso 4817/2006 proposto da:

T.F., (OMISSIS) e A.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, presso

CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avvocato

BERTOLI ANTONIO, con studio in 35131 PADOVA, Corso del Popolo, 8,

giusta procura a margine del presente atto;

– ricorrenti –

contro

B.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato DAMADEI

MICHELA, rappresentato e difeso dagli avvocati GREGGIO FABIO, GIANTIN

MARIO giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 820/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Sezione Quarta Civile, emessa il 10/11/2004, depositata il

19/05/2005; R.G.N. 498/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/11/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato Mario GIANTIN;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

IN FATTO

B.D., nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Padova A.A., T.F. e G.M., espose:

– Che, nel (OMISSIS), alla guida del proprio ciclomotore, sul quale trasportava il figlio, era stata investita dalla A., conducente dell’autovettura di proprietà del marito T. F.;

– Che, in conseguenza dell’investimento, aveva subito lesioni gravissime, al pari di suo figlio;

– Che la somma corrisposta dalla compagnia assicuratrice dei convenuti era largamente inferiore a quella da lei richiesta e a lei dovuta a titolo di risarcimento di tutti i danni patiti;

– Che i coniugi T. – A., nell'(OMISSIS), avevano fraudolentemente alienato la propria abitazione a G. M. – in epoca significativamente coincidente con quella del pagamento del residuo massimale da parte della compagnia assicurativa -, continuando, peraltro, ad abitare l’immobile anche dopo l’alienazione;

– Che il G., di professione operarlo, residente fuori città, non appariva ragionevolmente interessato (nè patrimonialmente capace) all’acquisto de quo, mentre i coniugi convenuti non avevano alcuna plausibile ragione per liquidare l’unico cespite immobiliare di loro proprietà, ad un prezzo, oltretutto, inferiore a quello di mercato.

Tanto premesso, l’attrice chiese che l’adito tribunale dichiarasse la inefficacia dell’atto di compravendita così descritto, giusta disposto dell’art. 2901 c.c..

Con separato atto di citazione del 9.4.1994, la B., premessa una analoga esposizione dei fatti di causa, introdusse separato giudizio risarcitorio in ordine al medesimo fatto causativo del danno lamentato (l’incidente stradale).

Le due cause, riunite, vennero trattenute in decisione dal giudice di primo grado (dinanzi al quale erano altresì intervenute parti diverse da quelle oggi in giudizio, la cui irrilevanza nella presente controversia esime il collegio, allo stato, da ulteriori cenni in proposito, salvo quanto si dirà in motivazione), il quale respinse entrambe le domande.

La sentenza fu impugnata da B.D. dinanzi alla corte di appello di Venezia, la quale, nell’accoglierne il gravame, ritenne fondata la censura mossa alla sentenza di primo grado nella parte in cui, con essa, si era riconosciuto, alla proposta azione revocatoria, un effetto soltanto interruttivo, ma non anche interruttivo/sospensivo, della prescrizione della domanda risarcitoria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2943 e 2945 c.c..

La sentenza della corte territoriale è stata impugnata da G. M. e dai coniugi T. con ricorso per cassazione sorretto, rispettivamente, da uno e due motivi di gravame.

Resiste con controricorso B.D..

Diritto

IN DIRITTO

1. I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti. Essi sono infondati.

2. Con il primo motivo, entrambe le impugnazioni denunciano un vizio di motivazione, violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in particolare erronea interpretazione e applicazione degli artt. 2943, 2945 e 2901 c.c.. Lamentano, in particolare, i ricorrenti un preteso error iuris in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello nell’attribuire efficacia interruttivo/sospensiva – e non soltanto interruttiva – alla domanda giudiziale proposta, ex art. 2901 c.c., da parte dell’odierna resistente rispetto al diritto al risarcimento del danno conseguente all’incidente stradale per il quale è ancor oggi processo.

3. La doglianza è privo di pregio. Essa si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dalla corte veneziana nella parte in cui ha ritenuto che la proposizione dell’azione revocatoria abbia introdotto “uno” dei giudizi (“di cognizione, conservativo o esecutivo”) per effetto dei quali la prescrizione è interrotta ai sensi del disposto dell’art. 2943 c.c., con l’ulteriore conseguenza per cui la prescrizione “non corre sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio” (art. 2945), volta che l’interruzione sia avvenuta mediante domanda giudiziale, in continenti ovvero ex intervallo.

