Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10839 del 05/06/2020

Cassazione civile sez. III, 05/06/2020, (ud. 28/02/2020, dep. 05/06/2020), n.10839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28450-2019 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI, 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE BOLOGNA SEZIONE FORLI’ CESENA, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il

19/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/02/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che:

D.M., cittadino (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento, D.M. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Bologna, che l’ha rigettata con decreto in data 19/8/2019;

a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) della mancata dimostrazione che le istituzioni del paese di provenienza del ricorrente non fossero in grado di proteggerlo dai rischi dallo stesso paventati; 2) dalla mancanza, nel territorio di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sè, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) dell’insussistenza delle condizioni di vulnerabilità soggettiva del ricorrente ai fini del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da D.M. con ricorso fondato su tre motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa;

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo e il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione, da parte del Tribunale, del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, con particolare riguardo alla mancata esatta valutazione del grave danno incombente a carico del D. in relazione al prospettato relativo rimpatrio e, dunque, alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della c.d. protezione sussidiaria, anche in rapporto alle condizioni di pericolo e di criticità sociopolitica riscontrabili nel paese di provenienza ((OMISSIS));

il primo e il secondo motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati;

al riguardo, osserva il Collegio come il giudice a quo abbia disatteso l’istanza di protezione sussidiaria avanzata dal D. sul presupposto della concreta insussistenza, nel caso in esame, di un effettivo stato di vulnerabilità connessa al relativo rientro in patria, atteso che lo stesso si è limitato a prospettare il ricorso di un preteso pericolo concreto per la propria incolumità in considerazione delle minacce ricevuto da un parente (uno zio), senza evidenziare l’avvenuta preliminare prospettazione della situazione di pericolo alle autorità statuali del proprio paese;

sul punto, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati, qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con il conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato la credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente (e dunque l’effettiva sussistenza dei rischi connessi alle minacce di morte ricevute dal proprio zio), si è inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, l’impossibilità di riconoscere la protezione sussidiaria invocata dal D., non essendosi quest’ultimo rivolto alle autorità di polizia del proprio paese (con la conseguente implicita impossibilità di stabilire l’eventuale incapacità delle istituzioni statali ivoriane a proteggerlo dalle gravi minacce ricevute), così trascurando di esercitare i propri poteri di istruzione ufficiosa (nel quadro dei doveri di cooperazione istruttoria imposti dalla legge) attraverso l’approfondimento di tali ultimi rilievi al fine di individuare, in termini positivi e concreti, le specifiche fonti informative suscettibili di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni ivoriane a cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine privata così determinate;

col terzo motivo il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di protezione umanitaria, senza tenere conto del percorso di integrazione da lui intrapreso nel nostro Paese, anche in relazione all’attuale situazione del paese di origine;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato che l’eventuale processo di integrazione del richiedente nel tessuto socioeconomico italiano non costituisce, da solo, elemento sufficiente a giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha inammissibilmente trascurato di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. minimo costituzionale;

sulla base delle considerazioni che precedono, rilevata la fondatezza del ricorso, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 28 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020

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