4. L’interpretazione del combinato disposto delle norme di cui agli artt. 2943 e 2945 del codice di rito adottata dal giudice territoriale è del tutto conforme a diritto. Non colgono nel segno, difatti, le pur suggestive argomentazioni della difesa delle parti ricorrenti nella parte in cui, lamentando l’erroneità della pronuncia di merito in parte qua, evidenziano:

– Che nei precedenti di questa corte di cui alle pronunce 5081/1994 e 9679/1997 l’esistenza del credito “presupposto” rispetto all’esperita azione revocatoria (esistenza da ritenersi suo presupposto indefettibile) era risultata incontestata in quanto consacrato in documenti cambiari rilasciati dal debitore al creditore che agiva in revocatoria;

– Che, viceversa, la pacifica e incontestata prova dell’esistenza del credito risarcitorio dell’attrice appariva, nella specie, del tutto impredicabile, tanto che il relativo accertamento era stato oggetto di separata richiesta giudiziale, introdotta, peraltro, in epoca ampiamente successiva allo spirare del relativo termine di prescrizione biennale;

– Che l’azione di risarcimento dei danni e l’azione revocatoria si caratterizzano per assoluta disomogeneità di petitum e di causa petendi;

– Che non ogni domanda giudiziale ha effetto interruttivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l’attore manifesta la volontà di ottenere il riconoscimento e la tutela giudiziale del diritto del quale poi sia eccepita la prescrizione stessa (così, tra le altre, Cass. 687/80, a mente della quale la domanda limitata alla sorte capitale non avrebbe efficacia interruttiva del diritto agli interessi, autonomamente azionabile);

– Che la stessa corte d’appello di Venezia, con sentenza passata in cosa giudicata, aveva ritenuto prescritto il diritto al risarcimento dei danni vantato da altro danneggiato in relazione al medesimo incidente – danneggiato che pure aveva agito, al pari dell’odierna resistente, in revocatoria sul presupposto dell’esistenza del proprio diritto al risarcimento dei danni -, respingendo, per l’effetto, anche la domanda introdotta ex art. 2901 c.c..

5. Nessuno dei suesposti argomenti merita di essere condiviso. Va in premessa rammentato come, secondo un risalente quanto condivisibile indirizzo giurisprudenziale (Cass. 17.11.1962, n. 3140), che ebbe a far proprio il pensiero di autorevole dottrina, la domanda giudiziale (ossia “l’atto con cui si inizia un giudizio, di cognizione ovvero conservativo o esecutivo”) produce il suo effetto sul corso della prescrizione non in quanto esercizio giurisdizionale del diritto, bensì quale atto che, per il suo contenuto specifico, porti a conoscenza del destinatario la volontà di avvalersi del proprio diritto. L’interruzione della prescrizione quale effetto della domanda giudiziale riveste poi, per altro verso, caratteri suoi propri e affatto peculiari; ciò che consente di tenerla distinta da tutte le altre vicende interruttive del corso del tempus praescriptionis, atteso che la disposizione di cui all’art. 2943 c.c. si pone in relazione funzionale con la successiva norma ex art. 2945, comma 2, onde trasformare un effetto interruttivo geneticamente istantaneo in vicenda interruttivo/sospensiva funzionalmente permanente fino alla sentenza che definisce il giudizio. Solo all’atto processuale è riconosciuta (indiscutibile espressione di un principio di elementare civiltà giuridica) tale capacità “espansiva” dell’effetto interruttivo (con inconsapevole anticipazione dell’emananda Costituzione repubblicana che, all’art. 24, comma 1, riconosce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi), in attuazione del principio chiovendiano secondo il quale la necessità di servirsi del processo per far valere un proprio diritto non deve andare a detrimento di chi ha ragione.

6. Non privo di rilievo deve ritenersi, ancora, sul piano processuale, il principio della estensibilità dell’effetto de quo sinanche alla tutela dell’errore nell’individuazione del giudice competente. A norma del comma 3 dell’art. 2943, difatti – in conformità con quanto disposto dall’abrogato art. 2125, comma 1 del codice del 1865, l’effetto interruttivo/sospensivo della domanda giudiziale si realizza anche se questa sia stata rivolta a giudice incompetente, e perdura sino al giudicato dichiarativo dell’incompetenza medesima.

7. L’art. 2945 c.c., comma 2, a mente del quale la prescrizione riprende a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, è, per converso, norma di assoluta portata innovativa, sol che si rammenti come, a norma degli artt. 2125 e 2128 dell’abrogato codice civile, l’effetto interruttivo derivato dalla proposizione della domanda giudiziale non si protraeva sino al passaggio in giudicato della sentenza, ma cessava con la semplice pronuncia della sentenza ancora impugnabile, sicchè, emanata la pronuncia non ancora definitiva, il corso della prescrizione riprendeva ipso facto, sino al verificarsi di un nuovo atto interruttivo (quale l’impugnazione della sentenza stessa): norma, dunque, espressiva a sua volta del medesimo principio di civiltà giuridica poc’anzi ricordato.

8. La correttezza in diritto del decisum della corte fiorentina trova ulteriore e definitiva conferma – contrariamente a quanto opinato dagli odierni ricorrenti in ordine alla auspicata necessità di limitare, nella specie, l’effetto interruttivo della prescrizione conseguente alla proposizione della domanda revocatoria al suo solo aspetto istantaneo – alla luce delle brevi considerazioni che seguiranno in ordine agli aspetti morfologici e funzionali dell’istituto della prescrizione.

9. Il legislatore del 1942 ha solo apparentemente risolto i problemi ermeneutici ereditati dalla corrispondente norma del codice del 1865, eliminando il collegamento tra usucapione e prescrizione estintiva ed estendendo gli effetti di quest’ultima a tutti i diritti, poichè l’istituto della prescrizione, percorsi i sentieri di gran parte degli istituti giuscivilistici (i diritti reali, i diritti di credito, i diritti personali), può ancora sfociare nella diversa dimensione del processo, ove la relativa eccezione, l’irrilevabilità officio iudicis, la “rinuncia” precedente o successiva al formarsi di un eventuale giudicato appaiono forieri di non poche incertezze.

Incerta, del fenomeno prescrizionale, è la natura, sostanziale o processuale, incerto il suo fondamento (trovandosi ancor oggi divisa la dottrina che se ne è occupata ex professo tra il postularne, in alternativa, esigenze di certezza del diritto, caratteri di sanzione per l’inerzia, finalità di adeguamento di una situazione di fatto ad una situazione di diritto, funzioni di tutela della posizione del soggetto passivo del rapporto), discussi ne sono l’operatività (automatica ovvero ope exceptionis), l’oggetto, l’effetto (nè è mancato chi, della prescrizione, ha con forza predicato la contrarietà, oltre che al diritto naturale, alla morale e alla stessa logica giuridica, esclamando “car enfin, un droit existe, ou n’existe pas!!”) Su di un istituto riformato per dispensare certezze vanno allora addensandosi, ad un’analisi più approfondita, ombre di non poche questioni irrisolte, perchè, in definitiva, lo sforzo esegetico deve misurarsi con un’architettura normativa da cui emerge un quadro così sintetizzabile: ogni diritto si estingue (sì) per prescrizione (art. 2934), (ma) a condizione che: 1) non intervenga “il riconoscimento del diritto” in corso di rapporto da parte del debitore, ex art. 2944; 2) non intervenga la rinuncia alla prescrizione da parte del debitore dopo il suo compimento, ex art. 2937; 3) non intervenga il pagamento spontaneo del debito prescritto, ex art. 2940; 1bis) venga vittoriosamente proposta l’eccezione di prescrizione da parte del debitore, all’esito dell’eventuale instaurazione del processo, ex art. 2938, non potendo il giudice rilevarla d’ufficio; 2bis) venga vittoriosamente proposta (mancando l’eccezione del debitore) l’eccezione di prescrizione da parte dei terzi interessati ex art. 2939; 3bis) non intervenga l’adempimento da parte dell'(ormai ex) debitore successivamente al formarsi del giudicato che abbia accertato l’intervenuta prescrizione.

10. E’ legittimo, allora, interrogarsi su quale esigenza di certezza possa dirsi esaudita da una fattispecie i cui meccanismi – operando, oltretutto, sul piano sia sostanziale che processuale -, postulino, a tacer d’altro, una disponibilità dell’effetto estintivo di un diritto soggettivo potenzialmente destinata a perpetuarsi a tempo pressochè indeterminato, al di là del (solo apparentemente decisivo) decorso “del tempo previsto dalla legge”: manca, difatti, in tema di prescrizione, una norma omogenea a quella dettata per la remissione del debito (che prevede un “congruo termine” entro il quale il debitore possa esprimere l’eventuale intento di rinuncia al beneficio). Ne deriva che l’unico possibile punto di partenza dell’indagine deve prendere le mosse da un esame dell’istituto in termini non statici, ma di fattispecie dinamica che, solcando il terreno del diritto sostanziale per poi sfociare (sia pur solo eventualmente) in quello del processo, assume caratteri costantemente mutevoli e apparentemente contraddittori (se un diritto si estingue per il decorso del tempo, è ammissibile che il rapporto obbligatorio sottostante non si estingua anch’esso, ma si modifichi, cagionando, più che un effetto estintivo, un effetto preclusivo, quantomeno sul piano processuale? E’ ammissibile che un diritto estinto sia – e non illegittimamente – fatto ancora valere in giudizio? Fatto valere in giudizio un diritto ormai estinto, è concepibile che il giudice non possa rilevare d’ufficio tale estinzione? E ancora, per il solo fatto di non aver sollevato l’eccezione di prescrizione, è legittimo che il soggetto passivo del rapporto sia condannato ad adempiere un obbligo che più non esisterebbe sul terreno del diritto sostanziale? E infine, quanto tempo dopo l’estinzione del diritto per prescrizione ci si potrà ancora attendere, e latere creditoris, l’adempimento di cui all’art. 2940 c.c.)? 11. La questione di diritto posta al collegio dagli odierni ricorrenti può avviarsi a definitiva soluzione sol che si abbia riguardo al reale fondamento dell’istituto della prescrizione. Che questa debba ritenersi fondata su esigenze di ordine pubblico non è parso seriamente discutibile ad una prima (ma in realtà superficiale) riflessione, sol che si ponga mente al contenuto della Relazione del Guardasigilli, enfaticamente declamatoria, appunto, di (non meglio specificate) “finalità di ordine pubblico” cui essa sarebbe informata, attesa l'”erroneità” del presupposto che l’istituto sia stato codificato “nell’interesse del debitore”. Ma anche quella che appare come la caratteristica meno controversa dell’istituto viene nondimeno (e non infondatamente) posta in discussione da autori che, pur attestati su posizioni minoritarie, sottolineano la “singolare confusione di concetti”, in cui si incorre nel sostenere il carattere pubblicistico dell’istituto, negando, del tutto irragionevolmente, che esso giovi all’interesse del debitore, poichè “con ciò si confonde la ricerca del perchè sia stabilita una disciplina cogente con la ricerca di chi sia il titolare dell’interesse protetto da quella disciplina”, che altri non è “se non il debitore stesso”. D’altronde, si soggiunge, “con la sottolineata finalità pubblicistica mal si conciliano le ipotesi, previste espressamente dalla legge, nelle quali la prescrizione non opera affatto, ed è difficile sostenere che appartenga all’ordine pubblico un istituto al quale non pochi settori dell’ordinamento si sottraggono completamente”. Invero, la ricerca del fondamento della fattispecie in termini di ordine pubblico sembra confondere la natura cogente delle norme dettate in tema di prescrizione con la ratio dell’istituto e con l’interesse tutelato, mentre l’inderogabilità sancita da talune disposizioni di legge (e non da tutte) si coniuga, piuttosto, con la considerazione che ammettere una disciplina convenzionale della prescrizione avrebbe comportato la possibilità di porre termini iugulatori all’esercizio di diritti scaturenti dal contratto in favore della parte più debole, sì che, specie nella contrattazione di massa, tale disciplina si sarebbe risolta in una clausola di stile. Ed allora sembra del tutto inevitabile convenire con quegli autori che – nonostante l’esplicito riferimento contenuto nella Relazione al codice e l’autorevolezza della contrapposta dottrina schierata a difesa della natura pubblicistica dell’istituto – ha realisticamente colto, nella prescrizione, più pragmatiche finalità di tutela di un interesse sostanzialmente privato, quello, cioè, da un canto, del soggetto passivo di un rapporto giuridico a ritenersi libero da vincoli in conseguenza del decorso “del tempo stabilito dalla legge”, dall’altro, del soggetto attivo portatore di una incomprimibile facoltà di impedire il realizzarsi dell’effetto estintivo attraverso una inequivoca dichiarazione/manifestazione di volontà (qual che essa sia) dimostrativa dell’intento di esercitare il proprio diritto. Principio, in definitiva, non diverso risulta affermato dalle stesse sezioni unite di questa Corte nella sentenza 25 luglio 2002, n. 10955, predicativa della regula iuris secondo la quale, in tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è la sola inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge. Ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice, di guisa che, da un lato, non incorre nelle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 cod. proc. civ., la parte che, proposta originariamente un’eccezione di prescrizione quinquennale, invochi nel successivo corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa; e, dall’altro lato, il riferimento della parte ad uno di tali termini non priva il giudice del potere officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma di previsione di un termine diverso.

12. Alle considerazioni sin qui svolte consegue, pertanto, che l’effetto interruttivo (o, come nella specie, interruttivo/sospensivo) del corso della prescrizione va ricondotto ad un (necessario quanto sufficiente) comportamento dell’avente diritto (estrinsecato per simboli o per segnali) volto, non equivocamente, a manifestare il proprio intendimento di esercitare quel diritto. Comportamento che, come tutti gli atti giuridicamente rilevanti, può assumere la duplice forma della dichiarazione espressa e della manifestazione tacita di volontà, quest’ultima efficace a condizione che (e solo che) la volontà stessa, deducibile in via ricostruttiva per induzione, sia inequivocabilmente e irredimibilmente riconducibile al comportamento che ne inferisca l’esistenza.

13. Nella odierna vicenda processuale, appare non seriamente discutibile, come correttamente quanto sinteticamente opinato dalla corte di merito, che l’introduzione, da parte dell’odierna resistente, di un’azione (nella specie, revocatoria) volta a tutelare ab imo il proprio diritto a conseguire l’integrale risarcimento del danno subito in conseguenza dell’incidente stradale che aveva visto coinvolta, in qualità di presunta responsabile, l’odierna ricorrente (tutela destinata a realizzarsi attraverso la declaratoria di inefficacia relativa di una alienazione immobiliare rappresentata come fraudolenta), abbia evidente efficacia interruttivo/sospensiva della prescrizione di quel diritto risarcitorio (benchè non ancora giudizialmente accertato nell’an in punto di responsabilità), poichè implicitamente manifestativo della volontà di esercitare proprio quel diritto, benchè in via indiretta e mediata merce l’attivazione di altro giudizio, ad esso, peraltro, inscindibilmente connesso. E tale manifestazione tacita (quanto non equivoca) di volontà attiva tanto è a dirsi requisito necessario e sufficiente al dispiegarsi dell’effetto interruttivo/sospensivo che il combinato disposto degli artt. 2943, 2945 c.c., riconnette all’introduzione di un atto con il quale si inizia “un giudizio”, (qual che esso sia), quanto il giudizio introdotto si pone come post-cedente logico giuridico rispetto all’esercizio del diritto di cui si invoca tutela.

14. Non può, pertanto, esser dato seguito, secondo il collegio, all’orientamento espresso da questa corte con la sentenza n. 6570 del 2005, a mente del quale non ogni domanda avrebbe effetto interruttivo della prescrizione, ma soltanto quella con cui l’attore chieda il riconoscimento e la tutela giuridica del diritto del quale si eccepisca poi la prescrizione.

15. Nessun effetto preclusivo può, infine, riconnettersi, nella specie, alla sentenza della corte di appello di Venezia (evocata dai ricorrenti al folio 20 dell’odierno atto di impugnazione) trattandosi, all’evidenza, di res (iudicata) inter alios acta, per essersi la relativa controversia dipanata sul terreno processuale del litisconsorzio facoltativo (Cass. 1103/04).

16. Con il secondo motivo del ricorso A. – T. si denuncia una ulteriore violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè una erronea interpretazione e applicazione degli artt. 2043, 2055 e 2056 c.c., lamentandosi, in particolare, una pretesa erroneità nell’applicazione, da parte del giudice di merito, di un criterio equitativo nella liquidazione del danno biologico e morale riconosciuto alla resistente, sulla base di criteri predeterminati e standardizzati (le c.d. tabelle).

17. Il motivo è anch’esso infondato. La Corte territoriale, con la sentenza oggi impugnata, ha proceduto ad una attenta disamina dell’intera vicenda di danno, sia nell’an che nel quantum, attraverso analitica e perspicua motivazione volta all’adozione di un criterio liquidatorio che, rientrando nell’orbita dei giudizi di fatto, si sottrae a d ogni censura da parte di questa corte di legittimità se (come nella specie), correttamente e condivisibilmente motivato, con argomentazioni scevre del tutto da vizi logico-giuridici.

18. La relativa novità delle questioni di diritto affrontate consentono la integrale compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara interamente compensate le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2011

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